Incentivare gli investimenti per la trasformazione sostenibile dell’industria europea e consentire agli Stati membri di competere con gli ingenti fondi messi a disposizione dagli Stati Uniti e dalla Cina a supporto delle loro imprese: sono questi gli obiettivi della riforma temporanea al sistema degli aiuti di Stato europei.
La riforma proposta, che passa ora agli Stati membri per consultazione, intende revisionare su base temporanea il sistema degli aiuti di Stato concessi nell’ambito del “Quadro temporaneo di crisi”, lo schema di aiuti di Stato adottato il 23 marzo 2022 per sostenere le aziende che subiscono le conseguenze delle azioni della Russia in Ucraina.
La prima modifica riguarda proprio lo scopo dello schema, che verrà ora adattato per rispondere alle necessità e agli obiettivi posti dal Green Deal Industrial Plan – la strategia europea per accelerare la transizione sostenibile dell’industria e rivendicare un ruolo di leadership in materia – e assumerà il nome di “Quadro temporaneo di crisi e di transizione“.
La seconda proposta apre invece alla possibilità, per i Paesi membri, di offrire un “aiuto corrispondente” per evitare che gli investimenti siano ingiustamente dirottati verso il miglior offerente al di fuori dell’Europa, eguagliando le sovvenzioni offerte dai Paesi terzi.
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Una riforma chiesta dagli Stati membri per competere con Cina e USA
Una riforma che la Commissione propone in risposta alle preoccupazioni sollevate proprio dagli Stati membri inerenti alla necessità di restare competitivi davanti agli ingenti fondi messi in campo dai due Paesi (ma non solo, anche Canada e Regno Unito hanno adottato politiche in merito) per supportare le proprie imprese e attirare investimenti dall’estero.
A preoccupare, in particolare, è l’Inflation Reduction Act – il piano di investimenti verdi promosso dal presidente Usa Joe Biden, che mette a disposizione 369 miliardi di dollari per promuovere la produzione e i servizi direttamente negli Stati Uniti – e l’atteggiamento della Cina, che ha apertamente incoraggiato le aziende ad alta intensità energetica in Europa e altrove a delocalizzare tutta o parte della loro produzione, promettendo manodopera ed energia a basso costo.
Preoccupazioni che gli stessi Stati membri hanno riportato alla Commissione, in risposta a una lettera inviata il 13 gennaio dalla Vicepresidente Margrethe Vestager.
“Nel complesso, le risposte convergono verso gli stessi quattro messaggi chiave”, spiega la Vicepresidente.
“In primo luogo, sì, parte dell’Inflation Reduction Act rappresenta una minaccia per la competitività di specifici settori chiave per la transizione verde dell’industria europea; in secondo luogo, la risposta europea dovrebbe basarsi sui fatti e affrontare solo quei problemi specifici innescati dall’IRA; in terzo luogo, qualsiasi azione che intraprendiamo deve preservare l’integrità del nostro mercato unico; e infine, dovremmo coltivare piuttosto che danneggiare il nostro rapporto con gli Stati Uniti”.
La riforma, temporanea, del sistema degli aiuti di Stato
La riforma proposta dalla Commissione ha due finalità principali. Da un lato, permetterà di semplificare il calcolo dell’aiuto e velocizzare l’approvazione di progetti di investimento in transizione energetica.
A tal fine, la Commissione procederà alla revisione del regolamento generale di esenzione per categoria, che permette agli Stati membri di attuare misure di aiuto senza dover seguire il processo di notifica.
“Questa revisione aumenterà ulteriormente i massimali al di sotto dei quali gli aiuti verdi possono essere concessi senza notifica alla Commissione. Contribuirà inoltre a semplificare la valutazione di nuovi importanti progetti di comune interesse europeo”, spiega Vestager.
