Secondo un’analisi presentata qualche mese fa dalla società di consulenza britannica PA Consulting, il 70 per cento delle aziende produttive citate nella Fortune 1000 del 2008 sono sparite.
Un numero elevatissimo, che inevitabilmente sposta l’interesse su quel 30 per cento di sopravvissute, per capire come hanno fatto a resistere.
Sono aziende come Boeing, General Motors, John Deere, Rolls Royce, IBM.
E la risposta è semplice nella sua complessità: sono tutte state capaci di adattarsi ai cambiamenti radicali del mercato, di adeguare i loro modelli di business alle nuove regole, di affidarsi alle leve tecnologiche per dare nuovo valore ai loro prodotti, di ridisegnare le loro organizzazioni.
In un’era in cui i mercati cambiano velocemente, la marginalità si riduce e la competizione si fa sempre più serrata, una delle leve del cambiamento è quella di offrire qualcosa di più e di diverso ai propri clienti. Offrire qualcosa che vada oltre la semplice fornitura di un prodotto o di una soluzione. Qualcosa che crei un legame più solido e duraturo tra cliente e fornitore e dia un senso nuovo alla “catena del valore”.
Questo qualcosa ha un nome: servizio, anzi, servizi. E guida verso un modello di business del tutto nuovo, nel nome della “servitization”.
Indice degli argomenti
Cosa è la servitization
Con servitization si identifica innanzi tutto l’opportunità per un produttore di creare dei revenue stream, dei flussi di fatturato ricorrenti, offrendo ai suoi clienti servizi aggiuntivi, in grado di valorizzare il prodotto anche nelle fasi successive alla vendita.
Di fatto, la servitization porta le aziende del mondo manifatturiero a ripensare completamente il loro modello operativo, tradizionalmente impostato sul ciclo progettazione-produzione-vendita, secondo nuove logiche molto più orientate al servizio.
Detto in altri termini, all’interno dell’organizzazione aziendale, le attività di servizio, assistenza e manutenzione, tradizionalmente ascrivibili al mondo delle operation, possono trasformarsi in attività di business ad alto margine.
Già due anni fa, in un rapporto dedicato proprio ai nuovi scenari di business, l’Unione Europea disegnava un ideale percorso di trasformazione delle imprese verso le nuove logiche di servizio.
Da un approccio ancora fortemente orientato al prodotto, nel quale i servizi sono semplicemente a corredo e completamento dell’azione di vendita, si comincia a passare all’idea di pay per use. In questo caso la titolarità del prodotto è in mano al fornitore, che lo rende disponibile al cliente secondo diverse modalità: leasing, affitto, condivisione.
Un ulteriore step è quello che implica il maggiore livello di trasformazione: la logica è orientata al risultato e ciò che si vende è il servizio o il livello di servizio. Cliente e fornitore si accordano su un obiettivo secondo una logica di Activity Management
Source: Copenhagen Business School
Ed è sempre il report dell’Unione Europea che disegna una mappa interessante del percorso di evoluzione che le aziende devono compiere per trasformarsi da produttori a fornitori di servizi.
Nel momento in cui l’azienda produttrice ancora investe poco sul fronte dei servizi, si limita a intervenire in caso di guasto o di malfunzionamento.
Gradualmente la curva di coinvolgimento sale, fino ad arrivare alla creazione di una relazione “performance-based” tra cliente e fornitore.
Casi di scuola ve ne sono già.
Nel mondo delle lavanderie industriali, ad esempio, invece che vendere lavatrici, il fornitore può concordare una forma di noleggio basato sui cicli di lavaggio che la macchina esegue. Su questa prima forma contrattuale, può aggiungere ulteriori servizi per la fornitura automatica di detergenti e ammorbidenti in base ai consumi effettivi. Inoltre, grazie all’Internet of Things e alla sensoristica installata a bordo della lavatrice, è in grado di analizzarne comportamenti e consumi, intervenendo preventivamente prima che si verifichi un guasto o un fermo.
Cosa cambia rispetto al passato
È chiaro che per chi si è sempre occupato di manufacturing, l’idea di servizio associato al prodotto non è certamente una novità. Da sempre i produttori hanno offerto garanzie e contratti di servizio, dall’installazione alle revisioni periodiche fino agli interventi di riparazione sui loro prodotti.
Dove sta, dunque, la differenza?
La differenza sta nei prodotti stessi. Nell’era digitale in cui ci troviamo, i prodotti possono montare una serie di sensori in grado di misurare innumerevoli parametri sulle condizioni ambientali, le modalità operative, pesi, vibrazioni, temperature, pressioni, viscosità… restituendo un monitoraggio preciso di performance, efficienza, conformità con gli standard richiesti o con i protocolli di sicurezza di riferimento.
