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PNRR, ESG e trasformazione digitale sostenibile

Il piano nazionale Ripresa e Resilienza e il Piano di Transizione 4.0 offrono un cambio radicale dell’approccio aziendale anche in ottica di sostenibilità. Modelli come l’ESG aiutano le aziende a massimizzare queste opportunità, anche e soprattutto in chiave etica.

Pubblicato il 24 Nov 2021

Renato Castroreale

Direttore Tecnico

Chiara Ponti

Privacy Specialist & Legal Compliance e nuove tecnologie

ESG


Non è un caso che la missione 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR preveda poderosi investimenti in ambito, tra gli altri, di digitalizzazione e innovazione, e di trasformazione digitale sostenibile in chiave ESG.

Iniziamo con il dire che innovazione e digitalizzazione non sono sinonimi. Si tratta infatti di due concetti ben differenti.

Per innovazione (in accezione) tecnologica si deve intendere quel processo di crescita degli strumenti tramite i quali l’economia agisce sui propri interessi, raggiungibile da qualsiasi organizzazione (pubblica/privata).

Per digitalizzazione ci si deve riferire alla trasformazione digitale dei processi aziendali e alla crescita di competenza in merito al mondo digitale per abbattere il digital divide. Spesso la digitalizzazione è lo strumento per eccellenza, in un mondo dove la tecnologia digitale è sovrana. Entrambi sono in prima linea nei piani di investimento del PNRR.

La prima (innovazione) concerne in special modo alle reti ultraveloci, banda ultra-larga e 5G.

La seconda (digitalizzazione) concerne la trasformazione di processi, prodotti e servizi caratterizzando molte delle politiche e degli interventi di riforma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Non solo, essa costituisce anche uno dei tre assi strategici, condivisi a livello europeo, intorno al quale si sviluppa l’intero PNRR.

Tale scelta si fonda sulla ricerca del recupero nel ritardo accumulato in ordine alle competenze digitali dei cittadini, alla digitalizzazione del sistema produttivo e servizi pubblici, nonché agli investimenti infrastrutturali e tecnologici (rammentiamo che il nostro Paese si colloca al 25° posto su 28 Stati membri dell’UE.

PNRR: la ratio

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PNRR: il plafond

Il core della digital trasformation

La digital transformation indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali, associati all’applicazioni delle tecnologie digitali.

Questo approccio olistico, agendo in forma organica e combinata su tutti questi elementi, va ben oltre la semplice adozione delle nuove tecnologie, e permette di erogare prodotti/servizi in nuove modalità, tendenzialmente indipendenti dalla reale disponibilità di risorse (umane, materiali, intellettuali, economiche, ecc.).

Il processo di digital transformation è dunque supportato dall’adozione di nuove tecnologie; purtuttavia, non si limita alla mera adozione di queste ultime, poiché integra e coinvolge tutto l’ecosistema legato all’intero processo, incentivando tra l’altro la trasmissione di valori come l’etica, la trasparenza, la condivisione e, non di meno, la inclusione di tutti i partecipanti.

Grazie a questo nuovo approccio, la creazione di valore è senz’altro centrale.

Si tratta allora di cambiare la modalità di lavoro, la quale è bene che diventi “più intelligente”.

Una organizzazione, infatti, che intenda digitalizzare i propri processi deve prima di tutto modificare l’approccio sin dai “vertici”. Occorre non a caso una leadership motivazionale tale da supportare la trasformazione.

Ne discende che la crescita aziendale passerà attraverso qualità, puntualità nella pianificazione, e sostenibilità (non solo economica).

In quest’ottica, la trasformazione digitale migliora di molto l’efficienza, non solo in termini quantitativi pensando alla velocizzazione di certi processi, ma anche qualitativi con l’efficientamento delle risorse.

D’altronde, la digitalizzazione dei processi aziendali se da un lato garantisce ricavi nel breve e medio periodo, dall’altro pone le basi per una ottimizzazione continua e continuativa sul lungo periodo.

