Il settore Aerospaziale? È la palestra dell’Additive Manufacturing

L’uomo lavora con la fusione dei metalli da circa tremila anni. Con il tornio da un paio di secoli. Con le stampanti 3D da appena 25 anni, e si è già fatta parecchia strada. Ma tutto lascia pensare che  nel decennio appena iniziato se ne farà molta di più. E l’esperienza del settore aerospaziale (anche di quello italiano) lo dimostra

Pubblicato il 07 Feb 2020

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Rispetto ai plurisecolari metodi di produzione sottrattiva, le tecnologie per la “produzione additiva” (additive manufacturing) sono decisamente più recenti, ma non giovanissime: dal primo brevetto di Chuck Hull per la stereolitografia, 1986, sono ormai passati quasi 35 anni.

Più o meno nello stesso periodo viene brevettata la Selective Laser Sintering (con cui si passa dal fotopolimero liquido a quello in polvere) e nel 1988 la Fused Deposition Modeling (dove il polimero è un filamento che viene estruso). Ma forse la data più significativa per l’industria è il 1995, quando il Fraunhofer Institute brevetta la tecnica Selective Laser Melting, che consente di produrre pezzi metallici. Tecnica successivamente perfezionata dall’Electron Beam Melting, che aumenta ancora la densità ottenibile.

È quindi da un quarto di secolo che possiamo produrre tramite additive manufacturing oggetti metallici di qualità paragonabile o superiore a quelli ottenuti tramite le consolidate tecniche sottrattive. Tuttavia, la manifattura additiva viene ancora considerata in molti settori una tecnologia “collaterale”, adatta per la realizzazione di prototipi, ma non realmente “production ready”. Un settore che fa eccezione è quello dell’industria aerospaziale. Ed è interessante notare che proprio un mercato nel quale non è ammesso l’errore, ma anzi è richiesta ai pezzi la massima robustezza (una rottura produrrebbe quasi sicuramente conseguenze catastrofiche) sia il maggiore utilizzatore di tecnologie additive, non solo per il prototyping ma anche per la realizzazione di parti destinate al volo.

Secondo un report di SmarTech Analysis, intitolato “2019 Report on Additive Manufacturing for Civil Aviation Part Production” (disponibile sul sito dell’azienda alla modica cifra di circa 5.000 dollari), la tecnologia additiva costituirà un mercato di circa 7 miliardi di dollari l’anno nel settore aeronautico civile per i prossimi 10 anni, contando hardware, materiali di consumo, ricambi e servizi. Una stima da prendere con le pinze, visto che il settore dell’AM è ancora poco strutturato e girano ben poche cifre ufficiali e verificabili. Tuttavia, le dimensioni del fenomeno sono rilevanti: SmarTech forse peccherà un po’ per ottimismo, ma non pensiamo sia troppo lontana dal vero, visto che le sue previsioni si basano sia su un monitoraggio bottom-up delle vendite dei vari produttori, sia sull’analisi top-down ottenuta da numerosi colloqui con i top manager dei maggiori player.

Aero Avio e l’eccellenza di Cameri

Negli ultimi anni, tutti i più importanti costruttori del settore aerospace hanno cominciato a studiare l’utilizzo di tecniche additive. Fra i nomi più noti citiamo GE Aviation, MTU, Rolls Royce, Safran, Honeywell. E in Italia?

Beh, per una volta non siamo in ritardo, anzi: vantiamo alcune eccellenze a livello mondiale. Al convegno sull’Additive Manufacturing organizzato da SPS Italia, tenutosi recentemente al Politecnico di Milano, sono stati illustrati casi di successo di tutto rilievo.

La tavola rotonda dedicata in particolare all’Aerospace ha visto la presenza fra gli altri di Edoardo Peradotto, Lead Engineer Additive Technologies di Avio Aero – azienda della galassia di GE Aviation specializzata nella componentistica e sistemi per l’aeronautica civile e militare.

