Una connettività industriale sofisticata e di alto livello in tutta la fabbrica è la pietra angolare della trasformazione digitale e la chiave per il futuro dell’Industria 4.0: di questo si è discusso nel corso dell’evento “Industrial Connectivity: Accelerating the Roadmap to Becoming Digital-First”, organizzato da Analog Devices (ADI).
Un evento ispirato dai risultati di uno studio realizzato da Forrester e commissionato da ADI, incentrato proprio sull’impatto che i nuovi trend della connettività industriale possono avere sulla trasformazione digitale delle imprese, dalla connettività wireless, al 5G e alle nuove frontiere dell’integrazione IT/OT.
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Flessibilità, resilienza e modernizzazione degli impianti, a che punto sono le aziende?
Lo studio ha coinvolto 300 senior leader nel campo della connettività industriale, che hanno risposto a domande mirate a individuare la strategia adottata dalle compagnie manifatturiere in questo ambito. Dalle risposte ottenute, le compagnie sono state divise tra quelle con bassa, media ed alta maturità nell’adozione delle tecnologie di industrial connectivity.
Dai risultati emerge che gran parte delle compagnie con una bassa maturità in queste tecnologie si sta cercando di adottare nuovi strumenti di industrial connectivity, ma il 53% di esse dispone ancora di apparecchiature che non sono in grado di comunicare con altre.
Le aziende di media maturità, in cambio, sono più fiduciose nei loro sforzi per migliorare l’affidabilità della rete e proteggere i loro dati industriali. Tuttavia, stanno ancora trovando la loro strada lungo il viaggio per diventare organizzazioni “digital-first”.
Infine, le aziende ad alta maturità stanno abbracciando la produzione flessibile, dato che circa la metà di questi intervistati sono più capaci di gestire lotti di piccole dimensioni, riconfigurare rapidamente e personalizzare i prodotti.
Dai risultati si evince, quindi, come le tecnologie di connettività industriale siano essenziali per vincere alcune delle sfide che la manifattura si trova ad affrontare in questo momento: flessibilità nella produzione, efficienza sui piccoli lotti e customizzazione del prodotto.
Sfide su cui la pandemia ha posto i riflettori, mettendo in luce l’importnaza di avere catene di fornitura robuste, capaci di sopportare shock improvvisi (come la mancanza di materie prime o l’interruzione del commercio internazionale), impianti in grado di rimodulare la produzione a seconda della domanda e tecnologie che permettano alle aziende di continuare le loro operazioni anche da remoto.
In questo processo, il dato assume un ruolo ancora più importante, se viene utilizzato dalle aziende per aggiungere valore alla supply chain. Ma per dare valore al dato, occorre dotarsi di un ecosistema di tecnologie connesse, dall’Edge al Cloud Computing, agli algoritmi di Machine Learning e alle applicazioni che permettono di trasformare le informazioni ricavate dal dato in insight.
È in quest’ultimo passaggio che c’è ancora molto da fare, come spiega Greg Henderson, Senior Vice President, Automotive, Communications, Aerospace & Defence per ADI. “La maggior parte delle tecnologie di connettività utilizzate attualmente all’interno delle fabbriche è rivolta a raccogliere informazioni sulle performance dei macchinari e statistiche generali, mentre tende meno ad essere utilizzarla in una visione più ampia di ottimizzazione real-time dell’impianto”.
Connettività industriale, i trend emergenti
Un’evoluzione che deve procedere di pari passo con la modernizzazione degli impianti, nella creazione di un’infrastruttura complessa, dove dati provenienti da macchinari diversi e da diverse aree del business possono essere processati e integrati per fornire una visione di insieme dell’impianto e ottimizzare così la produzione.
Una grande spinta all’adozione di questa gestione integrata verrà dal 5G e ai vantaggi che introdurrà nell’Industrial IoT (IIoT), come una bassa latenza, che permetterà davvero il monitoraggio degli impianti in tempo reale.
A questo si aggiungono altre tendenze abilitate da quella che è una “tecnologia sviluppata tenendo a mente la connettività industriale”, spiega Henderson.
“Il 5G ha introdotto un concetto importante, quello del network slicing, ovvero permette di dividere il network in fette, alcune di esse possono essere destinate a applicazioni che richiedono alte performance e una latenza molto bassa, mentre altre fette possono essere destinate ad applicazioni meno critiche, per cui è richiesta una latenza meno bassa e una qualità inferiore di performance”.
