Non v’è dubbio che uno dei temi più dibattuti negli ultimi tre anni è stata la trasformazione, o forse sarebbe più corretto dire il totale ripensamento degli spazi e delle modalità di lavoro nelle imprese. Dal remote working allo smart working, dal paradigma agile ai digital workspace, la filologia ci ha accompagnato anche nella ricerca di una o più definizioni in grado di rappresentare i cambiamenti avvenuti.
Ed è su questi cambiamenti e su cosa effettivamente comportano all’interno delle organizzazioni che ci siamo confrontati con Luca Sartori, Digital Workplaces Practice Leader in Kyndryl Italy.
“È cambiato l’approccio”, è la premessa. “Parlare di Digital Workplace oggi significa, in primis, non avere un workplace, mettere al centro non il luogo fisico di lavoro, bensì l’utente consentendogli di lavorare ovunque con strumenti diversificati, aziendali o personali, potendo accedere in cloud a tutta una serie di applicazioni aziendali e tool di produttività basati sulla logica del software as a service. Tutto questo fruendo nel contempo anche di una serie di servizi di supporto, spesso trasparenti per l’utente, che automatizzano una serie di operazioni relative alla gestione del suo posto di lavoro, prevedendo in anticipo con logiche cognitive e di predictive/proactive intervention, possibili problemi e risolvendoli in background”.
Un digital workplace fatto anche di strumenti di collaboration e che sia di fatto basato su una piattaforma che permetta anche all’utente di ricevere informazioni, formazione, contenuti in funzione delle attività in cui è impegnato, grazie alle funzioni cognitive a di automazione integrate nella piattaforma stessa.
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Non solo white collar: il digital workplace entra anche in fabbrica
Un aspetto interessante, messo in luce con Luca Sartori è che si tratta di un cambiamento pervasivo, che tocca non solo i classici “white collar”, già coinvolti nei percorsi di digitalizzazione delle imprese, ma anche figure diverse, che probabilmente alla digitalizzazione non avevano mai pensato, come sta accadendo nel mondo industriale.
“È un cambiamento culturale molto forte, che va guidato e incoraggiato. Parlo ad esempio dei dipendenti che lavorano nei plant, che lavorano in ambienti particolari, hanno bisogno di device particolari, non solo perché diversi dal tradizionale pc, ma perché dotati di funzioni e caratteristiche specifiche per il tipo di ambiente in cui vengono utilizzati “- spiega Sartori -. Anche in questo caso è importante pensare a servizi di digital workplace pensati nella logica di un’utenza che sta nel plant”.
Serve un approccio multidisciplinare, perché entrano in campo elementi diversi, dai robot e dalle macchine sulla linea a tutto quanto ha a che vedere con l’Internet of Things.
“Questi dispositivi e questi utenti devono poter lavorare scambiando quantità di dati con macchine, attuatori, rilevatori di dati … La logica non è solo quella del digital workplace: si esce dal dal dominio tradizionale dell’utenza d’ufficio e si approda in pieno nelle logiche multidisciplinari, prendendo in giusta considerazione anche tutti gli aspetti di security, proprio in considerazione dell’enorme quantità di dati che viaggiano fra vari dispositivi, non più totalmente residenti e controllati nel data center”.
In considerazione di tutti questi aspetti, sottolinea Sartori, è importante abbandonare una visione a silos, “cercando di vedere l’opportunità insita nel progetto in modo olistico: security e networking non sono dominio specifico dei digital workpalce, ma vanno affrontati. Ed è quello che, come Kyndryl, facciamo in assoluta sinergia tra le nostre diverse aree e specializzazioni”.
Il digital workplace importante anche per l’attrazione di talenti
Il punto che sottolinea Sartori è che nel tempo è cambiata la natura degli utenti con cui è importante confrontarsi.
“Oggi il tema del capitale umano è più che mai strategico: le imprese, anche per effetto della trasformazione digitale, devono trovare i talenti giusti, giovani, nativi digitali, figure in grado di aiutare a guidare la trasformazione digitale. E trovandoli devono poi trattenerli, fidelizzarli seguendo logiche nuove di retention, che puntano alla piacevolezza del lavoro e alla disponibilità di strumenti adeguati e moderni”.
È dunque fondamentale offrire una esperienza digitale che faccia sentire i dipendenti a loro agio con le piattaforme digitali che l’azienda mette a disposizione e con i relativi servizi di supporto.
Nella visione di Kyndryl, ci sono tutta una serie di servizi che fanno parte del corredo storico del digital workplace e che presumibilmente continueranno ad esserlo, a partire dal device lifecycle management, che ha a che fare con la fornitura, il deployment, l’abilitazione dei dispositivi.
“Ma oggi noi stiamo puntando soprattutto sull’evoluzione dei servizi remoti di assistenza, come l’Intelligent Cloud Contact Center, i virtual agent e altri strumenti self service che permettano di migliorare l’esperienza lavorativa dell’utente. Analogamente stiamo spingendo su tematiche di digital service management. In questo caso, tramite ambienti di osservability raccogliamo grandi quantità di dati che ci permettono di capire come l’utente lavora, quali sono le applicazioni creano più difficoltà o che impattano sulla produttività, quali sono i problemi che riscontra sui device. Da questi dati raccolti su tutta la popolazione aziendale, si riesce a capire dove bisogna intervenire, avviando progetti di miglioramento dei punti deboli”.
