Nel 2020 le conseguenze della pandemia mondiale si sono abbattute anche sull’industria italiana della robotica, che ha registrato un anno negativo, con tutti gli indicatori che risultano in flessione: è quanto evidenziano i dati diffusi da Siri, l’Associazione Italiana di Robotica e Automazione, in collaborazione con il Centro studi di Ucimu – Sistemi per Produrre.
I dati parlano di un calo dei consumi del 14,2%, che è tuttavia inferiore rispetto a quello registrato da altri settori, come quello delle macchine utensili (-19%). La domanda è stata in larga parte (per l’87,3%) soddisfatta dall’importazione, che registra una dinamica molto simile a quella dei consumi, con una flessione del 14,7%. Meno marcato il calo delle consegne dei produttori nazionali sul mercato domestico (-10,4%)
Negativi anche i dati della produzione dei costruttori italiani, che registra una flessione del 20,1%, attestandosi a 2.082 unità (con il 52,4% dei robot prodotti venduti all’estero). Risultato che è stato determinato dalla contrazione delle vendite sia sui mercati esteri, diminuite del 27,3% a 1.091 unità, sia, come dicevamo, sul mercato interno (-10,4% per 991 unità).
Dati negativi, ma che se letti nel contesto dell’anno appena vissuto mostrano una buona capacità del settore di assorbire shock improvvisi. Da ricordare, inoltre, che dopo “l’anno dei record” (il 2018), il 2019 aveva visto una leggera flessione del settore, con il consumo complessivo sceso dell’1,8%.
“La robotica italiana ha affrontato la pandemia dopo aver concluso un anno che era stato caratterizzato sia dalla flessione legata alla crisi del settore automotive, sia alle tensioni commerciali tra i principali mercati di sbocco, ovvero Cina e Stati Uniti”, spiega Domenico Appendino, Presidente Siri.
Le previsioni per il 2021 parlano di un recupero di consumi a doppi cifra, del +21,5%: Siri prevede, infatti, che nel 2021 i robot installati in Italia raggiungeranno le 9.455 unità, numero superiore ai valori pre-crisi (nel 2019 si erano registrate 9.070 unità) e a quelli record registrati nel 2018 (9.237 unità).
Ricordiamo che secondo i dati ufficiali dell’International Federation of Robotics relativi al 2019 (quelli sul 2020 saranno presentati a settembre), l’Italia con 74.420 unità installate (+8%) è il sesto utilizzatore mondiale di robot industriali.
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Le tipologie di robot più utilizzate e i loro campi di applicazione
Analizzando nel dettaglio il settore, si nota la prevalenza dei robot articolati (80%) tra le tipologie di robot installati nel 2020, con un totale di 6.204 unità, in calo del 15,4% rispetto alle 7.333 registrate nel 2019.
Il restante 20% dei robot installati si divide tra robot cartesiani e Scara: per i primi si registrano 374 unità (in calo del 24,3% rispetto al 2019), mentre i secondi si fermano alle 881 unità.
Per quanto concerne le applicazioni, non si registrano cambiamenti significativi tra il 2020 e il 2019: i robot sono prevalentemente utilizzati per le operazioni di manipolazione, che rappresentano il 73,8% del totale (nel 2019 rappresentavano il 73,3%) e il 66,1% dei robot prodotti in Italia.
Tale area comprende diverse applicazioni, tra cui la principale, in termini di unità, è la manipolazione per stampaggio plastica, con un numero di robot pari a 474 unità (la maggior parte sono robot di tipo cartesiano). Altro segmento significativo è quello della manipolazione di materiali, per il quale sono stati prodotti 345 robot. Segue la manipolazione per carico/scarico macchine (242 unità) e per stampaggio e forgiatura (102 unità).
Al secondo posto la saldatura (10,3% delle applicazioni totali), che registra una flessione dell’1,7% rispetto al 2019. “Una flessione da attribuire alla crisi del settore automotive”, spiega Alessandro Santamaria, CEO di Roboteco-Italargon e membro dell’ IFR (International Federation of Robotics).
In crescita gli utilizzi per l’assiemaggio, che costituisce il 9,1% delle applicazioni (nel 2019 rappresentava l’8% del totale), e l’utilizzo nella distribuzione di sostanze, che dall’1,5% del 2019 si porta al 4,1% nel 2020.
Per i dati del mercato globale relativi all’anno 2020 si dovrà attendere la consueta pubblicazione dell’IFR di settembre (per quelli relativi al 2019 si può consultare questo articolo).
La crescita dei robot di servizio
In aumento la diffusione dei robot di servizio, dovuta sia all’integrazione con altre tecnologie (e in particolare con l’intelligenza artificiale (AI) e l’apprendimento automatico, sia alla diffusione in un numero sempre maggiore di campi di applicazione.
“Se in origine vi era una demarcazione più netta tra robot industriali e robot di servizio, questa linea sta diventando sempre meno nitida. A seconda dell’applicazione, la stessa unità può essere utilizzata sia come robot di servizio che come robot industriale”, spiega Rezia Molfino, ex Presidente Siri.
I campi dove i robot di servizio trovano maggiore applicazione sono l’uso domestico (pulizia, ma anche i cosiddetti robot “di compagnia”), l’intrattenimento, l’assistenza alle persone deboli, il trasporto di persone e la sicurezza domestica.
