Sono gli investimenti per l’adeguamento alle richieste europee in materia di trattamento dei dati personali, il GDPR, secondo una ricerca dell’Osservatorio Information Security & Privacy della School of Management del Politecnico di Milano, a guidare la forte crescita del mercato delle soluzioni di information security che, in Italia, hanno raggiunto un valore di 1,09 miliardi di euro, in crescita del 12% rispetto al 2016.
Una spesa che si concentra prevalentemente fra le grandi imprese, il 78% del totale, e che viene trainata, dicevamo, dai progetti di adeguamento al General Data Protection Regulation. Oltre la metà delle imprese italiane ha, infatti, in corso un progetto strutturato di adeguamento alla nuova regolamentazione mentre un altro 34% sta analizzando nel dettaglio requisiti e piani di attuazione. Contemporaneamente, cresce al 58% (rispetto al 15% di un anno fa) la percentuale di aziende che hanno già un budget dedicato all’adeguamento al GDPR.
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Tutti i numeri, ecco da dove dobbiamo partire
Secondo i dati emersi dallo studio, realizzato attraverso una survey a 1107 CISO, CSO e CIO di imprese italiane, un’indagine ad hoc ai Risk Manager e Chief Risk Officer di 106 organizzazioni italiane e un’ulteriore indagine su 313 professionisti del settore sul tema data protection, Insieme al mercato cresce anche la consapevolezza della necessità di un approccio di lungo periodo nella gestione della sicurezza.
“Il 2017 si è rivelato un anno di svolta per la gestione della sicurezza e della privacy in Italia: gli investimenti aumentano in modo consistente, grazie anche alla spinta del GDPR — spiega Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano —. Questa rinnovata attenzione permette al nostro paese, soprattutto per quanto riguarda le imprese più grandi, di collocarsi in linea con le principali realtà europee”.
Nascono i nuovi profili per la gestione della sicurezza
Nel 50% delle imprese è in corso un piano di investimenti pluriennale, anche se ben il 21% dichiara di stanziare un budget in sicurezza solo in caso di necessità, e il 39% delle imprese sta inserendo in organico nuovi profili che si occupano di security e il 49% di privacy. Aumentano responsabilità e competenze richieste al Chief Information Security Officer e aumentano le figure emergenti come il Security Administrator, il Security Architect, il Security Engineer e il Security Analyst. Il 28% delle imprese ha già in organico o collabora con un Data Protection Officer con il compito di facilitare il rispetto del GDPR.
“La figura del Chief Information Security Officer sta acquisendo maggior rilevanza rispetto al passato – sottolinea Gabriele Faggioli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano – e si assiste a una progressiva strutturazione delle funzioni preposte alla gestione della sicurezza. Aumentano le sfide, ma sta mutando anche l’approccio delle organizzazioni con soluzioni sempre più sofisticate”.
Il mercato dell’Information Security
Secondo lo studio del Politecnico sono le grandi imprese a dividersi la maggior parte della spesa in soluzioni per l’information security (78%). Se si esclude la quota destinata ai progetti di adeguamento al GDPR, la spesa è ancora orientata principalmente alle componenti di sicurezza tradizionali, come la Business Continuity & Disaster Recovery (19%), la Network Security (14%) e Security Testing (9%). Seguono le quote dedicate alle piattaforme di Incident Response (8%), ai sistemi di Identity e Access Management (6%) e alle soluzioni di Data Leakage e Data Loss Prevention (4%).
Lo scenario appare diverso se però si osservano le prospettive di spesa per il futuro: le maggiori percentuali di incremento sono previste nel mobile e nel cloud computing, con il 63% delle imprese che dichiara un aumento della spesa dedicata alla protezione dei device mobili (che pesa circa il 4% sulla spesa attuale) e il 59% che definisce in crescita il budget relativo alla protezione degli ambienti di cloud computing (che attualmente copre il 3% della spesa). Seguono la Security Awareness & Training (in crescita per il 56%) e la Cyber Insurance (indicata dal 52%, con una quota attuale di mercato del 2,5%).
Il percorso delle imprese italiane verso il GDPR
Cresce sensibilmente la consapevolezza delle aziende sulla normativa GDPR, che sarà applicabile a partire dal 25 maggio 2018. Soltanto l’8% delle imprese, infatti, dichiara una scarsa conoscenza delle implicazioni (contro il 23% di un anno fa), mentre sale dal 9% del 2016 al 51% attuale il numero di aziende in cui è già in corso un progetto strutturato di adeguamento. Un’impresa su tre (il 34%) sta invece analizzando i requisiti richiesti e i piani di attuazione possibili. Alla maggiore conoscenza corrisponde anche un deciso incremento delle risorse: il 58% delle aziende ha un budget dedicato all’adeguamento al GDPR, di cui il 35% con orizzonte annuale e il 23% su base pluriennale, anche se resta molto elevata, il 42%, la percentuale di organizzazioni senza un budget dedicato: il 42%.y
“Sull’adeguamento al GDPR emerge un sostanziale cambio di marcia, con buona parte delle imprese che ha avviato da tempo importanti progetti di adeguamento al GDPR – commenta Gabriele Faggioli -. Il fatto che tre quarti delle aziende abbiano iniziato a stendere politiche di sicurezza e valutazione dei rischi significa aver coinvolte le giuste competenze e aver preso coscienza della problematica. Nei prossimi mesi è probabile che gli investimenti aumentino e si spostino dai progetti di adeguamento al GDPR a iniziative di mantenimento dell’adattamento normativo”.