Svariati sono i fattori che contribuiscono ad un processo di digitalizzazione che conduca ad un livello soddisfacente di “maturità digitale”, analizziamoli di seguito i principali:

  • Intelligenza – Questo elemento è imprescindibile nel percorso vs la maturità digitale; al cuore v’è un desiderio di qualità elevato che spinge a digitalizzare i processi. Ciò non significa “più macchine e meno persone”, nient’affatto, piuttosto, più risorse umane impiegate in lavori più raffinati, con flussi di lavoro automatizzati e meglio gestiti, anche in termini di sicurezza delle informazioni e protezione dei dati.
  • Crescita Aziendale – La trasformazione digitale è parte integrante della visione aziendale. Una visione di crescita aziendale, resa possibile attraverso la garanzia di qualità elevata, mantenuta costante nel tempo.
  • Innovazione – La digitalizzazione porta all’innovazione, resa ancora più possibile grazie alle nuove tecnologie.
  • Sostenibilità – Le tecnologie digitali sono una leva importante per la sostenibilità. Si tratta di un aspetto fondamentale, difficile da contestare.

La sostenibilità della trasformazione digitale

Ciò che evoca, in primo luogo, la sostenibilità della trasformazione digitale è il consumo di energia.

Uno studio realizzato da EWZ (società per l’energia elettrica della città di Zurigo) ha evidenziato che il consumo di elettricità nelle case private a Zurigo è aumentato circa del 6% nel 2020 rispetto al 2019 per effetto del Covid e del conseguente cambiamento negli stili di vita (smart working, ma anche banalmente i servizi di video streaming). Specularmente, è diminuito quello delle imprese del 4%. L’EWZ ha, inoltre, calcolato che una videoconferenza di un’ora, a cui partecipano quattro persone, porta a un consumo di elettricità di circa 0,6 kWh.

Bisognerebbe, tuttavia, considerare anche la riduzione del traffico in ordine ai parametri/conseguenze ambientali e sociali. Altrimenti, il bilancio risulterebbe difficile da fare, limitandosi al solo elemento energetico, e non considerando altri fattori relativamente all’ESG.

Le implicazioni etiche della trasformazione digitale

Ancor più stimolante è l’aspetto che vede alla sostenibilità della trasformazione digitale con riferimento alle implicazioni etiche che essa comporta. L’evoluzione della tecnologia, negli ultimi anni, ha trasformato in profondità la vita delle persone, creando una vera e propria dipendenza dalla disponibilità di servizi e di strumenti digitali per la vita quotidiana (nella vita “fisica” e non solo in quella “digitale”). Di qui, i temi ESG davvero rilevanti quali: diversity & inclusion, discriminazione, safety, security, tracciamento e controllo, implicazioni ambientali di cui sopra, ecc.

Ad esempio, il ricorso alla tecnologia (Big data, AI) consente e agevola il trasferimento di decisioni da essere umani a software, secondo logiche che non sono sempre perfettamente descrivibili e neppure così facilmente riconducibili a criteri predefiniti e spiegabili a chi è soggetto a quelle decisioni, impattanti anche in termini di data protection.

A ciò si debbono sommare altri elementi, dal momento che può accadere la circostanza secondo la quale chi progetta e crea software trasferisca, nel proprio lavoro, pregiudizi, incomprensioni, sottovalutazioni ed errori.

Il software che classifica, seleziona e profila è inevitabile che discrimini o influenzi le nostre scelte o, addirittura, che scelga per nostro conto sulla base di criteri stabiliti altrove, e in un altro momento.

Ricordando la definizione di sviluppo sostenibile del rapporto Brundtland dell’87 («far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro») è dunque evidente che la questione etica è un tema di sostenibilità della trasformazione digitale e del sistema economico che sta generando e genererà.