La Avio Aero, che ha le sue radici nella storica Fiat Avio, dispone a Cameri (Novara) di uno stabilimento completamente dedicato alla manifattura additiva, dove oltre 50 macchine producono parti di motore d’aereo. In particolare, si realizzano migliaia di palette per le turbine a bassa pressione dei motori d’aereo. Ma la produzione comprende poi il modulo turbina, le scatole degli ingranaggi, e i sistemi motori completi.  Aero Avio è partita oltre 10 anni fa, sperimentando la tecnologia Electron Beam Melting di Arcam, e utilizzando per le sue palette una particolare lega di Titanio e Alluminio che è lavorabile solamente con macchine a fascio di elettroni.

Dopo lo stampaggio, le palette grezze vengono post-processate esternamente, per poi essere assemblate per creare il pezzo finale nello stabilimento di Pomigliano (ex Alfa Romeo Avio); la turbina viene inviata a Cincinnati, dove si assembla con il resto del motore. La scatola degli ingranaggi è in fase di progettazione a Torino, ma non è ancora in produzione.

La prossima sfida di Avio sarà la produzione di Catalyst, un motore turboelica (più piccolo quindi dei motori jet di cui si parlava più sopra) il cui progetto è pensato già in modo specifico perché più componenti possibile vengano prodotte con tecniche innovative, come appunto l’additive. Non a caso Catalyst è stato definito il primo 3D Printed Engine del mondo: un’affermazione non del tutto veritiera, ma che rende bene l’idea.

L’esperienza di Leonardo Helicopters

Un altro caso interessante è quello di Leonardo Elicotteri, descritto, sempre in occasione della tavola rotonda, da Dario Bonanno, Industrial Engineering, Products & Manufacturing Processes Manager dell’azienda.

Leonardo è fra i leader mondiali dei velivoli ad ala rotante: non è un semplice assemblatore perché produce molte componenti del velivolo. E da tre anni e mezzo ha avviato progetti pilota con i quali ha iniziato a valutare se produrre internamente varie parti in tecnologia additiva, tecnologia cui è arrivata come logica conseguenza del fatto di produrre svariate tipologie di componenti con le più diverse e innovative tecniche.

La premessa all’arrivo dell’additive è stata un’analisi approfondita di dove essa avrebbe potuto portare più valore, e la presa in considerazione di parametri come il time to market, la libertà nella progettazione delle forme (il modo di progettare per l’additive è diverso d quello adottato per le tecniche tradizionali), il rapporto peso/prestazioni (fondamentale per l’aerospaziale). Sono stati poi valutati i vincoli certificativi, visto che per le cose che volano le normative di safety sono davvero stringenti.

A seguito di tutto ciò, oggi Leonardo ha già in produzione additiva parti che volano sui suoi elicotteri, parti che stanno compiendo il percorso di certificazione di sicurezza, parti che stanno iniziando la fase di riprogettazione secondo modalità tagliate su misura per la produzione additiva. Il processo quindi va verso un’adozione sempre più ampia della stampa 3D.

Tuttavia, a differenza di Avio Aero, Leonardo ha deciso per il momento di non dotarsi di una struttura di produzione interna, e si rivolge quindi per la manifattura vera e propria a service esterni all’azienda. Questo perché le caratteristiche della produzione, costituita in genere da pezzi costruiti in serie limitate e che necessitano di tecnologie di stampaggio diverse, sconsigliavano all’inizio un impegno diretto nella produzione, e suggerivano come preferibile concentrarsi sulla progettazione finalizzata all’additive per poi, in un prossimo futuro, tornare a valutare l’ipotesi di dotarsi di una struttura di produzione di proprietà.

Le sfide del settore

Come vedremo nei prossimi paragrafi, i nodi da sciogliere non mancano, ma non riguardano tanto la “core technology” né la fattibilità dei prodotti: molte componenti realizzate in additivo volano da tempo, a dimostrazione che non parliamo di fantascienza ma di realtà concreta.

Piuttosto, si tratta di ridefinire una serie di aspetti ancora impostati per un mondo a manifattura sottrattiva in modo da renderli più compatibili con l’additive manufacturing. Certificazioni, postproduzione, produzioni ibride, metodi di progettazione sono tutte cose che vanno riadattate non per rendere possibile l’uso di queste tecnologie, ma per renderlo più economico, più versatile, e per disseminare il know-how a un maggior numero di aziende.