E sono proprio tutti questi dati che consentono lo shift, il passaggio a una relazione cliente-fornitore basata sul risultato invece che sul solo prodotto. Per il cliente il passaggio è interessante, perché gli dà la certezza che gli obiettivi di business saranno raggiunti, senza preoccuparsi del “come” ciò accadrà. Il fornitore coglierà i vantaggi di una relazione stabile con il proprio cliente, a fronte di un’assunzione di rischio e responsabilità.
I quattro vantaggi della servitization
Per potersi realizzare, la servitizzazione ha bisogno di un presupposto tecnologico importante.
Per poter abilitare i nuovi servizi, è necessario che i prodotti siano smart, ovvero connessi, dotati di sensoristica e intelligenza a bordo. Servono dunque Internet of Things, data analytics, oltre a una infrastruttura cloud sulla quale appoggiare il flusso di informazioni, dalle quali si possono trarre gli insight che guidano tutto il processo decisionale.
Parliamo di trigger tecnologici che abilitano un modello di business che porta indiscutibili vantaggi a chi lo adotta.
In primo luogo un miglioramento significativo dell’affidabilità e dell’uptime grazie all’integrazione di servizi di monitoraggio a bordo macchina, in grado di avvertire in caso di anomalie e di abilitare interventi preventivi o predittivi. Il risultato è un aumento dell’affidabilità, una riduzione dei costi di manutenzione e in generale un miglioramento nella percezione del brand.
Un secondo vantaggio, questa volta lato cliente, è strettamente correlato proprio alle informazioni che derivano dall’utilizzo stesso del prodotto. Ad esempio, rilevando i dati relativi ai consumi di una caldaia, il produttore può dare al cliente consigli su come ottimizzarne gli utilizzi risparmiando.
Il terzo vantaggio riguarda la possibilità di migliorare le funzionalità del prodotto, senza doverlo sostituire. In questo caso si tratta di abilitare, spesso semplicemente mediante aggiornamenti dei software a bordo macchina, nuove funzionalità e servizi, incrementando di nuovo il revenue stream correlato al singolo prodotto e al singolo cliente. Tra i casi d’uso possiamo pensare ad esempio al mondo dell’automotive, con l’abilitazione di servizi di mappe o di in-car entertainment.
Il quarto vantaggio, e probabilmente quello più significativo, della servitization sta nella opportunità che offre di sviluppare business del tutto nuovi rispetto a quelli che rappresentano il core di una impresa, facendo leva sugli insight che provengono dai prodotti smart e connessi e sulla più profonda conoscenza che acquisiscono sull’esperienza d’uso dei loro clienti.
Il già citato caso delle lavanderie è un perfetto esempio di questa evoluzione di business, così come lo è la case history di Kaeser Kompressoren, che da tempo ha spostato il proprio core business dalla vendita di compressori alla vendita di aria compressa, in modalità as a service.
Gli effetti collaterali della servitizzazione
Naturalmente, ci sono degli “effetti collaterali” in questa trasformazione di business che non possono non essere presi in considerazione.
In primo luogo, il cambio culturale dell’azienda stessa. Passare dalla vendita di scatole, prodotti, ferro o comunque lo si voglia chiamare a un approccio consulenziale alla vendita richiede un ripensamento dell’impostazione di tutta l’azienda. Se è vero che la servitization consente di prolungare la relazione oltre la fase di mera vendita, è anche vero che la fase iniziale richiede tempi più lunghi, necessari per acquisire una visione più chiara dei bisogni dei clienti e per definire gli obiettivi da raggiungere.
In secondo luogo, la strada verso la servitizzazione richiede comunque investimenti e risorse finanziarie sia per la gestione dei macchinari, sia per l’infrastruttura IT necessaria a sostenere processi e soluzioni basati sui dati, sia ancora per attuare percorsi informativi interni all’azienda o per reclutare nuove figure professionali in grado di operare in un modello data-driven e dunque di governare i dati che provengono dagli smart products.
Le 4 C della servitization
In un interessante articolo pubblicato lo scorso mese di febbraio su Industrial Distribution si sottolinea come il passaggio al nuovo modello di business richiede la realizzazione di una infrastruttura che consenta agli OEM e ai distributori di raccogliere, condividere e comprendere i dati rilevanti relativi al funzionamento dei loro macchinari.
I dati provenienti dai diversi sensori a bordo macchina e a bordo linea non possono e non devono essere più racchiusi in silos, ma devono entrare in un framework che deve includere tutti dati disponibili per poter dar vita a processi efficaci. Tutti i dati provenienti dalle diagnostiche, dai servizi di assistenza, dalle applicazioni dei call center devono contribuire a creare una visione completa del macchinario e dell’impianto, corredata di dati storici e di qualunque altro tipo di informazioni possano servire agli operatori del team.