Un’altra tendenza che si sta osservando a livello globale, e che sta prendendo piede negli Stati Uniti (soprattutto tra le compagnie che forniscono utenze) è quella di acquistare spettri privati. “In questo ambito le possibilità sono tante – continua Henderson – le compagnie potrebbero decidere, ad esempio, di affidare la gestione dello spettro a un operatore o possono scegliere di costruire il proprio network dedicato all’interno di quello spettro. La possibilità di avere spettri dedicati per applicazioni industriali fornisce alle imprese più flessibilità”.
Possibilità che saranno potenziate anche da un network che si svilupperà in un’ottica di open-access, dove invece di lasciare al singolo venditore il compito di costruire il network per intero, si creano interfacce standard aperte, esattamente come sta accadendo nell’IT industriale. “Il 5G può portare a soluzioni interoperabili, plug & play, e creerà un ecosistema connesso più ampio. Questo apre la possibilità anche per i software provider di poter aggiungere a un network determinati servizi”, conclude Henderson.
Tendenze che aprono la strada a innumerevoli campi di applicazione del 5G nel settore manifatturiero, da una gestione davvero smart dell’impianto, a un utilizzo ancora più sicuro di veicoli a guida automatica (AGV) e dei robot collaborativi, fino ad arrivare a una catena di fornitura integrata e connessa, dalla produzione al consumatore (e viceversa).
“Grazie al progresso delle tecnologie di connettività industriale (sia cablate che wireless) immagino un futuro dove le fabbriche sono connesse, senza interruzioni, alla supply chain, con consumatori connessi ai prodotti e i lavoratori connessi con alle macchine. Questo porterà a all’ottimizzazione dei prodotti e delle catene di fornitura, con impatti economici, sociali e ambientali molto significativi”, commenta Conor McCarthy, Centre Director & Principal Investigator, CONFIRM – Smart Manufacturing.
Una catena che può funzionare solamente nell’ottica della sicurezza, che rappresenta ancora una delle principali preoccupazioni delle imprese che intraprendono un percorso di digitalizzazione degli impianti (e anche uno dei principali ostacoli all’adozione delle nuove tecnologie), “perché nell’ottica di una fabbrica automatizzata, dove i robot collaborano con gli operatori, bisogna avere una struttura robusta e che, in caso di compromissione della comunicazione, assicuri la sicurezza dell’ambiente”, spiega Bernhard Eschermann, CTO presso ABB process automation.
Non solo, sono sempre più numerosi attacchi informatici rivolti a grandi aziende, come il caso di Colonial Pipeline, l’oleodotto statunitense recentemente vittima di un attacco ransomware. Casi che accendono i riflettori sull’importanza di non trascurare la sicurezza dei sistemi e delle infrastrutture, man mano che le fabbriche diventano sempre più connesse. E i cambiamenti nell’industria, sottolineano gli esperti intervenuti al panel, nel futuro avverranno a ritmi ancora più sostenuti.
Una manifattura che mette l’uomo al centro
Ma la tecnologia non basta per diventare un’azienda “digital-first”. Se è vero che la pandemia ha dato una spinta alla digitalizzazione delle imprese, è altrettanto vero che occorre cambiare la mentalità con cui molte aziende si avvicinano alle tecnologie industriali. A spiegarlo è Paul Miller, Principal Analyst presso Forrester.
“La strada per la digitalizzazione di un’impresa dovrebbe iniziare dall’individuare l’obiettivo che si vuole raggiungere o il problema che si intende risolvere. Volere tecnologie di IoT o di robotica solo per il gusto di averle è una visione completamente sbagliata, anche perché a volte la soluzione è nelle tecnologie, altre volte la soluzione può venire dalle persone: può essere necessario aggiornare le competenze della forza lavoro, cambiare la struttura manageriale, riorganizzare i team, e così via”.
Questa sarà, secondo Miller, una delle principali sfide che la manifattura si troverà ad affrontare nei prossimi anni: un approccio antropocentrico, dove le tecnologie avranno sì un compito importante, ma non si sostituiranno all’uomo. Per questo si parla di human augmentation, con la tecnologia che affianca l’operatore, svincolandolo da compiti ripetitivi o pericolosi e aiutandolo nelle operazioni più complesse.
Ed è questo che permetterà alla manifattura di affrontare un problema sempre più urgente: quello della mancanza di talenti. A fronte di una popolazione che invecchia, infatti, le aziende del manifatturiero faticano a trovare il giusto mix di competenze per sostituire questi operatori.
“La sfida, per l’industria, è quindi quella di rendere il manifatturiero attraente per i giovani, altrimenti non riusciremo a sostituire i lavoratori che andranno in pensione”, commenta Richard Tool, Partner Digital Platform Strategy & Innovation a Verizon.