In aggiunta, la revisione proposta dalla Commissione permetterà di:
- ampliare lo scopo del quadro degli aiuti di Stato per includere anche gli investimenti in energie rinnovabili
- estendere la deadline per il completamento dei progetti supportati a 36 mesi
- semplificare il calcolo dell’aiuto. Ciò significa che gli Stati membri saranno autorizzati a fornire aiuti sotto forma di percentuale fissa dei costi totali di investimento. Possibilità che la Commissione propone di estendere anche agli aiuti necessari a trattenere sul territorio produzioni inerenti le tecnologie green
La risposta europea a Stati Uniti e Cina: l’aiuto corrispondente
Il terzo punto, in particolare, abbraccia il secondo scopo della riforma, ovvero permettere agli Stati membri di competere con i fondi messi a disposizione da Stati Uniti e Cina per attirare produzioni estere.
A tal fine, la Commissione ha proposto un ulteriore strumento: la possibilità per gli Stati membri di offrire, con i propri fondi, aiuti di Stato per trattenere sul territorio le produzioni legate alle tecnologie green a rischio di delocalizzazione.
“In parole povere, se a un’azienda viene offerto 1 miliardo di dollari da un Paese terzo per sostenere, ad esempio, un nuovo impianto di batterie, uno Stato membro potrebbe offrire lo stesso fino al deficit di finanziamento”, spiega Vestager.
Una possibilità che pone seri rischi ( e questi non di certo temporanei) alla concorrenza e alla competitività del mercato unico europeo, come spiega la stessa Vicepresidente.
“Non tutti i Paesi hanno la stessa capacità di erogare aiuti. I dati recenti, che forse avrete visto tutti – hanno fatto il giro del mondo – mostrano che la Germania e la Francia, insieme, sono state responsabili di quasi l’80% degli aiuti di Stato notificati finora nell’ambito del Quadro temporaneo di crisi (quindi in un arco di tempo molto breve). I Paesi europei non sono uguali quando si tratta di aiuti di Stato“.
Proprio per questo, la Commissione ha legato diverse condizioni alla possibilità degli Stati membri di esercitare questa prerogativa, che riguardano:
- il calcolo dell’aiuto di Stato fatto dal Paese membro
- alla effettiva importanza strategica della produzione che rischia di essere delocalizzata
- al contributo della produzione al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal
- alla valutazione dei vantaggi per gli altri Paesi Ue di trattenere la produzione su quel territorio
- alla previsione di collaborazione tra Stati membri (fatta eccezione per quelle regioni europee considerate “svantaggiate”)
“L’idea è molto semplice: qualsiasi sostegno pubblico concesso a una regione ricca dovrebbe trascinare le altre regioni. Invece di lasciare solo le briciole agli altri, dovremmo rendere la torta più grande per tutti”, aggiunge Vestager.
I rischi per il mercato unico e la coesione europea
Seppure rischiosa all’integrità del mercato unico europeo, è proprio questa misura di “aiuto corrispondente” che, secondo la Commissione dovrebbe essere privilegiata dagli Stati membri.
“Invito gli Stati membri a concentrarsi sulla seconda componente. Perché l’utilizzo degli aiuti di Stato per stabilire una produzione di massa e per eguagliare le sovvenzioni straniere è qualcosa di nuovo. E non è innocente. Comporta rischi significativi per l’integrità del mercato unico. E per la nostra coesione. E, per questo, anche per la nostra unità. In fin dei conti, gli aiuti di Stato sono un trasferimento di denaro dai contribuenti agli azionisti. E ha senso solo se la società nel suo complesso beneficia degli aiuti concessi”, aggiunge la Vicepresidente.
Ma il messaggio che più di tutti la commissaria ha voluto lanciare con il suo discorso è uno: si tratta di una riforma temporanea, con scadenza al 31 dicembre 2025. Non a caso la parola “temporanea” viene pronunciata ben 13 volte nel discorso. E la stessa Vestager ne spiega il motivo.
“Il Piano industriale Green Deal si concentra sulla competitività dell’industria europea. L’obiettivo è che l’Europa sia leader nelle transizioni verdi e digitali. Questo è l’obiettivo della politica industriale che abbiamo elaborato dopo la pandemia. Quindi, quello che dobbiamo fare ora è accelerare la fornitura di energia verde in Europa e limitare il rischio che gli investimenti vengano dirottati verso Paesi terzi, perché questo metterebbe in pausa l’accelerazione che è effettivamente necessaria. Non costruiamo la competitività con i sussidi pubblici. È per questo che il Piano industriale Green Deal ha una portata molto ampia”, conclude.