Qualche mese dopo aver pubblicato l’analisi su come i prodotti intelligenti contribuiscono a cambiare la competizione nel mondo del manifatturiero: How Smart, Connected Products Are Transforming Competition (leggi l’abstract di Industry4Business: Dall’IoT alla Servitizzazione. HBR: Gli Smart connected product cambiano la competizione) Michael Porter e James Heppelmann tornano sul tema dell’innovazione IoT con un altro saggio, sempre per HBR (Harvard Business Review), e portano l’attenzione su come i prodotti intelligenti cambieranno le aziende.
Rispetto al primo intervento dell’ottobre 2015 Porter e Heppelmann guardano all’impatto dell’innovazione Internet of Things, allo sviluppo di prodotti intelligenti nella prospettiva del cambiamento del lavoro, dell’organizzazione e dei modelli di business all’interno delle imprese manifatturiere e del passaggio da prodotto a servizio (product as a service) e delle logiche di servitizzazione.
Il digitale ha portato a una trasformazione, anche radicale, di una serie di funzioni strategiche a vari livelli, dalla progettazione alla produzione, dalla gestione delle supply chain alla logistica, dalla comunicazione e marketing di prodotto sino alle vendite e al post vendita. Il tutto è accompagnato ovviamente da una rivisitazione profonda delle attività di coordinamento e di organizzazione del lavoro fondamentale per permettere a questo processo di digitalizzazione di approdare naturalmente a una forma di integrazione tra tutte le componenti digitali. E proprio per dare una lettura di insieme dell’evoluzione che parte dai prodotti connessi e che porta a un “aumento della conoscenza” su tutti i piani coinvolti, Porter e Heppelmann concentrano primariamente l’attenzione sulle funzioni che hanno la responsabilità e il compito di gestire dati, analisi e conoscenza nell’ambito di una produzione manifatturiera rivista in chiave di connected products.
Indice degli argomenti
Connected products: nuova prospettiva per imprese e prodotti
Più che una rivoluzione si deve parlare di una nuova prospettiva e di un nuovo approccio. Il punto chiave sta nella considerazione primaria che se nel passato le imprese generavano dati che venivano correlati alle attività di produzione, dati che provenivano dagli stessi sistemi e che erano utilizzati per la produzione piuttosto che per gli ambienti di lavoro, ecco che con l’avvento dei connected products il patroimonio di dati si arricchisce anche con i dati creati dai prodotti stessi. E si tratta di dati che “nascono” non solo nella fase della produzione, e dunque nel momento in cui i prodotti sono in diretta relazione con gli strumenti di produzione e con l’organizzazione della supply chain, ma anche per le fasi successive, ad esempio, di testing e di completamento del percorso produttivo, di packaging, con tutte le nuove possibili evoluzioni (si veda, sempre per citare un esempio il packaging intelligente).
A tutto questo si aggiungono poi i dati che arrivano dal prodotto nella sua vita al di fuori della fabbrica, a partire dal tragitto verso le reti di vendita o verso i clienti, dati legati al trasporto e alla logistica, che si agganciano ai dati prodotti nella loro vita presso i clienti, presso le imprese o presso realtà terze dove i prodotti vengono utilizzati.
Il video di Harvard Business Review con l’intervento di Porter e Heppelmann
Prodotti che parlano e che “spiegano come sono utilizzati”
In queste diverse fasi della loro vita i prodotti connessi raccolgono e trasmettono dati e raccontano “storie”. E lo fanno attraverso dati che acquisiscono ancora più valore nel momento in cui queste informazioni vengono correlate con altre fonti, ad esempio con i dati di vendita, con le analisi di mercato, con i profili di comportamento dei clienti. Entriamo così in un nuovo ambito di conoscenza che, come sottolinea l’analisi di Porter e Heppelmann richiede un profondo ripensamento delle attività di data analytics a livello di impresa.