Sono tematiche, spiega Sartori, che vedono naturalmente in prima linea la funzione HR, che ha poi bisogno della funzione IT per portare avanti progetti di innovazione digitale importanti.
“Si crea una convergenza di intenti tra tante funzioni e discipline all’interno dell’organizzazione, con l’obiettivo di favorire la miglior employee experience possibile”.
Verso lo zero touch con automazione e virtualizzazione
Non è un percorso semplice, anche perché l’obiettivo sarebbe riuscire a gestire in modo standardizzato, univoco, semplice e trasparente per il cliente diversi device, garantendo le stesse funzionalità su ciascuno. E “nonostante si siano fatti importanti passi avanti, c’è ancora da lavorare sia sull’automazione sia sullo zero touch, soprattutto in tutte quelle realtà in cui coesistono piattaforme e scelte tecnologiche diverse, che richiedono convergenza, standardizzazione, integrazione”.
E nonostante sia uno degli ambiti più “gettonati”, soprattutto nel periodo pandemico, secondo Sartori non siamo ancora arrivati a mettere completamente a frutto le piattaforme di collaborazione e di condivisione di contenuti e dati.
“Abbiamo firmato una partnership globale strategica molto importante con Microsoft di cui abbiamo adottato la suite di collaboration. Devo dire che moltissime aziende nostre clienti sono ben lontane da utilizzarne le piene potenzialità”.
Kyndryl è di fatto best practice per l’adozione di Microsoft Teams, visto che, nel giro di un anno dallo spin off da IBM ha effettuato il deployment di 90.000 dispositivi in tutti i Paesi in cui è presente, rispettando i tempi.
“Per noi era una piattaforma completamente nuova: siamo passati in blocco sull’ambiente integrato di Microsoft in meno di un anno senza avere nessuna interruzione di servizio o difficoltà con gli utenti. È stato un progetto molto complesso, che ci ha consentito di scoprire le potenzialità della piattaforma. E lo stesso accade con molti clienti, che hanno in casa una Ferrari, ma la utilizzano come se fosse una buona berlina”.
Attenzione al change management
Al di là del focus specifico sulla piattaforma Microsoft, Sartori sottolinea che, qualunque sia la scelta tecnologica, per sfruttare appieno questo tipo di piattaforme, serve esperienza tecnica progettuale.
“Serve un partner che abbia capacità di consulenza strategica e di change management: un modo di lavorare diverso, strumenti diversi, come quelli cognitivi, richiedono un percorso che aiuti gli utenti a conoscerli, apprezzarli e sfruttarli, abbandonando modalità operative più tradizionali”.
Cita il caso di un cliente che ha introdotto nelle proprie procedure gli agenti cognitivi. È servito un percorso di formazione interna sul change management per portare 22.000 utenti a utilizzarli intensamente, riducendo in modo significativo le chiamate al service desk.
“In questo caso, non solo i ticket tradizionali sono calati del 27%, ma il ricorso intensivo ai cognitive virtual agent ha consentito di istruirli ulteriormente, aumentandone la capacità di risolvere i problemi”.
Fondamentale, dunque, è non fermarsi alle feature tecnologiche, ma aiutare i dipendenti a fare il salto e a mettersi in gioco.
I focus di Kyndryl per il digital workplace
La proposta di Kyndryl sui digital workplace parte dunque dal device e lifecycle per arrivare allo zero touch, all’automazione nella gestione degli ambienti, agli strumenti di self help, al ridisegno ottimizzato del supporto onsite.
La società sta investendo sull’implementazione degli intelligent cloud contact center con integrati agenti cognitivi, chatbot di comunicazione, strumenti di automazione per associare ad esempio l’utente che chiama e l’agente del service desk che lo ha seguito più recentemente, o per abilitare funzioni di controllo remoto sulle applicazioni per le quali si riscontrano problemi.
Analogamente, c’è un importante focus sulla virtualizzazione, che rappresenta, come spiega Sartori, “un passo importante verso la standardizzazione e la riduzione della complessità nella gestione dei posti di lavoro”.
“Quando parliamo di automazione – prosegue Sartori – intendiamo sia tematiche di observability, monitoring, management, sia tutti i processi che, all’interno di una organizzazione possono essere automatizzati. Pensiamo ad esempio quando una persona lascia un’azienda, c’è una quantità di processi che devono essere attivati, come creazione delle utenze, cambi delle deleghe, gestione degli accessi alle applicazioni… Lo stesso accade con ogni nuovo ingresso in azienda. Noi abbiamo servizi che gestiscono questi processi sfruttando motori di automazione come RedHat, o la Power Platform di Microsoft. Abbiamo asset di automazione che inseriamo nei nostri servizi e che possono portare a un recupero di efficienza nella gestione di questi processi”.
Tutto questo viene proposto a una platea di imprese che non comprendono solo aziende di classe enterprise, molto strutturate, con oltre 5.000 dipendenti, ma anche un buon numero di realtà più piccole.
“Siamo a supporto di realtà con necessità e caratteristiche particolari. Per restare ad esempio nel mondo industriale, pensiamo ad aziende che contano qualche centinaio di addetti, e che devono lavorare sull’armonizzazione e sull’integrazione di flussi e processi”.
Articolo originariamente pubblicato il 05 Apr 2023