Considerato il valore degli investimenti necessari per questa trasformazione, dunque, è indubbiamente interesse di tutti inserire, strutturalmente, una fase di valutazione degli impatti etici della tecnologia, che si progetta di utilizzare, che consenta di valutarli anticipatamente, inserendo, nelle soluzioni e/o nei servizi che si porteranno sul mercato, adeguate misure di contrasto ai rischi connessi.

Si tratta di un tema non più eludibile né procrastinabile: non per niente la UE ha in corso di approvazione un Regolamento sullo sviluppo di strumenti basati sull’intelligenza artificiale, che cerca di affrontare il tema con un approccio basato sul rischio, modulando i vincoli imposti agli sviluppatori in funzione dell’ambito applicativo e dei rischi ad esso connessi, vietando lo sviluppo di soluzioni in ambiti considerati ad altissimo rischio.

Considerare, in sede di progettazione, gli aspetti etici connessi all’adozione di strumenti digitali tecnologicamente evoluti, dovrà diventare un obbligo per tutte le aziende che ne intendano fare un “segno distintivo” o che, comunque, vorranno basare su tecnologie digitali avanzate i servizi da offrire alla clientela, o d’ausilio alla governance aziendale.

ESG

Il modello ESG

Dall’acronimo ESG, sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della “sostenibilità”, troviamo tre termini ben chiari:

  • Environmental (Ambientale)
  • Social (Sociale)
  • Governance (sistema di conduzione e di direzione di un’impresa).

Si tratta di tre “dimensioni” valoriali di fondamentale importanza al fine di verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di una Organizzazione.

Nello specifico, il modello ESG si deve ricondurre anzitutto a una serie di criteri di misurazione e di standard (in molti casi ancora in fase di sviluppo) delle attività ambientali, sociali e della governance aziendale; elementi tutti che si concretizzano in un insieme di standard operativi cui si devono ispirare le attività operative di un’azienda onde garantire il raggiungimento di determinati risultati ambientali, a livello sociale e di governance. Si tratta di criteri che sono poi utilizzati dagli investitori per valutare e decidere le loro scelte di investimento.

I criteri ESG sono importanti poiché consentono di misurare in modo preciso e sulla base di parametri standardizzati e condivisi le performance ambientali, sociali e di governance di un’azienda. Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”. I criteri ESG sono importanti perché consentono di ricondurre a criteri di misurazione oggettivi e condivisi anche le attività ambientali, sociali e di governance.

La gestione del rischio e le sue strategie

Posti i doverosi richiami alla norma ISO 31000 “Risk Management – Principles and guidelines”, in italiano UNI ISO 31000 Gestione del Rischio – Principi e Linee Guida” e quanto per conseguenza, atteso che per “rischio” debba intendersi generalmente quei fattori (interni o esterni) i quali si interpongono per il raggiungimento di un determinato obiettivo, determinandone uno “scostamento”, a fronte del quale il rischio è dato «dal prodotto della probabilità (o verosimiglianza, o frequenza di accadimento) per l’impatto (o magnitudo, o gravità delle conseguenze)».

Orbene, l’applicazione di queste metodologie all’ambito ESG non rappresenta di per sé una novità. Anzi, si tratta di una semplice estensione del cosiddetto approccio “risk based” (ossia la capacità di guidare le scelte aziendali, in qualsiasi ambito, grazie ad una valutazione preventiva dei rischi).

Nell’ambito dell’ESG, invero, troviamo alcuni nuovi termini, che è bene contestualizzare.

Anzitutto, l’Impact Investing che descrive l’approccio secondo il quale le imprese è bene che abbiano obiettivi più ampi rispetto ai soli ritorni economici. In questa visione il “benessere” degli azionisti (stakeholder) non è quindi solo dato dai profitti né tanto meno dalla (sola) crescita del “valore di mercato”, ma è un tutt’uno con i principi etici che debbono sostenere la crescita economica delle aziende. Nell’approccio Impact Investing non si cerca solo il raggiungimento di obiettivi di ritorno finanziario, ma si cerca anche di raggiungere obiettivi legati all’impatto sociale e ambientale delle imprese. Ecco che quindi la valutazione dei rischi deve considerare queste tre variabili, tanto imprescindibili quanto inseparabili.

