Robot e intelligenza artificiale spaventano chi non li conosce (e piacciono agli operai)

Il Rapporto Doxa su “Robot, Intelligenza artificiale e Lavoro in Italia” evidenzia che nelle aziende già robotizzate i giudizi su queste tecnologie sono molto più positivi rispetto alle realtà che non le hanno ancora sperimentate. Il dato che più colpisce, però, è che agli operai la robotica piace più che a quadri e impiegati.

Pubblicato il 09 Nov 2018

Robot


Il robot visto da vicino, all’opera, nelle linee di produzione e nelle imprese, non fa paura. Anzi. Suggestioni, diffidenze e resistenze, verso l’innovazione robotica, restano più forti e diffuse tra chi non ne ha esperienza diretta sul campo. Mentre, alla prova dei fatti, è ancora più facile comprendere quali e quanti vantaggi l’evoluzione dell’automazione industriale possa portare, ai risultati dell’azienda, da un lato, e al lavoro degli operatori, dall’altro. Sono alcune delle evidenze emerse dal primo Rapporto su “Robot, Intelligenza artificiale e Lavoro in Italia”, promosso da Aidp e LabLaw, e realizzato da Doxa. Uno studio su imprenditori, manager e lavoratori delle aziende italiane, che è stato illustrato nel corso del secondo evento sul tema “Robot e Lavoro”, organizzato presso la sede milanese di Ucimu.

La robotica piace agli operai

I numeri, come sempre, descrivono lo scenario in maniera efficace: nelle aziende non ancora robotizzate, il 48% dei lavoratori è favorevole all’utilizzo di robot e Intelligenza artificiale (AI), uno su cinque (il 20%) è contrario, mentre uno su tre (32%) non ha ancora un’idea precisa in merito.

Percentuali, e orientamenti, che cambiano molto invece nelle aziende già robotizzate, dove quindi si può esprimere un giudizio più ponderato, basato sull’esperienza diretta: qui, il totale dei lavoratori favorevoli all’uso di robotica e Intelligenza artificiale sale al 67%, mentre meno di uno su dieci (l’8%) si dice contrario, e uno su quattro (25%) non si sbilancia.

Non solo. Tra i lavoratori di aziende robotizzate, i giudizi positivi, riguardo gli effetti sull’attività lavorativa, sono maggiori tra gli operai (per il 78% del totale), rispetto a quelli, sempre alti, di quadri (66%) e impiegati (60%).

Il “collega” robot

E questo perché molti operai e addetti alle funzioni più operative, che hanno sperimentato in prima persona i cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, apprezzano il fatto che i robot possano svolgere le mansioni più pesanti, ripetitive, pericolose. Mentre i Cobot, i robot collaborativi, che affiancano gli operatori, riescono ad agevolare le loro attività.

“Dove si colloca il robot, il lavoro cambia e si evolve”, sottolinea Domenico Appendino, presidente di Siri, associazione che promuove lo studio dei problemi sociali, etici ed economici emergenti dall’avvento della tecnologia robotica: “le paure collegate a queste innovazioni tecnologiche non hanno motivazioni concrete”.

Effetti e giudizi positivi

Analizzando i casi di mille lavoratori impiegati in realtà con oltre 10 dipendenti che già utilizzano soluzioni Hi-Tech, emerge che 39% del totale (mettendo insieme quadri, impiegati e operai) ha un giudizio positivo sugli effetti della robotica sull’attività lavorativa, solo il 7% esprime una valutazione negativa, mentre per il 29% non ha influito, e il 25% ritiene che abbia avuto ricadute sia positive, sia negative, in ambiti diversi.

Più nel dettaglio, l’innovazione robotica, “hardware” e software, ha portato effetti positivi sulla qualità del lavoro (nel 31% dei casi), sull’efficienza (21,5%), sulla velocità delle operazioni (19%), sulla produzione (12%), sulla sicurezza (5,6%), sull’informatizzazione (4%).

Raffrontando invece giudizi e opinioni tra vertici aziendali e dipendenti, sempre all’interno di aziende già robotizzate e con oltre 10 addetti, l’83% di imprenditori e manager, e il 69% dei lavoratori, “promuovono”, con buoni voti, robotica e AI. Solo una minima parte, il 3% in entrambi i casi, dà una valutazione finale negativa. Mentre il 15% di imprenditori e dirigenti, e il 28% degli addetti, dà un giudizio neutro, né positivo né negativo.