Ecco perché quando si parla di servitization si fa riferimento alle 4 C: collaboration, controllo, connettività, consistenza.
Tra produttori e clienti si instaura infatti un rapporto di collaborazione, basato sullo scambio trasparente di informazioni; la connettività abilita il flusso di informazioni, mentre grazie ai dati i produttori possono avere maggiore controllo sulla manutenzione e la riparazione dei loro asset, con il risultato di una maggiore consistenza operativa complessiva.
Lo scenario italiano
Il tema della servitization è centrale nelle attività di ASAP Service Management Forum – community per la ricerca, la formazione, il networking e il trasferimento di soluzioni nell’ambito del sistema prodotto-servizio – di cui fa parte anche il RISE, laboratorio di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale (DIMI) dell’Università degli Studi di Brescia.
Nel mese di ottobre, ASAP ha presentato i risultati di uno studio condotto su un centinaio di aziende europee (48 delle quali italiane) operanti nel settore dei beni strumentali, per comprendere come il tema della servitization sia percepito e se già si possa parlare di revisione dei modelli di business.
Dall’indagine è emerso che sebbene vi sia una consapevolezza diffusa sull’importanza dei servizi, la maggior parte delle aziende interpellate non ha ancora avviato un percorso di service transformation, con una chiara definizione di strategie, budget, metodi.
Un’evidenza confermata anche dai dati di bilancio: allo stato attuale la vendita dei prodotti rappresenta ancora il 75 per cento delle revenue delle aziende interpellate, mentre la componente di servizio si aggira sul 20 per cento. Gli scostamenti più significativi da questa media, va detto, si registrano prevalentemente nelle aziende di medie e grandi dimensioni.
Il livello di servizi erogato, al momento, rispecchia in pieno l’approccio tradizionale all’assistenza e alla manutenzione.
Il freno al cambiamento è sicuramente di tipo culturale e non dipende esclusivamente da una resistenza da parte delle aziende produttrici. Sono gli stessi clienti che restano fortemente ancorati al possesso del macchinario, non capiscono fino in fondo il modello as a service e più in generale sono restii a far accedere i loro fornitori ai loro dati di produzione.
In questo scenario, di per sé poco incoraggiante, in realtà il dato positivo è proprio nella percezione positiva che tutti gli interpellati hanno mostrato sul tema e di conseguenza sulla possibilità di cominciare ad esplorarlo concretamente già in un prossimo futuro.
La visione di Tempestive
Il tema della servitization riveste un particolare interesse anche per Tempestive, realtà di Pordenone attiva da oltre 20 anni sul territorio nazionale e partner storico di Microsoft.
Da tempo la società indirizza con le proprie soluzioni e i propri servizi di consulenza il mondo dell’Industria 4.0, dell’Internet of Things e degli smart products.
“Siamo consulenti e abilitatori della digital transformation delle aziende nostre clienti”, spiega Paolo Santin, Business Development Manager & Partner della società. “Il nostro approccio non si ferma alla componente tecnologica, ma lavoriamo in team con i nostri clienti per definire idee, progetti, obiettivi di business, da raggiungere con il supporto della tecnologia”.
Tempestive ha al proprio attivo importanti progetti nell’ambito della servitization con clienti come Electrolux o Palazzetti, tutti sviluppati in una logica di business transformation.
“Attraverso le nostre soluzioni basate sull’Internet of Things, la nostra piattaforma Nuboj e l’infrastruttura cloud di Microsoft Azure, noi forniamo in realtà consulenza strategica e manageriale, per aiutare i nostri clienti a generare nuove opportunità di business, trasformando il prodotto in servizio”.
Paolo Santin parla di una forma di “creatività” dell’IoT: “Le macchine connesse diventano fonti di dati, andando a costruire una base di informazioni sulla quale è possibile sviluppare ulteriori servizi che supera l’idea stessa di manutenzione, per spostarsi verso l’area ben più interessante dell’upselling di ulteriori servizi”.
Tutto questo, Santin lo sottolinea, avviene nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di protezione dei dati e tutela della privacy.
“I nostri servizi indirizzano anche i temi della compliance, della contrattualistica giuridica, della consulenza fiscale per l’accesso agli incentivi – spiega ancora – mentre per quanto riguarda le nostre soluzioni, uno dei punti di forza è rappresentato dalla semplicità di utilizzo. Per i nostri clienti Electrolux e Palazzetti abbiamo sviluppato delle App, che li aiutino nella raccolta dei dati nella sicurezza che tutte le operazioni avvengano nel rispetto dei vincoli normativi”.