E’ la potenzialità dei dati che permette – grazie ai connected products – di trasformare la catena del valore delle imprese e dei prodotti. La potenzialità e la “potenza” che permette di ripensare a livello di progettazione i prodotti per riprogettarli, per definire nuove configurazioni o nuove funzioni, in ragione del loro utilizzo e in funzione delle criticità che comunicano in funzione del comportamento dei clienti. Ecco che cambiano i prodotti, cambia il modo di produrli, cambia il modo di proteggerli o di ripararli o di prevenirne eventuali malfunzionamenti, cambia in definitiva, il rapporto tra produttore – prodotto – cliente.
Ogni prodotto è una fonte di dati
In questa prospettiva, sottolineano Porter e Heppelmann, ogni prodotto diventa una fonte di dati e un “sistema con intelligenza”. Dunque ogni prodotto deve essere dotato di una componente software più o meno complessa e ogni prodotto ha o avrà “a che fare” in modalità diverse con il cloud. Questi due aspetti impattano evidentemente sulla progettazione dei prodotti e sull’organizzazione produttiva che sarà sempre orientata a una integrazione tra manifatturiero fisico e digitale, che sono destinati ad essere sempre più integrati.
Le prospettive di sviluppo in questo senso sono condizionate dalla capacità dell’industria di mettere a disposizione prodotti fisici nella forma di sensoristica IoT sempre più performante e sempre più accessibile in termini di costi. Questo è certamente un punto fondamentale di questa evoluzione in particolare per tutto quell’ambito dei connected products che guardano al B2C. (a questo riguardo è interessante leggere il capitolo Serve un IoT con maggiori performance e costi più bassi presente nel servizio Innovazione Inetnet of Things, connected products e servitizzazione).
I prodotti intelligenti necessitano di nuove interfacce uomo-macchina
In generale la presenza rilevante di dati e naturalmente di software appropriato per la gestione dei dati permette di indirizzare in generale il rapporto tra uomo – macchine su interfacce digitali anche in settori che hanno vissuto marginalmente l’avvento della digitalizzazione. Gli esempi che arrivano dal mondo smart agrifood sono tra quelli nei quali si assiste a una vera trasformazione tra un approccio basato sull’hardware a una evoluzione verso piattaforme software e, grazie alle logiche del precision farming, permette di introdurre anche modelli di personalizzazione spinta come ad esempi il dosaggio preciso delle risorse: la potenza dei motori necessari alle lavorazioni agricole, la quantità di risorse necessarie per irrigazione o fertilizzazione e tanto altro.
Il prodotto connesso permette poi di attuare tutta una serie di servizi e opportunità un tempo complessi e costosi come la geolocalizzazione che velocizza la possibilità di raggiungere un prodotto sul quale è necessario un intervento, piuttosto che fornire, grazie alla associazione con il luogo fisico, informazioni e dati sul luogo stesso che possono aiutare a comprendere le ragioni di un eventuale malfunzionamento (temperatura, umidità o altri fattori di rischio).
Dai prodotti connessi nuove forme di personalizzazione
La personalizzazione è un altro valore dei connected products, ma anche sotto questo profilo il dato fornito dai prodotti connessi aggiunge valore anche alle logiche di design e di gestione della vita del prodotto. I prodotti intelligenti dotati di software permettono un aggiornamento continuo grazie agli upgrade e fornendo dati sul loro utilizzo sono nella condizione di inviare ai progettisti informazioni su come vengono utilizzati e dunque suggerimenti su come approcciare al meglio un aggiornamento evolutivo che possa incontrare, nel miglior modo possibile, le esigenze degli utenti. Addirittura, in determinate circostanze, la possibilità di essere connesso, unita alla possibilità di gestire l’intelligenza dei prodotti via software, permette alle imprese produttrici di effettuare forme di sperimentazione nella vita “reale” dei prodotti.