Guardando allo scenario complessivo, in Italia circa il 30% delle aziende utilizza sistemi, soluzioni e processi basati sull’impiego dei robot. “Di queste, quasi un terzo ha aumentato il numero di dipendenti, mentre appena il 5% dichiara di aver ridotto in modo significativo il proprio personale”, rimarca Massimo Sumberesi, Head of Doxa marketing advice, che ha illustrato il Rapporto: “l’introduzione dei robot ha determinato una sensibile riduzione dei carichi di lavoro per 3 aziende su 4, e oltre il 70% dei lavoratori dichiara di aver notato un miglioramento delle condizioni di sicurezza nel lavoro”.

“Chi già utilizza soluzioni di robotica e Intelligenza artificiale”, osserva il presidente di Siri, “riscontra benefici in termini di produttività, efficienza e continuità della produzione, ma anche in termini di sicurezza sul lavoro, di mansioni e attività più pesanti, ripetitive, pericolose, a basso valore aggiunto, che vengono trasferite sulle macchine. Mentre il personale può essere dedicato a compiti diversi, a più alto valore aggiunto, e meno meccanici. Certo, con l’impiego dei robot in azienda, per determinati addetti il lavoro quotidiano può e deve cambiare, e per molti l’ostacolo maggiore resta la capacità di adattarsi alla novità e al cambiamento. Soprattutto se non si conoscono direttamente gli effetti dell’innovazione robotica, e si giudicano dall’esterno, spesso condizionati da suggestioni e preconcetti”.

La trasformazione Hi-Tech corre

Intanto la diffusione dei robot industriali nel mondo continua ad aumentare: erano un milione e 200mila nel 2013, un milione e mezzo nel 2014, quasi due milioni lo scorso anno. “Nel 2017 sono stati venduti e installati 381 mila nuovi robot industriali, con una crescita del +30% rispetto al 2016” fa notare Arturo Baroncelli, past president di Ifr, la federazione internazionale della robotica, che analizza lo sviluppo del settore: “la Cina è saldamente il primo mercato, con una quota del 36% a livello mondiale, seguita da Giappone, con il 12%, e Corea del Sud, 10%”.

La crescita mondiale prevista per il 2018 è di un altro 10%, pari a 421 mila unità, e si stima un ulteriore incremento medio annuo del 14% fino al 2021 (630 mila unità). Ottimi risultati anche per l’Italia, con 7.700 robot installati nel 2017 (+19% sul 2016, indice più che doppio rispetto alla Germania e triplo rispetto agli Stati Uniti), e con una crescita a fine 2018 prevista addirittura superiore ai livelli dello scorso anno. Del resto, nel primo semestre 2018, in Italia l’incremento del mercato è stato del 31%, con 5 mila robot industriali venduti, rispetto ai 3.800 del primo semestre 2017.

E come densità di robot nelle aziende, vale a dire quanti dispositivi Hi-Tech si contano ogni 10mila addetti, a guidare la classifica mondiale è la Corea del Sud, con una media di 710, seguita da Singapore, con 658. L’Italia è decima, con 190 robot ogni 10mila lavoratori.

Queste nuove tecnologie, rendendo disponibili per i lavoratori maggiori informazioni, e offrendo strumenti di comunicazione rapida, “favoriscono il ridisegno delle mansioni, il ridimensionamento delle gerarchie di basso livello, perché si instaurano forme di comunicazione diretta tra operai e le funzioni aziendali, saltando i capi intermedi, e portano a nuove forme di coordinamento di tipo orizzontale”, sottolinea Lino Codara, docente di Sociologia dell’organizzazione all’Università di Brescia. Che rileva: “oggi si parla sempre più, a questo proposito, di un “operaio aumentato”, cioè un operaio creativo, coinvolto, responsabile, in grado di gestire dati, di affrontare il Problem solving e di collaborare direttamente con i responsabili delle funzioni di staff. Gli studi e le ricerche sul campo ci dicono che nelle realtà più evolute i lavoratori mostrano anche livelli più alti di soddisfazione. E ancora più dell’arricchimento delle mansioni e della polivalenza, ciò che pare interessare ai lavoratori è essere coinvolti nelle decisioni che riguardano il proprio lavoro”.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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