Un fastidioso “sassolino nella scarpa” o uno stimolo motivante? La Sostenibilità è pane quotidiano ormai per tante aziende, ma non per tutte la sua presenza è vista come “amica”. In uno scenario fatto di prescrizioni normative sempre più stringenti e crescenti pressioni dai consumatori, il bisogno di “esserci” si fa sempre più centrale. Eppure, conciliare esigenze ESG, operatività e profitto è spesso difficile, perché è proprio da questo intreccio che molte volte nascono criticità, problemi e ostacoli pratici di non semplice soluzione.
Dove si nasconde dunque la chiave per il successo? In un quadro globale fatto di sfide in continuo divenire, il segreto sta nella capacità di rendere virtuoso il rapporto fra il proprio modello di business e la Sustainability, rendendo quest’ultima una vera leva di crescita ma anche l’ispiratrice di strategie innovative. Un risultato tutt’altro che semplice, che da un lato impone di non ragionare su questi temi in ottica puramente strumentale (come invece tanti fanno) e dall’altro richiede la capacità di ripensarsi continuamente, se necessario adeguando il modello di business davanti alle criticità che possono presentarsi lungo la strada.
NiEW, società di consulenza strategica che da anni accompagna le aziende nel loro percorso di evoluzione verso il digitale, con un focus specifico sull’innovazione di prodotto, sa bene che questi temi sono ormai centrali. E da tempo promuove riflessioni sulle best practice da mettere in campo per “agire al meglio” sul fronte Sustainability.
“Prediligiamo e sosteniamo progetti con approcci agili e full-remote che garantiscano prima di tutto condizioni di lavoro fruttuose per il nostro team e quindi per l’ambiente che abitiamo e che spesso sono per noi più rilevanti rispetto a traguardi economico-finanziari – afferma Andrea Violante, CEO di NiEW – Anche all’interno dei progetti che svolgiamo per i nostri clienti, il digitale è spesso utilizzato per accorciare o per eludere le distanze, generando effetti positivi quantomeno dal punto di vista di sostenibilità ambientale. Infatti molti dei temi legati all’evoluzione dei servizi per il settore manifatturiero, su cui lavoriamo da diverso tempo, puntano non solo a valorizzare e promuovere l’assistenza da remoto, ma anche a promuovere forme di servitizzazione dei prodotti che, vedendo il ritorno economico nell’utilizzo e non nella vendita del bene, spingono tutti gli attori coinvolti a un uso più consapevole e rispettoso delle risorse impiegate. Il percorso è ancora lungo ma siamo sulla strada buona”.
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Sostenibilità e business: un rapporto dalle mille sfaccettature
Ma in che modo la Sostenibilità può diventare a tutti gli effetti un “ingrediente virtuoso” della strategia d’impresa? Per rispondere al quesito bisogna partire un po’ da lontano, scomodando i principi di base su cui si fondano i ragionamenti in questo ambito: ad esempio, analizzando il rapporto che sussiste fra Sostenibilità e modelli di business. E cosa si intenda, più nello specifico, per “modello di business sostenibile”.
Lorenzo Massa, advisor di Niew Design e coautore del libro “Sustainable Business Model Design: 45 Patterns”, (anche) a questi temi dedica da tempo la sua attività di ricerca presso la Business School Aalborg University e il World Economic Forum. E spiega che “in senso stretto” non esiste modello di business realmente sostenibile, perché tutti hanno impatti di vario tipo, che consumano risorse o che possono avere effetti negativi. Meglio è invece parlare di modelli di business per la sostenibilità, che hanno possibilità di supportare le aziende nella creazione di valore sociale e ambientale, oltre a quello economico, risolvendo alcune delle barriere strutturali che esistono alla sostenibilità e che hanno a che fare con il funzionamento dei mercati”.
Un esempio?
“Da un punto di vista Ambientale, in teoria bisognerebbe fare prodotti che durano a lungo, supportandone ad esempio la riparazione – spiega Massa -. Se l’azienda però ha un modello di business basato sulla vendita di quel prodotto, ovviamente è spinta a cercare di venderlo il più spesso e il più diffusamente possibile per evitare l’auto-saturazione del mercato. Questo crea un dilemma. Per creare valore ambientale dovremmo fare prodotti che durano a lungo, ma per fare profitto, una condizione necessaria per l’esistenza dell’azienda, dovremmo evitare di farlo. Questo dilemma nasce da come funzionano i mercati. È qui che entra in gioco il modello di business, ovvero la logica che l’impresa utilizza per creare e monetizzare valore.
