A inizio ottobre l’Ocse aveva presentato a Roma i risultati di un importante lavoro sul tema delle competenze digitali. I dati emersi da quell’indagine lasciavano poco spazio alla fantasia: in fatto di skills – quelle competenze che dovrebbero garantire un futuro all’economia e alla società – l’Italia era stata sonoramente bocciata. Ieri l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico è tornata sul tema presentando uno studio più approfondito sul Belpaese (Getting Skills Right: Italy), dove si analizzano i motivi del ritardo Italiano e si valuta (per fortuna positivamente) il potenziale di riequilibrio che potrebbero garantire le politiche e le riforme messe in atto negli ultimi anni.
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Italiani somari?
I risultati delle indagini PISA e PIAAC piazzano gli Italiani agli ultimi posti in Europa (e non solo. lo studio Ocse considera anche altri paesi membri dell’organizzazione come Canada, Corea del Sud, Giappone, Israele, Turchia, Cile, Nuova Zelanda e Australia) per livello di competenze sia matematiche sia cognitive, non solo a livello di popolazione, ma anche nello specifico dei laureati. Al penultimo posto ottenuto nella classifica delle competenze della popolazione con istruzione di base si somma il terzultimo posto dei laureati.
Campioni di Skills Mismatch
Se il 6% dei lavoratori italiani non ha competenze adeguate alla mansione che è chiamato a svolgere e il 18% è sotto-qualificato, gli Italiani hanno mostrato la straordinaria capacità di saper allocare male le (poche) competenze esistenti. Il 12% dei lavoratori è “over-skilled”, cioè ha competenze superiori a quelle richieste dalla propria mansione, mentre il 21% è “over-qualified” (per esempio ci sono laureati laddove non occorrerebbero). Inoltre circa il 35% dei lavoratori italiani è occupato in lavori che non sono direttamente legati al loro percorso formativo.
Il rapporto evidenzia come questa situazione si leghi a una perdita salariale media di circa il 17% rispetto a chi, invece, si specializza in un’area con chiari sbocchi occupazionali e le cui competenze sono richieste dalle imprese.
Il circolo vizioso che minaccia il futuro
Se la disponibilità di competenze è scarsa, va anche detto che la domanda di skills elevate non è significativa: sono solo le grandi imprese a richiedere competenze di un certo tipo, mentre il grosso del tessuto imprenditoriale, fatto di PMI, non sembra manifestare interesse verso lavoratori più qualificati: “l’85% delle imprese italiane – si legge nel rapporto – è di piccole dimensioni e prevalentemente a conduzione familiare e si concentra in settori tradizionali a bassa produttività in cui la domanda di competenze di alto livello è ridotta”.
C’è anche una ragione “storica” dietro questo fenomeno: management e classe imprenditoriale familiare sono a corto di competenze. Insomma, come dice Stefano Scarpetta, Direttore per l’Occupazione, il Lavoro e le Politiche Sociali dell’OCSE, “l’Italia si trova in un equilibrio, dove offerta e domanda di competenze tendono ad appiattirsi verso il basso in un circolo vizioso che ha evidenti ripercussioni negative sulla produttività, la crescita e l’utilizzo delle nuove tecnologie”.
Chi ha competenze digitali lavora e guadagna
Per fortuna, però, una parte del Paese si sta muovendo. I dati infatti mostrano una forte domanda di competenze in aree legate alle conoscenze delle nuove tecnologie quali computer ed elettronica, programmazione software e utilizzo delle tecnologie digitali. L’Italia, dice Scarpetta, “ha ancora lavoro da fare per sviluppare le competenze informatiche necessarie per poter affrontare le sfide del mercato del lavoro, adesso e nel futuro e i nostri dati mostrano chiaramente una forte domanda di competenze digitali su tutto il territorio nazionale”. Professionisti con buone conoscenze informatiche e delle nuove tecnologie digitali, così come quelli delle aree mediche e ingegneristiche sono premiati nel mercato del lavoro Italiano con performance nettamente sopra la media sia in termini di occupabilità che di salari.
Che cosa si può fare?
Secondo il rapporto le recenti riforme del sistema educativo (la Buona Scuola), del mercato del lavoro (Jobs Act) e le misure di politica industriale (Industria 4.0) mostrano importanti sinergie e possono contribuire a ridurre i preoccupanti squilibri fra l’offerta e la domanda di competenze nel mercato del lavoro italiano.
In particolare il piano Industria 4.0 (qui il capitolo dedicato) può contribuire all’ammodernamento strutturale delle piccole imprese, rendendole più innovative e aperte, generando così quella domanda diffusa di competenze che oggi manca, a condizione che management e classe imprenditoriale delle PMI facciano un salto di qualità: le competenze dei managers italiani, specialmente nelle imprese di piccole dimensioni, non sono sempre adeguate e devono essere rafforzate attraverso programmi di training mirati. Questo permetterebbe alle piccole imprese di poter beneficiare maggiormente delle nuove tecnologie e approfittare delle loro potenzialità produttive.
Altra importante raccomandazione è il sostegno alle politiche attive sul mercato del lavoro, che inseriscano – come prevede la nuova legge di bilancio – la riqualificazione e il reinserimento dei lavoratori in uscita dalle imprese in crisi. Nell’attuale contesto istituzionale sembra importante – dice il rapporto – adottare interventi che mirino al rafforzamento della cooperazione tra Stato e Regioni nell’erogazione dei servizi per l’impiego. In particolare, occorre identificare parametri chiari e obiettivi condivisi che si ergano a garanzia di una somministrazione di servizi ai disoccupati che sia omogenea e di qualità su tutto il territorio italiano.
La creazione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), basati su forti legami con il tessuto produttivo locale, è un’innovazione importante nel panorama dell’offerta professionalizzante italiana e ha dato, finora, risultati estremamente positivi consentendo lo sviluppo di competenze che sono rapidamente assorbite dal mercato del lavoro Italiano. Le nuove Lauree Professionalizzanti, inoltre, hanno anch’esse il potenziale per colmare il deficit di competenze tecniche in Italia ma, a questo fine è importante sviluppare legami più stretti tra università e imprese fin dal loro inizio puntando sullo sviluppo di competenze professionali e tecniche di alto livello.
L’Alternanza Scuola Lavoro è un passo nella giusta direzione ma molte sfide rimangano aperte. In particolare, è necessario, da un lato, rafforzare il ruolo delle imprese nella definizione del contenuto delle attività d’apprendimento basate sul lavoro (work-based learning) e dall’altro, fornire ai manager scolastici le risorse adeguate (sia finanziarie che pedagogiche) per sviluppare contatti efficaci con le imprese su tutto il territorio nazionale. Ciò è particolarmente importante in aree economiche più depresse dove le possibilità ricettive da parte delle imprese sono più limitate.
I percorsi di riqualificazione delle competenze dei lavoratori e quelli mirati al loro aggiornamento devono essere rafforzati attraverso un uso più oculato dei fondi per la formazione continua. Tale utilizzo deve essere legato alle reali domande e sfide del mercato del lavoro italiano. Sebbene, infatti, siano ancora tanti i lavoratori italiani con scarse competenze informatiche, ridotta conoscenza delle lingue straniere e deficit in una vasta gamma di competenze tecniche e trasversali, una considerevole parte dei fondi interprofessionali (a disposizione per la formazione continua) sono stati spesso indirizzati verso lo sviluppo di competenze in aree che sono solo marginalmente collegate alle sfide dettate dal rapido cambiamento tecnologico, la globalizzazione o l’automazione.