Secondo un recente studio pubblicato su Il Sole 24 Ore, grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie “le imprese italiane potrebbero ottenere un aumento della produttività tra il 30% e il 50%”.
Diverse le stime degli esperti di Boston Consulting Group, secondo i quali l’applicazione dei principi di Industry 4.0 determinerebbe, al netto degli investimenti, un incremento della produttività tra il 5 e l’8% nei prossimi 5-10 anni. Il riferimento in questo caso è alla Germania.
Roland Berger, invece, ritiene che il ritorno del capitale investito passi dal 18% al 28% nelle imprese che scelgono la via della digitalizzazione.
Insomma essere “smart” conviene: gli investimenti si ripagano e portano a un miglioramento della capacità di reazione delle aziende alle sfide del mercato. Quanto convenga, tuttavia, dipende tutto dalla situazione di partenza dell’azienda. Un’impresa di tipo tradizionale ha margini di miglioramento più ampi, ma deve investire molto di più e avere il tempo di assimilare le nuove tecnologie, il che passa anche per un percorso di formazione del personale che è necessario, ma non è a tempo zero. Le opportunità di un upgrade per un attore già strutturato (è il caso di alcuni settori avanzati come l’elettronica e l’automotive) sono invece più facili da cogliere, ma anche più difficili da misurare.
In Italia la struttura tipica del tessuto imprenditoriale impone una riflessione ancora più attenta: qui l’introduzione delle nuove tecnologie è un’opportunità il cui beneficio non si può misurare solo in termini di produttività, perché in qualche caso ne va della sopravvivenza stessa dell’azienda in uno scenario competitivo che sta cambiando molto rapidamente.
Siamo davanti a un cambiamento “epocale”, come da tante parti si dice: occorre investire, dunque, e farlo in maniera assennata, con la consapevolezza di chi sa che non può restare indietro, ma anche che non può e non deve correre alla cieca.