Esistono alcune logiche che, in virtù della loro caratterizzazione, aiutano le imprese a ovviare a questi problemi. In sintesi, quindi, possiamo dire che per ‘modello di business per la Sostenibilità si intendono quelle logiche di creazione e cattura di valore che, in virtù della loro connotazione, permettono di risolvere alcune delle barriere ricorrenti alla creazione di valore ambientale e sociale. Ed è questo che descriviamo nel libro: “45 barriere ricorrenti e 45 modelli che offrono soluzioni a queste barriere”.
Le strategie ESG stanno realmente trasformando i modelli di business? E se sì, come?
“L’ESG è una derivazione del più ampio discorso sulla Sostenibilità, ovvero il ruolo che privati e imprese hanno nel supportare il sistema economico nella transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile. All’interno di questo discorso, è emerso negli ultimi anni il concetto di ESG che ha una connotazione che è molto strumentale: è quella che deriva dal mondo dei mercati finanziari e che porta con sé idea che le imprese debbano gestire in modo proattivo i rischi che derivano dai fattori di reputazione sociale, di medio ambiente, dalle pressioni sociali… tutti fattori che appartengono al concetto di Sostenibilità ma che sono finalizzati a gestire bene il business, in una prospettiva strumentale, di risk management. In questa logica, si potrebbero però presentare rischi per la società o per l’ambiente su cui l’impresa non ha responsabilità o incentivi, ma che sono comunque reali. Nell’ottica ESG, che comunque rimane un ottimo punto di partenza, questi aspetti non vengono contemplati direttamente. Forse ancora più importante, ESG, con la sua enfasi sul risk management, rischia di distogliere l’attenzione dalla parte più interessante del discorso sulla sostenibilità che è quella della sostenibilità come opportunità di innovazione, reputazione, etc.”.
È qui che intervengono altre connotazioni della sostenibilità e ESG?
“Esatto. Approcci come il GRI, il Global Compact, il triple bottom line o altri non hanno questa stessa prospettiva di strumentalità, e vanno oltre. Ne consegue che quando si parla di creazione di valore dell’impresa, non ci riferisce più solo a un concetto economico, ma si estende il ragionamento anche alla sfera ambientale e sociale. Cosa significa? Che arrivo a considerare fattori che, nell’altra connotazione, non avrei considerato: se ad esempio nell’impresa c’è un ambiente tossico che provoca casi di stress o burn-out, questo fattore, nel computo della creazione di valore, assume un impatto importante”.
Dunque in che modo, nel concreto, l’ESG può impattare sui modelli di business?
“Dipende da vari fattori. Uno cruciale è ad esempio il grado di maturità dell’impresa verso la Sostenibilità: se questo livello è basso, l’approccio è generalmente di compliance. E per fare compliance, che è un approccio difensivo, non serve scomodare il modello di business. Quando invece si pensa in modo innovativo al tema, ad esempio valutando dove e come si aprano opportunità grazie alla Sostenibilità, spesso si trasformare anche il modello di business.
Faccio un esempio: Haier recentemente ha promosso il nuovo servizio Washpass, una lavatrice durevole in comodato d’uso che ordina autonomamente le cartucce di sapone e opera grazie all’AI per il predictive maintenance. Ad oggi non si sa se questa novità rappresenterà in futuro una grande opportunità di mercato, ma l’impresa ha scelto comunque di correre questo rischio: ha intercettato un nuovo spazio di mercato, ispirata anche da una vision di sostenibilità, e vi si è inserita modificando il proprio modello di business.
Quindi, a conti fatti, l’impatto dell’ESG sul modello di business dipende anche dall’atteggiamento dell’impresa: difensivo o proattivo? Sustainability come noioso adempimento o trend su cui scommetto per il futuro?”.
In che modo l’innovazione tecnologica aiuta a progettare modelli di business che siano nello stesso tempo efficaci e sostenibili?
“Bisogna distinguere i casi. Un conto è parlare di tecnologie che nascono come sostenibili e che, per essere vendute sul mercato, hanno bisogno di un modello di business ad hoc. In questo caso, il modello non deve necessariamente essere sostenibile: potrebbe essere un banale modello di business che permette di commercializzare una tecnologia più green.
Altro tema riguarda invece il modo in cui l’evoluzione di certi settori tecnologici stia aprendo opportunità per le imprese, indipendentemente dalla sostenibilità del prodotto, per creare modelli di business più sostenibili. In questo scenario, tutto si gioca sull’intersezione fra le tecnologie digitali e le opportunità per nuovi modelli di business: uno dei modi in cui si risolvono molti dei problemi è ad esempio evolvere dalla vendita alla licenza di utilizzo, ovvero la servitizzazione, un approccio che il digitale aiuta moltissimo a gestire”.
