L’avvento dell’Industria 5.0 sta mettendo sempre più al centro dell’attenzione delle imprese il tema della sostenibilità, intesa non solo nell’accezione ambientale ma anche (e soprattutto) nella sua dimensione sociale.
Se con l’Industria 4.0 il focus era sulle tecnologie digitali e i vantaggi che queste possono abilitare, con l’affermarsi dei paradigmi del 5.0 si riporta l’attenzione sul ruolo dell’uomo all’interno del processo di produzione e creazione del valore delle aziende dell’industria.
In un tale scenario – dove l’umano-centrismo è un tema così importante da venir considerato uno dei “pilastri” di questo nuovo paradigma – che ruolo può assumere la robotica, spesso bollata come tecnologia disumanizzante? E su quali fronti si sta muovendo la ricerca per affrontare temi complessi con soluzioni prima d’ora inesplorate?
Questi sono stati i temi al centro dell’intervento di Bruno Siciliano – docente di Robotica dell’Università Federico II di Napoli, Presidente del Consiglio Scientifico del Centro ICAROS e coordinatore del PRISMA Lab – nell’ambito dell’Industry4.0 360 Summit, l’evento digitale dedicato ai trend e le tecnologie più rilevanti per l’industria organizzato da Innovation Post, Industry4Business e ESG360, testate del Network Digital360.
Indice degli argomenti
La robotica al servizio dell’uomo nell’era di Industria 5.0
La distinzione tra la robotica e l’intelligenza artificiale diviene evidente attraverso l’azione fisica, una dimensione che conferisce un carattere personale e diretto all’interazione tra uomo e macchina.
“Nel momento in cui penso alla prospettiva umanocentrica, penso a un’immersione totale nella tecnologia che riguarda non solo l’intelligenza, ma riguarda anche la parte percettiva e la parte attuativa“, spiega Siciliano. “In fondo è proprio la parte attuativa che distingue la robotica dalla intelligenza artificiale, nel momento in cui c’è un’azione fisica, l’azione fisica è personale per definizione”, aggiunge.
La robotica, dunque, non deve essere più vista come un elemento disumanizzante, ma piuttosto come uno strumento capace di valorizzare e integrare le capacità umane grazie alla sua componente attuativa. I cobot, o robot collaborativi, sono un esempio lampante di come la tecnologia possa adattarsi alle esigenze e alle caratteristiche fisiche di ciascun individuo, promuovendo la diversità e l’inclusività.
Si tratta di un esempio delle tecnologie di interazione (IAT) – termine coniato proprio da Bruno Siciliano e da Antonio Bicchi, il Presidente di i-RIM – che rappresentano un’evoluzione naturale delle tecnologie dell’informazione.
Un concetto che si riferisce alla parte di interazione delle tecnologie nel mondo fisico e, nel caso della robotica, fa riferimento a un altro tema coniato nell’ambito della ricerca accademica dai due professori: quello di “physical AI”, vale a dire intelligenza artificiale fisica.
“Questa tecnologia è ancora nella sua ‘infanzia’. Se volessimo fare un paragone, sul piano delle abilità motorie accoppiate all’intelligenza, con un essere umano, è come se ci trovassimo davanti a un bambino di uno o due anni”, spiega Siciliano.
Da quando i due professori hanno spiegato per la prima volta questo concetto in un commento pubblicato circa due anni e mezzo fa sulla rivista Nature Italy, il termine IAT si è allargato presso la comunità scientifica, uscendo dall’ambito della robotica e abbracciando temi più ampi, da quelli legati a una dimensione più strettamente fisica e che riguardano: la meccanica, l’elettronica di potenza, la parte elettrica, la parte sensoriale, la parte computazionale, l’interazione uomo-robot, ad aspetti cognitivi e sociali che rimandano alle scienze della vita (come il tema dell’ispirazione biologica delle macchine) e alle scienze umanistiche per quanto riguarda le conseguenze etiche, giuridiche, sociologiche ed economiche dell’utilizzo di queste macchine intelligenti.
Verso l’Internet of Skills
Se nell’Industria 4.0 è lo scambio dei dati ad abilitare vantaggi significativi per le aziende, con l’evoluzione della robotica e dell’intelligenza artificiale, a essere sempre più cruciale sarà la possibilità di replicare le competenze del singolo all’interno del mondo virtuale per consentire un’esperienza fisica da remoto, grazie a dispositivi aptici che si coniughino con le proprie skills.