L’uomo lavora con la fusione dei metalli da circa tremila anni. Con il tornio da un paio di secoli. Con le stampanti 3D da appena 25 anni, e si è già fatta parecchia strada. Ma tutto lascia pensare che  nel decennio appena iniziato se ne farà molta di più.

Il nodo della qualità

Quali sono dunque le prossime sfide che il settore Aerospaziale si troverà ad affrontare lungo la strada della manifattura additiva? La burocrazia probabilmente sarà una delle più difficili: regolamenti, certificazioni, norme di sicurezza costituiscono già ora una babele nella quale non è facile districarsi, e la tecnologia di produzione “non canonica” pone qualche difficoltà in più.

Anche sotto il profilo dei test da effettuare sui pezzi per garantire che le loro prestazioni siano in linea con quelle delle parti “tradizionali”, parti dalle quali ci si aspetta che operino senza problemi per anni. Ecco quindi che, per esempio, per le parti che ruotano ad alte temperature bisogna procedere con check sulla chimica delle polveri e del pezzo, e con il controllo della microstruttura del materiale finito dopo stampa e trattamenti termici. Per garantirsi contro eventuali difetti interni si devono fare analisi tomografiche e verificare che rientrino nelle tolleranze.

I materiali

Con l’aumentare della varietà di parti da realizzare in additivo, fatalmente ci si scontrerà con il (relativamente) basso numero di polveri metalliche disponibili, mentre il problema dovrebbe essere meno sentito nel comparto delle polveri polimeriche. Almeno a giudicare dalla gamma di prodotti messa in campo da aziende come la Solvay (sì, quella che fa il bicarbonato) che possiede una divisione specializzata nel fornire svariati tipi di polimeri per stampa 3D.

Christophe Schramm, Manager New Technologies Solvay Specialty Polymers, ne ha parlato durante il convegno, descrivendo varie linee di prodotti speciali, capaci di resistere alle alte temperature, agli agenti chimici e così via – in particolare, in ambito aerospace civile risulta molto importante la capacità di resistere al fuoco e di non emettere fumi velenosi in caso di incendio.

Il post-processing

Altro aspetto che con il diversificarsi delle produzioni assumerà sempre più importanza sarà quello dei processi di finitura. Andrea Scanavini, CEO di Pres-X, azienda italiana specializzata proprio nella post-produzione e operante nel distretto emiliano della motor valley, ha illustrato vari aspetti del problema finitura: dalla rimozione della polvere alla garanzia della pulizia, fino alla riduzione della rugosità, specie in condotti e geometrie complesse rese possibili dalla tecnologia additive, fase che richiede metodi specifici e innovativi. E ancora l’ottimizzazione della fase di trattamento termico e HIP, per ottimizzare tempi di ciclo, qualità del prodotto, costi e impatto ambientale. Senza contare che si sta cominciando a integrare le tecnologie additive e quelle sottrattive nella produzione di parti “ibride”, che quindi possono partire dalla produzione sottrattiva per poi essere integrate con parti realizzate in additiva, che richiederanno finiture diverse.

Le competenze

Un altro punto critico da risolvere è quello della mancanza di skill, o se preferite della ancora scarsa diffusione del know-how necessario per progettare in modo mirato per l’additivo (design for additive). In questo saranno importanti da una parte la formazione e in particolare lo stretto contatto delle aziende utilizzatrici della tecnologia con le università e i centri di ricerca, dall’altra la collaborazione da parte dei produttori delle macchine per la stampa additiva, che devono stabilire con i loro clienti un flusso bidirezionale di informazioni e consigli utili a modificare in meglio i prodotti di entrambi.

Giancarlo Scianatico, Regional Manager di EOS Italy, ha fatto un esempio di ciò che si può ottenere con una collaborazione stretta fra i player riferendosi alle parti progettate in additivo per un elicottero di Airbus. Si è riusciti a ottimizzare la produzione stampando fino a 28 componenti per volta, e progettando “per l’additivo” si è ridotto il peso del 40%; non solo, un componente fin lì composto da 10 diverse parti è stato riprogettato come singolo pezzo da stampare in 3D. Il tutto ha portato un risparmio di costi del 23%, senza tenere conto di fattori come il più rapido time to market, la semplificazione del magazzino e tanti altri vantaggi.

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Redazione

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