Quali sono i benefici che il Manufacturing può trarre da modelli di business sostenibili? E quali le principali criticità?
“Per rispondere bisogna pensare a che tipo di Manufacturing facciamo riferimento, a quali siano le sfide di sostenibilità che affronta e quali siano le soluzioni disponibili davanti alle barriere che si possono presentare. Noi, nel nostro libro, ne abbiamo ad esempio identificate 45, mettendo in campo una conoscenza che, così decodificata, può diventare un patrimonio importante a supporto dei manager davanti a queste problematiche.
La domanda chiave, in ogni caso, è: la sostenibilità può aumentare i costi? E quando si manifestano i vari tipi di barriere, esistono soluzioni che hanno a che fare con la modifica del modello di business? Posso dire, rispondendo, che esistono soluzioni parziali: un esempio può essere la “versione green” del modello Gillette, ovvero la scomposizione del prodotto in due parti, una core e una periferica. Con questa logica, posso far sì che uno dei complementi (pensiamo ad esempio a una stampante) sia molto durevole, e dunque altamente sostenibile, compensando con il secondo modulo (la cartuccia). All’estremo, posso pensare a prodotti estremamente durevole accompagnati da contratti che prevedano ore di servizio del prodotto. Per macchine molto complesse, soprattutto in campo Manufacturing, questo è un valore molto interessante”.
Si tratta dunque di ragionare in ottica “ex post”, ovvero: sulla base delle barriere che incontro, adeguo il mio modello di business. È corretto?
“Sì, ma bisogna fare attenzione a dove posizioniamo l’ex-post. Più volte mi sono imbattuto in situazioni che partono da intuizioni di opportunità in ambito Sustainability, e che poi si sono scontrate con barriere di vario tipo. Alcune hanno richiesto solo una piccola sistemazione dei processi e altre modifiche, in altri casi le barriere si sono rivelate ben più strutturali e hanno finito per influenzare il modello di business. Quindi in questo caso l’ex post è sollecitato dalla barriera, ma ispirato dall’intuizione di un’opportunità iniziale”.
Qual è il grado di maturità su questi temi in Italia e in rapporto con il resto del mondo?
“Dipende da quale punto di vista guardiamo la questione. Da un lato c’è l’approccio “istituzionale”: da 40 anni si fanno discorsi e grandi conferenze a livello globale sullo sviluppo sostenibile, ma il progresso in termini concreti resta tuttora molto basso. A livello, invece, di Sustainability in ambito aziendale, bisogna dire che oggi assistiamo a una nuova ondata di interesse, più collegata a spinte regolatorie ma soprattutto a una crescente domanda di mercato. C’è molta più consapevolezza su questi temi, rispetto al passato.
Il livello di maturità? Purtroppo, ci sono ancora tante imprese che stanno “saltando sul carro” della Sostenibilità senza avere un’idea chiara dei concetti principali, delle condizioni che permettono di realizzarla e del modo di comunicarla. Per esempio: cosa devo considerare se sto pensando di uscire con un prodotto o servizio più sostenibile? Quali condizioni permettono, ragionevolmente, di pensare che faremo soldi? La sostenibilità ha le sue regole e spesso non sono conosciute. Parallelamente, nel mondo esistono anche vari Sustainability Champion, nonché casi nascosti con modelli di impresa molto interessanti e virtuosi, molti di questi anche in Italia. Nel nostro Paese c’è, da un lato, un’opportunità enorme, con molti valori che sono già sul campo grazie alla cultura umanista, dall’altro è forte il bisogno di impadronirsi degli strumenti per “parlare lo stesso linguaggio” in ambito Sustainability, anche all’interno della stessa impresa, e per capire, ad esempio, se una certa azione rappresenti un’opportunità. Insomma: sempre più spesso di parla di sostenibilità in impresa, ma si fatica a tradurla in azione. E, a mio modo di vedere, parte del motivo è che mancano gli strumenti e i concetti per rendere queste conversazioni utili, invece che circolari. Per utili intendo che permettano di generare idee ragionevolmente condivise o supportino l’identificazione di opportunità’ che motivano il management e passare all’azione. Credo che ci sia una vera opportunità per quelle imprese che decideranno di approcciare il tema sostenibilità proattivamente e con rigore, impadronendosi della relativa conoscenza, in particolare quella all’intersezione tra sostenibilità e strategia e sostenibilità e innovazione”.
Articolo originariamente pubblicato il 04 Apr 2023