Si afferma dunque un nuovo paradigma che prende il nome di “Internet of Skills”, che estende il concetto dell’Internet of Things (IoT) verso una dimensione più interattiva e immersiva. Mentre l’IoT si concentra sulla connessione tra oggetti fisici e la rete, basata su un flusso di dati in entrata e uscita, l’Internet of Skills mira a digitalizzare e trasmettere abilità umane attraverso la rete, creando così un ponte tra competenze fisiche e spazi digitali.
“Un esempio concreto di applicazione dell’Internet of Skills si trova nel campo medico, in particolare nella chirurgia robotica. Grazie a questa tecnologia, è possibile realizzare programmi di formazione per specializzandi in chirurgia, consentendo loro di esercitarsi e acquisire competenze pratiche a distanza. Gli specialisti possono replicare azioni fisiche complesse, come quelle richieste durante un intervento chirurgico, attraverso dispositivi robotici controllati a distanza, ricevendo feedback tattili che simulano l’esperienza reale”, spiega Siciliano.
Il Phygital Twin
Al centro di questo paradigma troviamo il concetto di “gemello digitale” o “digital twin”, che si riferisce alla creazione di modelli digitali in grado di emulare il comportamento di sistemi fisici nel mondo reale. Questi modelli non solo replicano le funzionalità degli oggetti ma possono anche incorporare la componente fisica, estendendo l’interazione al di là dei limiti tradizionali.
Da questa idea nasce il neologismo “phygital twin”, un ibrido tra “fisico” e “digitale”, che enfatizza l’integrazione delle sensazioni tattili e delle abilità umane nel mondo virtuale.
Per realizzare l’Internet of Skills, è necessario un canale di comunicazione estremamente affidabile e veloce, capace di ridurre al minimo la latenza per trasmettere sensazioni tattili e azioni fisiche in tempo reale.
In questo contesto, la tecnologia 5G gioca un ruolo fondamentale. Grazie alla sua capacità di offrire connessioni ad alta velocità con bassa latenza e una maggiore affidabilità rispetto alle generazioni precedenti, il 5G si pone come la tecnologia abilitante per l’Internet of Skills, permettendo la trasmissione di abilità umane con una percezione di ritardo quasi nulla.
Soft robotics: innovazione e ispirazione dalla natura nella ricerca robotica
Tra le nuove frontiere di ricerca in ambito della robotica vi è la “soft robotics” che si ispira alla natura per esplorare soluzioni innovative a problemi complessi.
Un ambito di ricerca che si inserisce all’interno di un contesto, spiega Siciliano, basato su due concetti principali: quello di “metamorphic robotics” – che si riferisce alla capacità di un sistema di adattarsi morfologicamente allo scenario in cui andrà ad operare – e quello di “embodiement”, quindi di un’intelligenza non solo neuronale, ma legata alla forma e alla funzione di un arto.
Un tema che il team di ricerca del Prof. Siciliano sta esplorando con il team di ricerca dell’Università di Torino (guidato dal Prof. Arezzo) e con altri colleghi britannici e francesi nell’ambito di un progetto che ha vinto un Synergy Grant, un finanziamento concesso dallo European Research Council per progetti di ricerca che mettono insieme competenze e risorse diverse per sviluppare soluzioni innovative in grado di risolvere problemi complessi e di importanza primaria.
L’obiettivo del progetto è quello di sviluppare un robot a eversione che faciliti lo svolgimento degli esami di colonscopia, rendendoli più sicuri e meno invasivi e contribuendo così alla lotta contro il cancro colon-rettale, che risulta essere uno dei tipi di cancro più comuni in tutto il mondo.
“Nell’ambito di questo progetto stiamo cercando di sviluppare una procedura di tipo teranostico, cioè che permette di fare una terapia, quindi un intervento chirurgico, nella fattispecie la rimozione di un polipo che è una massa precancerosa nel colon durante la fase diagnostica. L’ispirazione per questo ‘vermone’ è proprio di natura biologica per avere la capacità naturale di inserirsi nel colon senza l’invasività della tecnologia corrente, quindi il tubo di gomma, che potrebbe causare stress al paziente o rappresentare un pericolo se usato da un operatore meno esperto”, spiega Siciliano.
“Ho fatto questo esempio proprio per evidenziare come l’ispirazione biologica può portare a soluzioni che sono meno convenzionali da un punto di vista del design meccatronico, ma che si adattano naturalmente al contesto in cui devono essere applicate. Ci sono già tanti esempi di questo genere”, conclude.