“A me piace molto la favola della cicala e della formica: i ricercatori sono come le formiche, che si procurano cibo e lo ammassano per l’inverno. Come studiosi ci siamo preparati per anni a sviluppare le conoscenze, educare il capitale umano e a sviluppare prototipi, creando anche startup per trasformarli da prototipi in applicazioni. E oggi, che abbiamo la capacità di creare robot per moltissime occasioni, troviamo la cicala – non mi faccia dire chi è – che si stupisce dell’arrivo dell’inverno e ci chiede perché oggi non ci sono i robot in corsia”. Il professor Paolo Dario, fondatore dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, uno dei laboratori di ricerca tra i più attivi a livello mondiale, cita la favoletta di Esopo per spiegare la situazione attuale.
In una interessante intervista rilasciata a Innovation Post (la trovate in formato audio in fondo all’articolo) il professor Dario delinea le tante sfaccettature che legano il mondo della robotica all’emergenza Covid 19. Il mondo delle macchine intelligenti, infatti, è stato spesso tirato in ballo in questo frangente e proprio dai robot potrebbero arrivare alcune delle risposte più interessanti.
Le soluzioni, infatti, sarebbero anche a disposizione ma il problema di base è quello degli investimenti necessari a renderle disponibili solo nel momento in cui ce n’è realmente bisogno. “Questo lo avevamo già visto nel caso di Fukushima“, prosegue Paolo Dario. “Quando avvenne il disastro nucleare molti si chiesero perché i robot non erano pronti. E se non erano pronti in Giappone, che nell’immaginario collettivo è considerata la patria dei robot, possiamo ben capire perché non sono pronti da noi. Io già nel 2010 guidai una proposta di robot companion for citizens, per sviluppare un esercito civile di robot in grado di fiancheggiare gli uomini in molte situazioni, un piano decennale, con un bando da un miliardo, ma siano arrivati terzi. Noi non ci siamo fermati e di robot a disposizione ce ne sono, ma non tanti come avremmo voluto”.
Indice degli argomenti
Prevenzione, sanità, logistica e agricoltura, ecco i 4 filoni della robotica di emergenza
Anche perché il mondo della robotica potrebbe avere un forte impatto nella lotta alla pandemia e, in un recente articolo pubblicato su Science Robotics, scritto assieme ad altri 12 esperti di robotica del mondo, sono stati delineati alcuni compiti che le macchine intelligenti potrebbero svolgere molto bene.
Prevenire: “Che vuole dire pulire, disinfettare, perché è noto che negli ospedali circolano impunemente batteri, i super bugs, che sono antibiotico resistenti”, dice Paolo Dario. Estirpare la presenza di questi batteri è una priorità. Si può fare lavandosi le mani ma anche con una disinfezione sistematica, h24. Adesso, dopo questa emergenza, sappiamo che la carica virale non rimane solo nei droplet ma anche nell’aerosol,e quindi potrebbe restare nell’aria per ore. E allora si potrebbe non solo disinfettare pareti e pavimenti con i liquidi ma anche far girare permanentemente dei robot dotati di lampade all’ultravioletto che potrebbero disinfettare permanentemente i locali. E questa potrebbe essere una soluzione per la fase due. Non mi riferisco solo agli ospedali, che sarebbero la sede primaria, ma anche ai luoghi pubblici, le fabbriche, le scuole”.
Poi ci sono i robot in corsia. “Questa è l’applicazione che potrebbe sembrare più banale: si potrebbe dire che basta un tablet vicino al letto del paziente. Ma abbiamo visto che se a portarlo sono i robot è meglio. Abbiamo visto come si devono bardare i medici e gli infermieri per avvicinare i pazienti quando, se andasse un robot, potremmo anche risparmiare tempo, i 15 minuti per la vestizione e almeno altrettanti per togliere le protezioni. Poi c’è il tema della somministrazione dei tamponi o dell’esame sierologico. Anche questo è fatto da personale sanitario ma è un lavoro rischioso per il contagio. I robot collaborativi oggi sono capaci di toccare le persone e potrebbero essere loro a fare i tamponi e ad analizzarli. Ma il robot può intervenire in tutte le operazioni legate all’assistenza, da quelle più delicate come l’intubazione, fino alla somministrazione del cibo o alla manipolazione e lo spostamento dei pazienti. Perché devono farlo medici rischiando il contagio quando può essere fatto dai robot?”.
Passiamo alla Logistica: “Tutto il trasporto di pacchi o di oggetti all’interno di ospedali, residenze, ma anche altrove, potrebbe essere svolto dai robot. Amazon usa solo quelli all’interno dei magazzini e funzionano bene, con grande velocità e accuratezza. E anche questo è un filone che potrebbe avere un grandissimo sviluppo, accentuato dall’esperienza che stiamo vivendo”.
Infine l’Agrifood: “Tutto quello che riguarda la filiera del cibo può essere aiutato dalla robotica. La stima è di oltre 250 mila persone che mancano in questa filiera, per raccogliere nei campi o accudire animali. Perché non pensare a un corpo di robot che, sia in pace che in guerra, come questa contro i virus, possa intervenire in nostro aiuto? Qui non si tratta di agricoltura di precisione ma solo di raccogliere prodotti che, in caso contrario, marcirebbero”.
Paolo Dario: “Robotica e meccatronica nel Dna delle nostre imprese”
I robot dunque possono rappresentare un grande aiuto per gestire l’emergenza, una buona opportunità per creare l’ambiente adeguato a vivere la seconda fase dell’emergenza, ma anche una possibilità di rilancio delle nostre imprese che da questa emergenza potrebbero trovare nuove opportunità.
“Costruire robot è un business che crea business”, spiega Dario. “L’azienda che fa il Da Vinci (il robot chirurgo, ndr) ha 5 mila dipendenti, è quotata alla borsa di New York. Ma anche quella che fa i robot aspirapolvere (il riferimento è a iRobot, l’azienda che produce i famosi Roomba, ndr). Costruire robot è quasi come costruire automobili, abbiamo un mercato molto simile, e l’Italia in questo ha le carte per competere. Anche perché oggi non sappiamo più costruire un cellulare o una Tv, l’intelligenza artificiale sta nella Silicon Valley, oppure in Cina, mentre i robot, la meccatronica, è nel nostro Dna. Noi sappiamo fare l’hardware, abbiamo una conoscenza spettacolare nella meccanica e nella meccatronica di precisione. Questa sarebbe l’occasione per riconvertire le aziende. Non quindi per fare respiratori, che per fortuna servono solo nell’emergenza, ma per fare robot che possono assistere i medici in ospedale, nelle Rsa, nella logistica, nella pulizia: tutte cose che serviranno in futuro e che hanno un mercato in espansione”.