In secondo luogo, troviamo l’ESG Integration quale approccio che utilizza le informazioni e le valutazioni ESG nelle strategie aziendali, anche senza attuare una reale strategia ESG. In altri termini, i criteri di valutazione ESG sono sfruttati per il loro potenziale di conoscenza al fine di analizzare e comprendere i fattori di rischio e le potenzialità di rendimento.

I citati criteri ESG sono dunque i KPI (Key Performance Index, o Fattori Chiave delle Performance), sono quegli indicatori che consento alle aziende misurare e quindi per conseguenza di poter monitorare le performance relative all’impatto ambientale, sociale e di governance.

Ecco che i transition risk, essendo il percorso di adozione dei principi ESG una vera trasformazione o transizione aziendale, sono degli ostacoli che si interpongono a questo virtuoso cammino (in altre parole i rischi specifici in ambito ESG).

Ne consegue dunque che per attuare un percorso virtuoso aderente al modello ESG, occorrerà considerare anche questi fattori legati ai Transition Risk, ovvero ai rischi legati alla trasformazione energetica, digitale, economica e, in non pochi casi, anche allo stesso modello di business.

ESG e rischio “greenwashing”

Tutti “parlano” di sostenibilità, ma occorre fare attenzione al rischio greenwashing.

Prima ancora che di ESG le imprese sono focalizzate sui temi della sostenibilità e lo sono perché la sostenibilità è sempre più richiesta dai consumatori nelle loro scelte quotidiane. La comunicazione fa leva ormai da tempo su questi temi e non a caso non pochi analisti hanno focalizzato l’attenzione su questa tipologia di rischi.

Quando ci troviamo davanti al greenwashing e come lo si può riconoscere?

Innanzi tutto, va detto che con questo termine si intende la pratica di alcune realtà, le quali “rivestono” di verde i propri prodotti e la propria immagine, senza tuttavia che i risultati “verdi” siano davvero basati su pratiche e dati concreti.

Ci si trova davanti a casi di greenwashing allorché i messaggi di sostenibilità non trovino un riscontro effettivo nelle specifiche caratteristiche dei beni o servizi venduti, o nelle modalità di produzione adottate dalle aziende.

In tali casi il claim aziendale, volto a enfatizzare l’attenzione alla sustainability, è di fatto un messaggio vuoto e fuorviante, volto a conquistare artatamente l’attenzione dei clienti. Ma nulla di più.

ESG come punto di convergenza tra innovazione sostenibile e digitale

Il modello ESG necessita di tempo per la sua attuazione, essendo incompatibile con delle logiche di breve periodo.

In questo il “digitale” può costituire un fattore di “accelerazione”; ma non si tratta di fare le stesse cose in un tempo minore, o premere sull’acceleratore nel compiere il nostro percorso di trasformazione.

Il digitale crea efficienza, e quindi consente di fare di più con meno tempo/risorse/sforzi, ed al contempo di attuare una trasformazione del modello economico.

É ben vero che i temi afferenti la trasformazione ambientale e sociale siano da tempo sotto i riflettori di tante organizzazioni. A fronte di scelte, talvolta coraggiose, e certamente anche molto impegnative in tema di trasformazione sui prodotti, la comunicazione avveniva sulla base della volontà delle imprese di valorizzare questo impegno, anche dal punto di vista della comunicazione, marketing e commerciale.

Da tempo, varie modalità per certificare e fornire garanzie sull’effettivo impegno e sui risultati effettivamente raggiunti da parte delle imprese allo scopo di fornire prevalentemente ai consumatori la certezza che il premium-price venisse richiesto a fronte di un impegno spesso straordinario in termini di gestione dell’impatto ambientale dei prodotti corrispondente effettivamente alla realtà.