Assicurarsi contro il rischio cyber
Il mercato dell’assicurazione del rischio cyber oggi prevede svariate possibilità di copertura riguardanti la perdita o la divulgazione di dati personali e sensibili, la compromissione del sistema informativo e la sua interruzione di servizio, che possono tutelare danni causati a terzi o all’azienda stessa. “Il 27% delle imprese ha sottoscritto una polizza nel 2017, un numero ancora limitato ma in decisa crescita – commenta Alessandro Piva – Il 15% delle imprese opta per polizze che trasferiscono il rischio cyber e il 12% sceglie assicurazioni che lo coprono parzialmente. Il 35% del campione si trova in fase di valutazione, il 27% è informato della possibilità ma non ha intenzione di farvi ricorso, mentre l’11% non ne conosce l’esistenza. Il mercato delle assicurazioni del rischio cyber è ancora embrionale in Italia, ma ci aspettiamo cresca in modo consistente nei prossimi anni”
Il CISO e i nuovi ruoli emergenti
La grande attenzione all’information security, porta all’adeguamento delle misure. Quattro grandi imprese su dieci prevedono un aumento in organico dei ruoli che la gestiscono e quasi la metà afferma che incrementerà il numero di figure preposte alla gestione della privacy mentre soltanto rispettivamente il 2% e l’1% prevede una diminuzione del personale dedicato a queste funzioni.
In questo contesto, aumentano le responsabilità e le competenze richieste al Chief Information Security Officer (CISO), figura che alle competenze tecnologiche e organizzative deve affiancare conoscenza di business, capacità relazionali e abilità nel gestire un team. Accanto al CISO, emergono altre figure con ruoli specialistici. Tra i più diffusi spicca il Security Administrator, già inserito o in fase di valutazione nel 76% del campione analizzato, che si occupa di rendere operative le soluzioni tecnologiche di security, seguito dal Security Architect (57%), che si occupa di verificare le soluzioni di security presenti in azienda, e il Security Engineer (56%), che monitora i sistemi e suggerisce modalità di risposta agli incidenti.
Restringendo il campo all’ambito privacy, cresce l’importanza del Data Protection Officer, che ha il compito di facilitare il rispetto da parte delle organizzazioni delle disposizioni del GDPR. Complessivamente, il 28% del campione ha inserito in organico o collabora con un DPO: nel 15% delle imprese la figura risulta formalizzata, nel 10% è una presenza informale e nel 3% questa funzione viene delegata a una persona esterna. Migliorano invece le prospettive di inserimento di questa figura: il 57% del campione dichiara di voler introdurre un DPO in azienda nel prossimo futuro (era il 31% nel 2016) e soltanto il 15% afferma di non prevederne l’inserimento.
La data protection, imprese interessate ma scarseggia l’organico
Il sondaggio sulla percezione della data protection nelle imprese italiane rivela che per tre professionisti del settore su quattro (74%) il tema è rilevante o fondamentale per l’organizzazione in cui lavorano. L’elevato interesse si scontra però con l’ancora alto numero di aziende, 39%, che non ha in organico risorse dedicate. Una percentuale analoga, il 40%, ha del personale dedicato, mentre il 28% si affida consulenti esterni. Nonostante il personale interno alle aziende sembri ancora numericamente inadeguato, ben il 75% dei professionisti dichiara che la propria organizzazione sta adottando le soluzioni necessarie per gestire gli aspetti di data protection.
Le principali sfide individuate dal campione sono la sensibilizzazione del personale (67%), la scelta di un corretto modello di gestione della data protection (64%), l’applicazione della regolamentazione (53%), l’integrazione della documentazione relativa alla privacy (40%) e l’identificazione delle risorse dedicate (39%). Oltre alle azioni già intraprese, il 68% delle imprese manifesta l’intenzione di aumentare gli investimenti in data protection. Secondo i professionisti, gli interventi su cui le aziende dovrebbero concentrarsi sono la formazione del personale (51%), la definizione di ruoli e responsabilità specifiche (44%) e la creazione di un team dedicato (36%).
Come si comportano le PMI
Le piccole e medie imprese si dividono soltanto una parte minoritaria della spesa in soluzioni di information security, pari al 22%, con il livello di spesa e di adozione delle tecnologie di cyber sicurezza che aumenta al crescere delle dimensioni aziendali. Il 93% delle medie imprese utilizza soluzioni di security, di cui il 44% adotta strumenti sofisticati, come Intrusion Detection e Access Management.
Nelle piccole sono diffuse soluzioni più basilari, come Antivirus e Antispam, mentre le microimprese si rivelano le più esposte agli attacchi: ben il 30% non prevede alcun tipo di difesa contro le cyber minacce. Lo stesso gap dimensionale è in ambito organizzativo: soltanto nel 30% delle PMI è presente un responsabile cyber security, nella maggior parte dei casi l’imprenditore stesso o il direttore generale, mentre il 15% non prevede nessuna figura nella gestione di questa funzione. Un altro divario evidente, infine, è quello fra Nord e Sud del Paese, con il 40% delle imprese del Nord Ovest e il 30% di quelle del Nord Est che utilizzano soluzioni di information security, contro il 19% delle aziende del Centro e il 15% di quelle del Sud.