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Edifici a emissioni zero grazie ai sensori di flusso IO-Link, il caso della stazione di ricerca in Antartide

La stazione di ricerca “Princess Elisabeth Antarctica” è la prima in Antartide a funzionare senza emissioni, grazie all’utilizzo di energie rinnovabili e tecnologie avanzate come i sensori di flusso IO-Link di ifm. Il progetto, sostenuto dall’International Polar Foundation, mira a migliorare l’efficienza energetica e la gestione delle risorse idriche, in linea con le politiche di sostenibilità europee. Con un nuovo impianto di trattamento delle acque la stazione riesce a riciclare una gran parte dell’acqua utilizzata, riducendo il consumo energetico e l’impatto ambientale.

Pubblicato il 28 Ott 2024

ifm antartide


Nell’ambito delle politiche di sostenibilità europee, l’efficientamento degli edifici gioca un ruolo di primaria importanza. La maggior parte delle emissioni prodotte dagli edifici deriva da un’efficienza energetica inadeguata: nello specifico, gli edifici sono responsabili del 36% delle emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia, oltre che del 40% del consumo energetico finale, secondo i dati della Commissione Europea.

La gestione delle risorse all’interno degli edifici – dal riscaldamento all’illuminazione, alla gestione idrica – dovrà essere rivisto entro pochi anni per assicurare un’efficienza energetica maggiore. Entro il 2028, infatti, il piano “Fit for 55” dell’UE ha stabilito che tutti gli edifici pubblici siano ad emissioni zero, mentre entro il 2030 tutti i nuovi edifici dovranno adeguarsi a questo target.

Tuttavia, in contesti dove le determinate risorse naturali sono di per sé scarse – proprio per le caratteristiche del territorio, l’utilizzo di tecnologie intelligenti ha già permesso di raggiungere l’obiettivo “zero emissioni”, come dimostra il progetto realizzato da ifm per la stazione di ricerca “Princess Elisabeth Antarctica” in Antartide.

Una stazione di ricerca a zero emissioni in Antartide

Per le difficili condizioni meteorologiche – ghiaccio fino a 5000 metri di spessore, temperatura media annua di -55 gradi centigradi, quasi 6 mesi di buio – l’Antartide è probabilmente il luogo più inospitale in cui l’uomo possa stabilirsi in modo permanente. Eppure i ricercatori si recano regolarmente al Polo Sud per lavorare in vari campi di ricerca come la glaciologia, la ricerca sul clima, la microbiologia e la geologia, al fine di ottenere una migliore comprensione del mondo.

Per facilitare la ricerca polare e allo stesso tempo proteggere l’ambiente, l’International Polar Foundation (IPF) ha realizzato, in collaborazione con il governo belga e numerosi partner privati, la stazione di ricerca “Princess Elisabeth Antarctica”.

La stazione, inaugurata nel 2009, è la prima e finora unica stazione di ricerca nell’Antartide che funziona senza emissioni. La struttura è abitata quattro mesi all’anno, negli otto mesi invernali continua a lavorare in autonomia, raccoglie dati di ricerca e li trasmette tramite satellite in Belgio.

La corrente che serve per far funzionare l’impianto viene prodotta con la forza del vento e del sole. Neve e ghiaccio forniscono l’acqua che serve ai ricercatori e ai tecnici. Ed è proprio nella produzione e nel trattamento dell’acqua che risiede una grossa responsabilità.

“Per raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero nella gestione dell’acqua, è fondamentale ripristinare la purezza dell’acqua estratta dalla neve dopo che è stata utilizzata e prima che venga restituita alla natura. Infatti, questo è l’unico modo per chiudere veramente il ciclo dell’acqua e mantenere ridotto il nostro influsso sulla natura antartica”, spiega Aymar de Lichtervelde, l’ingegnere responsabile del progetto.

Miglioramenti nella gestione idrica della stazione antartica: un nuovo impianto di trattamento acque

Per poter garantire ciò in modo permanente anche in futuro, durante l’estate antartica 2023/24 è entrato in funzione un nuovo impianto per il trattamento dell’acqua.

L’aggiornamento della stazione si è reso necessario per poter garantire la stessa efficienza anche con l’aumentare delle persone che la struttura deve ospitare. La stazione è infatti stata costruita per ospitare fino a 16 persone. Tuttavia, l’attuale capienza arriva, nei mesi estivi, a 40/50 persone.

“Calcoliamo un fabbisogno quotidiano di acqua di circa 50 litri a persona. È tre volte inferiore al consumo medio dei nuclei familiari in Europa. È importante farlo presente, in quanto come nel caso dell’energia, il primo passo è sempre quello di ridurre i consumi. Il passo successivo riguarda la produzione dell’acqua: produciamo la nostra acqua per il 60% dalla natura sciogliendo la neve, arricchendola di minerali e quindi trasformandola in acqua potabile. Il 40% viene riutilizzato a partire dalle acque reflue depurate“, spiega de Lichtervelde.

Questa elevata percentuale di acqua riutilizzata è dovuta al nuovo impianto di trattamento; in precedenza era possibile riutilizzare soltanto il 20% dell’acqua. La crescita si riflette positivamente sull’energia necessaria alla stazione: per il riciclo è necessaria un’energia dieci volte inferiore a quella che occorre per sciogliere la neve.