Questa fase ha certo aiutato molte Organizzazioni ad acquisire un vantaggio competitivo, espressione pure di un valore etico che ha incontrato il favore di un numero vieppiù crescente di consumatori.

Da qui il passaggio a un sistema di monitoraggio, di verifica, di parametrizzazione e di creazione di vere e proprie classifiche volte a garantire, da un lato le scelte dei consumatori e, dall’altro – proprio in ragione della diffusione di questa tendenza –gli investitori nelle loro decisioni di investimento.

É così che l’ESG ha iniziato a diventare un fenomeno mainstream, registrando il passaggio da una fase in cui l’impatto ambientale e sociale o l’impegno etico delle imprese influisse sulle scelte di un numero contenuto di consumatori, a una situazione in forte crescita nella quale si è assistito ad un notevole aumento sia in termini di sensibilità dei cittadini che di quantità di consumatori. Parimenti è aumentata l’attenzione degli investitori verso le Organizzazioni che decidono di lavorare sull’impatto ambientale, sociale per assumere un comportamento più responsabile in termini di gestione delle risorse.

Perché gli investimenti ESG sono “sostenibili”

Gli investimenti guidati dai criteri ESG (Environmental, Social and Governance) rappresentano una tipologia di scelte finanziarie che nel passato sono state “confuse” con il concetto di “investimenti sostenibili”. Certamente gli investimenti guidati da criteri ESG hanno molti punti in comune con gli investimenti sostenibili tradizionali, ma hanno anche importanti differenze. la prima e più rilevante riguarda il concetto di misurabilità.

Con l’associazione ai valori della sostenibilità si intendono investimenti che sono finalizzati a produrre un ritorno positivo e ovviamente misurabile dal punto di vista economico per gli investitori, ma sono anche investimenti in grado di generare effetti positivi per la società e per l’ambiente. E anche questo risultati devono poter essere misurabili e rappresentabili in modo chiaro.

La differenza, pertanto, rispetto agli investimenti sostenibili del passato o “tradizionali”, risiede nel fatto che i criteri ESG consentono oggi di misurare concretamente gli effetti sociali e ambientali di questi investimenti, oltre agli effetti economici legati ai risultati di business e permettono di creare delle vere e proprie classifiche che mettono in “graduatoria” performance di imprese che puntano a ottenere risultati in termini ambientali, sociali e di governance, molto competitivi.

Conclusioni

Il Covid-19, nella sua drammaticità, un “qualche cosa” di positivo lo ha determinato — per quanto sarebbe stato più importante che risparmiasse vite — contribuendo ad una significativa spinta in avanti in ordine a questi temi/processi.

Se non ci fosse stata l’emergenza sanitaria che ha coinvolto l’intero globo comportando una crisi mondiale, i risultati tecnologici raggiunti in pochi mesi, li avremmo sì conseguiti, ma in un tempo decisamente più ampio. D’altra parte, etimologicamente il termine crisi dal greco κρίσις ha di fondo un’accezione positiva.

Da qui, l’opportunità del secolo (e senza esagerare), facendo convergere problemi economici dettati dal Covid-19, prima con il Recovery Plan nel panorama europeo, e poi con il PNRR, nel contesto del nostro Paese.

Se poi a ciò si aggiungono i temi ambientali, ogni giorno più “caldi”, si sono create le condizioni per risvegliare le coscienze anche sule tematiche ecologiche. Ecco che l’insieme di queste considerazioni hanno posto le basi per un profondo e radicale cambiamento, consentendo la nascita di un nuovo mondo più digitale, più sostenibile e più equo.

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Chiara Ponti
Privacy Specialist & Legal Compliance e nuove tecnologie
C
Renato Castroreale
Direttore Tecnico

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