Secondo le stime di IDC il mercato dei wearable passerà dai 102 milioni di dispositivi consegnati nel 2016 a 213 milioni nel 2020, con una crescita media superiore al 20% annuo. I driver di questa crescita non saranno però tanto i wearable classici – smartwatch e fitness band – il cui peso sul mercato complessivo scenderà dal 92% attuale all’80%, ma occhiali per la realtà aumentata (+201% all’anno) e abbigliamento intelligente (+62% all’anno).
L’importanza di queste tecnologie – emblemi dell’Internet of Things – è sempre più apprezzata anche in ambito industriale, al punto che nel Piano nazionale Industria 4.0 inserito nella legge di stabilità i dispositivi indossabili sono esplicitamente annoverati nell’elenco delle tecnologie che possono accedere ai benefici dell’iperammortamento.
I wearable sono un raro caso di tecnologia incentivata sia sul lato hardware che software. Li troviamo infatti indicati nell’Allegato A (quello che elenca i beni strumentali che possono accedere ai benefici dell’iperammortamento al 250%), nella sezione relativa ai “Dispositivi per l’interazione uomo macchina e per il miglioramento dell’ergonomia e della sicurezza del posto di lavoro in logica 4.0”, dove si indicano esplicitamente i “dispositivi wearable, apparecchiature di comunicazione tra operatore/operatori e sistema produttivo, dispositivi di realtà aumentata e virtual reality”. Ma li troviamo anche nell’Allegato B, quello che indica i beni immateriali (software) che possono accedere a un ammortamento maggiorato al 140%. Qui si parla di “software, sistemi, piattaforme e applicazioni per la gestione della realtà aumentata tramite wearable device”.
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Dalle origini a oggi
I primi tentativi per una loro adozione in ambito manifatturiero non è recentissima: primordiali esperimenti di palmari rugged montabili su braccio o con supporti risalgono ai primi anni Duemila. L’obiettivo era lasciare l’operatore con entrambe le mani libere.
Dopo il 2010 si registrano invece i primi utilizzi dei Google Glass come nuova futuristica frontiera dell’interfaccia tra uomo e macchina. Qualche esempio lo fornisce GE Digital nel 2013 (si legga questa notizia), ma anche Progea alla fiera SPS del 2014 (si guardi questo video). Si trattava prevalentemente di “proof of concept”, dimostrazioni tecnologiche che non potevano trovare una reale applicazione (non foss’altro perché Google non ha mai effettivamente messo in commercio i suoi occhiali).
La situazione è cambiata rapidamente nel corso degli ultimi anni, nel corso dei quali sono stati sviluppati nuovi prodotti (il posto dei Google Glass è oggi occupato dalle HoloLens di Microsoft), alcuni dei quali pensati proprio per l’utilizzo industriale, come i Moverio di Epson. Ma anche altri dispositivi, come i visori 3D per la realtà aumentata (HTC Vive e Oculus Rift) e gli smartwatch possono essere utili in diversi momenti della vita di un’industria. Ci sono anche alcuni esperimenti interessanti realizzati con l’abbigliamento smart, una sorta di seconda pelle sensorizzata.
I benefici
Ma perché i wearable interessando anche l’industria? Quali sono i benefici connessi all’utilizzo efficace di dispositivi indossabili in ambito manifatturiero? Un primo, se vogliamo banale, benefit riguarda il miglior impiego della forza lavoro e la sua produttività. L’uso di wearable device può infatti sostituire dispositivi per la certificazione della presenza sul luogo di lavoro, consentire la localizzazione dei dipendenti in azienda (cosa particolarmente utile quando occorre gestire squadre di lavoro per compiti time-sensitive) e infine velocizzare l’invio di istruzioni per i compiti da svolgere.
I manager, a loro volta, possono ricevere dati in tempo reale sul magazzino, sulle commesse in esecuzione, e avere visibilità sui KPI di produzione. Avere accesso a queste informazioni contribuisce all’ottimizzazione globale dei processi.
C’è poi la gestione degli “alert” relativi a guasti e problemi su macchine e impianti. Ricevere una notifica quando una macchina smette di funzionare o quando i dispositivi di sicurezza intervengono più spesso del solito può essere un’informazione preziosa.
L’ultimo punto è quello meno immediato ma forse più importante e riguarda la sicurezza. I wearable non si limitano infatti solo a registrare calorie bruciate o chilometri percorsi, ma possono raccogliere anche informazioni particolarmente utili per la prevenzione di incidenti sul lavoro, misurando il respiro, la frequenza cardiaca, la postura e rilevando se una persona è stata esposta a gas tossici.
Il collegamento dell’operatore industriale al mondo digitale tramite sensori indossabili insomma può migliorare l’efficienza e la sicurezza dei lavoratori in maniera diretta o indiretta.
I dispositivi indossabili infatti rappresentano anche una preziosa fonte di dati da integrare con altri (magari in cloud) per ricavarne correlazioni statistiche che possono aiutare ad adottare un approccio proattivo alla soluzione di problemi, a ridurre i tempi di inattività e a prevenire gli incidenti.