Su 55 litri di acqua industriale rimangono 30 grammi di fango secco. De Lichtervelde che ora possono trattare il 100% delle acque grigie e nere prodotte nell’impianto per reimmetterle nel ciclo interno o restituirle alla natura come acqua depurata.

Poiché l’Antartide non è uno stato, non vi sono standard definiti riguardo alla qualità dell’acqua che possono introdurre. Il protocollo di Madrid definisce una serie di best practice da osservare, ma non stabilisce standard quantitativi.

“Pertanto, noi ci orientiamo alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità per quanto riguarda l’acqua potabile. Si tratta di una base ambiziosa dal punto di vista ambientale e vantaggiosa per la nostra attività, in quanto possiamo riutilizzare l’acqua senza alcun problema di comfort o di accettazione da parte degli utenti.”, aggiunge.

Anche gli altri dati sono impressionanti: l’impianto di trattamento è in grado di trasformare 55 litri di acque grigie e nere in 54 litri di acqua ultrapura. Ogni giorno restano 30 grammi di fango secco, mentre il resto evapora. Il fango viene raccolto ed esportato dopo alcuni anni in Sudafrica, dove viene bruciato.

Il valore aggiunto dei sensori di flusso ifm

“Tutto questo riesce in misura sostenibile soltanto se il sistema funziona alla perfezione”, aggiunge de Lichtervelde. “Per questo motivo due anni fa, quando abbiamo iniziato a progettare il nuovo impianto di trattamento dell’acqua, abbiamo deciso di utilizzare una tecnologia che fosse di facile manutenzione e che in caso di emergenza fosse facile da sostituire. Nel momento in cui abbiamo iniziato ad approfondire il discorso IO-Link, ci fu chiaro che volevamo utilizzare questa tecnologia per integrare i sensori nell’impianto, in quanto per noi è sotto tanti aspetti un valore aggiunto”.

IO-Link è un sistema di comunicazione punto a punto in cui i sensori trasmettono i loro dati a un master, che a sua volta li inoltra a un livello bus di campo. Anziché posare nel cablaggio classico analogico cavi che da ogni sensore vanno al quadro elettrico, i segnali del sensore possono essere raccolti in modo decentralizzato da master IO-Link da campo e inoltrati al livello di campo di livello superiore come pacchetto unico.

L’utilizzo dei master IO-Link da campo di ifm permette di ridurre sensibilmente il lavoro di cablaggio. Un altro vantaggio di questa tecnologia: i parametri dei singoli sensori possono essere salvati sul rispettivo master. Se un sensore difettoso viene sostituito da uno identico, i parametri vengono trasmessi automaticamente al nuovo dispositivo.

“Per noi questo è molto prezioso, in quanto la sostituzione può essere effettuata sul posto, in modo rapido e semplice. In caso di dubbio, persino da parte di non tecnici”, spiega de Lichtervelde.

Princess Elisabeth è a disposizione delle scienziate e degli scienziati solo quattro mesi all’anno. Tempo prezioso, in cui tutti i sistemi devono funzionare in modo affidabile.

Per questo motivo, si è provveduto a installare completamente e testare intensamente il nuovo impianto in Belgio. In seguito, tutto è stato scomposto in componenti più piccoli per la spedizione via mare.

“Anche in questo caso il principio IO-Link è stato molto utile, in quanto grazie ai connettori standardizzati M12 il ricablaggio si è svolto sul posto senza errori e in poco tempo”, commenta de Lichtervelde.

Il nuovo impianto, formato da due sistemi ridondanti, è dotato tra l’altro di sensori di flusso SM dello specialista di ifm. Oltre alla portata attuale, questo sensore rileva anche la portata totale e la temperatura del fluido. Tutti i valori vengono visualizzati in modo chiaro sul display.

Su richiesta, un cambiamento di colore da rosso a verde segnala se i valori rientrano o meno nell’intervallo previsto. Il tubo di misura ottimizzato assicura una perdita ridotta della pressione, pertanto è possibile ridurre la potenza della pompa.

Inoltre, non c’è bisogno né della tubazione a monte né di quella a valle. E questo è un enorme vantaggio soprattutto in spazi ristretti. Altri sensori, ad esempio i sensori per valvole e quelli di livello trasmettono ulteriori informazioni importanti sullo stato attuale del trattamento dell’acqua.

Condition Monitoring dell’impianto anche tramite accesso remoto

Informazioni importanti non soltanto per il sistema di controllo, ma anche per il Condition Monitoring continuo: tutti i valori letti vengono trasmessi al livello IT con informazioni diagnostiche aggiuntive che documentano lo stato di ogni singolo sensore durante il soggiorno nella stazione. Questo consente anche di avere, tramite accesso remoto, il controllo delle condizioni dell’impianto nei mesi invernali dell’Antartide e di preparare l’impianto all’utilizzo nella stagione di ricerca successiva.

Con una moderna tecnica di automazione e IO-Link come tecnologia della comunicazione di dati, l’International Polar Foundation è in grado di assicurare il trattamento sempre affidabile dell’acqua nella stazione di ricerca Princess Elisabeth. Sia sul posto che da Bruxelles, a 13.500 chilometri di distanza in linea d’aria.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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