Risk Management e cybersecurity
Un altro aspetto importante attiene alla sicurezza dei prodotti e degli utenti. La connettività unita all’intelligenza presente a bordo dei prodotti consente di gestire in modo nuovo le problematiche di sicurezza associate ai prodotti piuttosto che utilizzare i prodotti (anche) per finalità legate al Risk management. Ma non è solo una questione di dati che possono avvertire rispetto a certi fattori di rischio, il software abilita i prodotti ad attivare delle azioni che permettono di agire in funzione di certi fattori arricchendo le funzioni dei prodotti (una vettura che riduce la velocità in presenza di fattori di rischio come surriscaldamento o forme di malfunzionamento di alcuni impianti o per le informazioni su possibili ostacoli nella viabilità).
Un altro aspetto ancora nasce dalla logica più basilare dell’Industry 4.0: l’integrazione. L’intelligenza presente nei prodotti consente di gestirne l’integrazione con altri apparati intelligenti in funzione di determinate situazioni, creando un effetto da ecosistema intelligente. Si tratta di una innovazione che permette di creare nuove forme di Risk management nelle imprese, negli ambienti di produzione, nel Facility management o nelle smart city , ad esempio.
Nel lavoro di Porter ed Heppelmann emerge una forte raccomandazione a guardare ai temi della sicurezza in modo completamente nuovo. Se da una parte i prodotti connessi permettono appunto di sviluppare nuove forme di Risk management e dunque contribuiscono ad aumentare la sicurezza degli ambienti o dei servizi ai quali sono associati, dall’altra aprono gli ambienti di produzione o espongono i servizi che sono chiamati a erogare a nuove forme di rischio e a nuove minacce dal punto di vista del cybercrime.
Dai connected products alla servitizzazione
Ma torniamo a questo secondo contributo di Porter ed Heppelmann che porta l’attenzione anche sul tema dell’evoluzione da prodotto a servizio, ovvero della service transformation, ovvero dell’avvento dell’As a Service o servitizzazione. Perché questo passaggio possa avvenire è necessario una appropriata progettazione dei prodotti e dunque una rivisitazione del prodotto stesso in funzione dell’utilizzo che deve essere fatto (ed ecco che sono fondamentali i dati provenienti dai prodotti) oltre ad una visione dei possibili scenari e casi d’uso. Lo stesso prodotto ad esempio potrebbe essere utilizzato da più persone e potrebbe erogare più servizi. Scenari che impattano su molteplici fattori come la gestione dei rischi, la manutenzione, il pricing di ciascun servizio, la geolocalizzazione e la movimentazione dei prodotti stessi.
I connected products sono poi destinati a cambiare radicalmente il rapporto tra produttori, reti e partner di vendita. Ovviamente il passaggio da prodotto a servizio cambia evidentemente la modalità con cui i clienti si relazionano con i produttori e il modo in cui il prodotto stesso arriva alla sua configurazione finale in funzione delle esigenze di personalizzazione anche, ad esempio, in termini di “regole di comportamento” o governance. I fattori di rischio, sempre per fare degli esempi, possono cambiare in funzione del contesto in cui un prodotto è utilizzato o in funzione dell’area geografica in cui svolge le sue funzioni. Inoltre l’intelligenza dei prodotti si esprime anche nella forte componente software e nel dialogo continuo con il produttore. L’arrivo di nuove applicazioni può indirizzare l’utente finale a nuove modalità di utilizzo piuttosto che alla risoluzione di nuove esigenze. Ecco che così come un prodotto nel momento in cui diventa un connected products può assolvere a nuove esigenze, così le imprese che intraprendono questo percorso possono evolvere non solo verso un nuovo modello di business (dalla vendita di prodotti alla vendita di servizi), ma anche verso nuovi mercati (dalla vendita di apparati alla vendita di dati, magari nella forma di data monetizazion, raccolti dagli apparati, ad esempio. O alla vendita di servizi realizzabili grazie ai dati raccolti).