Le previsioni dell’IFR parlano di una costante crescita dei robot di servizio nei prossimi due anni. In particolare, grandi opportunità si apriranno nel settore medicale (anche grazie alla scadenza dei brevetti statunitensi) e nell’assistenza ai più deboli, la cui domanda è destinata a salire in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione.
Il ciclo virtuoso della robotica: perché l’automazione favorisce l’occupazione
La presenza, sempre maggiore, dei robot all’interno delle fabbriche e in altri ambienti della nostra vita quotidiana ha permesso di sradicare alcuni pregiudizi che si erano diffusi nei loro confronti. In particolare, diversi studi specifici hanno analizzato il rapporto tra robot e occupazione.
Su questo tema, la stessa IFR aveva commissionato nel 2011 uno studio alla società di ricerca britannica Metra Martech. “Da questo studio è emerso un dato molto importante, ossia che nel 2008 il milione di robot in servizio aveva generato tra gli 8 e i 10 milioni di posti di lavoro – spiega Domenico Appendino – e sulla base di questo dato possiamo stimare che i 3 milioni di robot in servizio ad oggi hanno generato tra i 20 e i 25 milioni di posti di lavoro”.
Una correlazione che è stata soggetto di analisi da diversi studi successivi a quello del 2008, come lo studio del Manheim Centre for European Economic Research (ZEW) dell’Università di Utrech. Lo studio, risalente al 2016, ha messo in luce la catena di relazioni che dall’introduzione dei robot porta all’aumento dell’occupazione, il “ciclo virtuoso della robotica”: l’automazione riduce i costi di produzione e conseguentemente il prezzo dei prodotti, questo porta ad un aumento della domanda, che a sua volta porta a un aumento della forza lavoro.
Una correlazione che può essere osservata anche nei dati relativi all’andamento dell’automazione e della disoccupazione in Italia, diffusi da Siri e aggiornati al 2019, che mostrano una correlazione positiva tra un maggiore impiego della robotica e la diminuzione della disoccupazione.
Allo studio del 2008 ne sono seguiti molti altri che hanno portato alla luce i diversi contributi della robotica all’economia di un Paese. Tra questi ricordiamo: “The Impact of Automation” (Centre for Economics and Business Research, 2017), che ha riscontrato tra il 1993 e il 2016 una crescita del 10% nel PIL pro capite nei Paesi OCSE che hanno investito in robotica, e “Computers don’t kill jobs but do increase inequality” (Harvard Business Review, 2016), che ha riscontrato un aumento di occupazione maggiore in quei settori dove è stata introdotta l’automazione.
Più recente è lo studio “Stop worrying and love the robot: An activity-based approach to assess the impact of robotization on employment dynamics” (INAPP, 2021), che ha sottolineato come l’introduzione di robot industriali tra il 2011 e il 2018 non ha prodotto effetti negativi sul tasso di occupazione, anzi ha contribuito (seppur in misura contenuta) alla riduzione del tasso di disoccupazione.
“È vero che i robot uccidono alcuni posti di lavoro, come quelli più ripetitivi e pericolosi per l’uomo, ma ne creano molti altri ed è per questo che il saldo è positivo”, aggiunge Appendino.
Una considerazione fatta anche dal World Economic Forum che nelle sue previsioni del 2018 ha stimato che entro il 2025 a metà dei lavori attuali sarà svolta dai robot, con una perdita di 75 milioni di posti di lavoro. Allo stesso tempo, però, i robot creeranno 133 milioni di posti di lavoro più specializzati, con un saldo di 58 milioni di nuovi posti di lavoro creati.
Questi gli studi citati da Appendino. Va detto, per amor del vero, che ci sono anche studi altrettanto rilevanti che dimostrano che il saldo netto in alcune circostanze può essere negativo.
Competenze della forza lavoro e AI: le sfide che imprese e governi devono vincere
In questo scenario, la formazione dei lavoratori assume un ruolo chiave. “Per arrivare a questo occorre fare investimenti nella formazione del personale, ai lavoratori servono le giuste competenze per fare questo salto”, spiega Appendino.
Un salto che richiede impegno sia da parte dei governi, che devono investire nella ricerca e nello sviluppo della robotica per sfruttare i vantaggi in termini di occupazione, sia da parte delle imprese, che devono impegnarsi attivamente in appropriati programmi di riqualificazione per i dipendenti.
Programmi che si rendono indispensabili alla luce delle previsioni del mercato per i prossimi anni, che stimano numeri sempre maggiori di robot utilizzati nell’industria e nelle grandi possibilità applicative che emergeranno anche grazie all’intelligenza artificiale e all’apprendimento automatico.
Proprio l’intelligenza artificiale sarà il motore principale dell’evoluzione tecnologica dei robot e il software il principale protagonista: l’AI sarà infatti integrata ai robot fisici, ma molte attività verranno automatizzate attraverso applicazioni software eseguite sui computer (i cosiddetti bot).
“Per questo è assolutamente necessario la regolamentazione dell’intelligenza artificiale e dei cosiddetti robot super intelligenti. Per avere ancora un mondo industriale che mette al centro l’uomo, bisognerò disporre di regolamentazioni basate su principi etici”, spiega Appendino.
In questa direzione si è mossa l’Unione Europea, con la proposta del regolamento sull’intelligenza artificiale presentato dalla Commissione Europea lo scorso 21 aprile.