Ecco come il CERN utilizza la stampa 3D per costruire rivelatori di particelle

I ricercatori del CERN spiegano come l’utilizzo delle stampanti 3D stereolitografiche Formlabs Form 2 e una Form 3L abbia velocizzato e semplificato le loro attività di ricerca e sviluppo della nuova generazione di rivelatori di particelle che saranno installati nell’LHC, il più grande e potente acceleratore di particelle al mondo. L’utilizzo della stampa 3D, tra gli altri vantaggi, ha permesso ai ricercatori di ridurre i tempi per la prototipazione e creare forme tridimensionali complesse.

Pubblicato il 21 Dic 2022

Un esempio di strutture di supporto stampate in 3D con la resina Formlabs Black Resin. Il loro scopo è quello di tenere in posizione tre sensori piegati con chip sottili (sensori ALPIDE MAPS, 40 µm di spessore) durante un test con fasci di particelle.


La stampa 3D permette di ridurre i tempi per la prototipazione e creare forme tridimensionali complesse, vantaggi rilevanti non solo nella manifattura, ma anche per la ricerca.

Un esempio concreto dei vantaggi di questa tecnologia nella ricerca e nello sviluppo di nuovi materiali viene dalla testimonianza fornita dal CERN (l’organizzazione europea per la ricerca nuclerare), un centro di ricerca per la fisica delle particelle che ospita il più grande e potente acceleratore di particelle al mondo, il Large Hadron Collider (LHC), uno degli strumenti scientifici più grandiosi e costosi mai costruiti, che aiuterà l’umanità a rispondere ad alcuni dei quesiti fondamentali ancora aperti nel campo della fisica.

Il dipartimento di Experimental Physics Detector Technology (EP-DT) del CERN impiega la stampa 3D da più di sei anni per diverse applicazioni, utilizzando due stampanti 3D stereolitografiche Formlabs Form 2 e una Form 3L che sono oggi strumenti chiave per la ricerca e lo sviluppo della nuova generazione di rivelatori di particelle che saranno installati nell’LHC.

Prototipazione rapida di rivelatori di particelle

La prototipazione rapida con stampanti 3D in-house ha permesso di ridurre i tempi di sviluppo e i costi e trovare nuove soluzioni di layout non ottenibili con la lavorazione tradizionale.

Prima della produzione in-house, il dipartimento doveva fare affidamento sui fornitori e attendere settimane prima che le parti stampate in 3D, anche quelle abbastanza semplici, raggiungessero il Cern.

Le stampanti e i materiali di Formlabs vengono utilizzati principalmente per i prototipi, ma anche per gli stampi e gli strumenti utilizzati durante l’assemblaggio e il collaudo dei rivelatori.

Il team ha testato anche le stampanti con tecnologia FDM, ma si è reso conto che la qualità della superficie, la resistenza allo sporco e la durata delle parti erano significativamente inferiori a quelle delle parti stampate con la tecnologia SLA.

A causa dell’elevata precisione delle parti richiesta, queste proprietà erano della massima importanza per il team del CERN, che ha quindi deciso di utilizzare la tecnologia SLA per i propri prototipi.

Grazie alla formazione offerta da Formlabs, i ricercatori sono in grado di utilizzare le stampanti in modo sicuro e indipendente. Nella maggior parte dei casi, sono loro stessi a creare i progetti utilizzando programmi di modellazione CAD e a inviarli alla stampante, il che aiuta a velocizzare il flusso di lavoro.

La libertà di progettazione offerta dalla produzione additiva consente di produrre forme tridimensionali complesse, in linea con la nuova tendenza a sviluppare strutture di rivelatori di particelle personalizzate, versatili e complesse.

Ad oggi, i materiali polimerici stampati in 3D vengono sempre più utilizzati all’interno degli esperimenti LHC. Tuttavia, i severi requisiti, derivanti dall’esposizione a dosi di radiazioni nell’area sperimentale che possono modificare le proprietà meccaniche, richiedono una specifica qualificazione dei materiali stampati.

Il futuro della stampa 3D nella ricerca

In futuro, i ricercatori coinvolti nel progetto auspicano di poter disporre di materiali caratterizzati ulteriormente per ambienti ad alta radiazione, così da estenderne l’uso in parti funzionali dei rivelatori nell’area sperimentale.

Le resine più comunemente utilizzate durante il processo di prototipazione dei rivelatori di particelle attualmente sono la Black Resin e la Clear Resin, ma il team del CERN sta anche testando la Rigid 4000 Resin e la Rigid 10K Resin per fabbricare possibilmente parti per l’uso finale in futuro.

“Le stampanti 3D rendono tutto più semplice e veloce. Sei il proprietario del processo dall’inizio alla fine. Crei i file da solo e li invii alla stampante, e questo dà sicuramente soddisfazione. La stampa 3D consente anche molte iterazioni. In pochi giorni, hai il pezzo finale che sarebbe stato consegnato settimane dopo se fosse stato inviato a entità terze. È incredibile”, commenta Massimo Angeletti, ingegnere meccanico, CERN.

“Sarebbe davvero bello implementare ulteriormente le parti stampate in 3D e ridurre al minimo la produzione standard“, aggiunge.

Infatti, nel futuro si immagina un rivelatore quasi interamente stampato in 3D, a eccezione dell’elettronica come i sensori e i loro componenti. Una volta che avranno superato i test per esperimenti ad alta radiazione, i ricercatori del CERN sperano anche di utilizzare nuovi fotopolimeri qualificati per le radiazioni all’interno di possibili esperimenti futuri.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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