Dall’RFID all’Internet delle Cose
Porter ed Heppelmann ricordano poi che l’evoluzione da RFID a Internet of Things (il termine IoT è stato coniato da uno dei fondatori dell’ Auto-ID Center del MIT specializzato nelle ricerche legate all’evoluzione dell’RFID) è destinata a cambiare anche la logistica. I prodotti sono ià progettati per parlare e possono farlo anche in merito ai passaggi che attengono alla logistica e possono fornire informazioni su ambienti, temperature, criticità etc. La logistica stessa è dunque orientata verso una evoluzione, favorita a sua volta dalla ricchezza di dati e informazioni che arrivano dai prodotti e dal loro dialogo con strumenti e ambienti nei quali vengono a trovarsi nelle varie fasi che accompagnano il prodotto verso i clienti. In questo senso è ragionevole immaginare una maggiore efficienza in tutti i passaggi, un risparmio nei tempi e nelle risorse necessarie agli spostamenti e una riduzione dei fattori di rischio.
L’ultima considerazione che raccogliamo prima di invitare nuovamente alla lettura del documento originale (vai) è legata al tema del product as a service e del ruolo del service management. Arriva a questo proposito l’invito a gestire con attenzione, anche a livello di regole, linee guida, governance, il fatto che l’utente o cliente paga solo per l’effettivo utilizzo del prodotto. In alcuni casi è relativamente naturale procedere in questa direzione, come può essere nel caso delle vetture, dei veicoli industriali o delle macchine destinate alla produzione, dove il passaggio verso forme di servizio è già avviata attraverso diverse forme di sperimentazione che hanno consegnato ai produttori una piattaforma di conoscenze basate sulla raccolta di dati. Diversamente per altre tipologie di prodotto, che hanno aggiunto intelligenza e funzionalità di raccolta dati più recentemente, sarà necessario costruire una base di conoscenza sufficiente a definire le regole di base della governance dei servizi.
In conclusione va anche ricordato che il tema dei prodotti connessi deve misurarsi con la “possibilità di connettere sempre i prodotti” in tutte le loro fasi, ovvero con un tema di infrastrutture di connettività. In questo senso l’evoluzione del 5G (leggi il nostro servizio 5G: cos’è, come funziona, copertura e ambiti applicativi di 5G e IoT) rappresenta certamente un grande fattore abilitante sia in termini di performance sia in termini di sviluppo di nuove soluzioni applicative.
Lo Smart building si muove verso lo Space a aService
I prodotti connessi e intelligenti sono alla base di un radicale cambiamento anche a livello di innovazione nelle infrastrutture. In particolare il mondo building sta innovando la gestione dello spazio fisico e il suo utilizzo in forma di servitizzazione. Una trasformazione che permette di portare i principi della service transformation anche nel mondo degli edifici e delle infrastrutture e che permette di fornire nuovi tool e nuove forme di sviluppo per il facility management.
Gli ambienti, privati o pubblici che siano, si arricchiscono di intelligenza, e ci permettono di “dialogare” e ci offrono una crescente disponibilità di dati e di strumenti per comprenderli e valorizzarli. Internet of Things e Big Data hanno fatto la differenza e permettono di arrivare alle soglie di una nuova fase che unisce innovazione digitale e service transformation.
Questa volta il principio dell’ “As a Service” si applica allo “spazio” e prende vita lo “Space as a Service” dove appunto lo “spazio” ha la capacità di aumentare la proprio intelligenza, può costruire una conoscenza, la può elaborare e la può restituire in forma di servizi che permettono di modellare l’ambiente in funzione degli obiettivi di chi lo vive.
Leggi il servizio Che cos’è lo Space as a Service e perché cambierà il Facility Management
Leggi il saggio completo su Harvard Business Review
Sempre sul tema legato all’innovazione nell’ambito Industriale suggeriamo anche al lettura del servizio relativo a un intervento di Michael E. Porter sul ruolo della realtà aumentata e sulla prospettiva di superare il gap tra mondo reale e mondo digitale
Sul tema degli Smart Product e sulle prospettive di sviluppo del business suggeriamo la lettura delle analisi
Dall’In-App Purchase all’In-Things Purchase: l’App economy si estende all’Internet delle Cose
e di
Che cos’è e perché è così importante il payment “ricorsivo” della App Economy
Articolo aggiornato il 15 Giugno 2019 da Mauro Bellini