Dopo una lunga attesa il Governo ha varato l’attesissimo piano Transizione 5.0. Il provvedimento consta di 22 commi ed è contenuto all’interno del decreto che aggiorna il PNRR integrando le risorse provenienti dal fondo RePower EU.
Nonostante il testo sia ordinato e pieno di dettagli, restano diversi dubbi su come funzionerà l’incentivo. Una parte di questi dubbi sarà fugata dall’emanando decreto attuativo, atteso entro fine marzo. Ma ci sono alcune perplessità che sono invece legate proprio alle caratteristiche della normativa. In questo articolo passeremo quindi in rassegna alcuni degli elementi da chiarire insieme ad alcune delle criticità emerse.
Nota bene: Vi consigliamo la lettura di questo articolo, ma se volete avere la spiegazione ordinata di tutto quello che prevede il piano Transizione 5.0 leggete soltanto quest’altro articolo che è completo e aggiornato.
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Poco tempo per capire e utilizzare l’incentivo
Iniziamo dall’orizzonte temporale. Il Piano Transizione 5.0 è dedicato agli investimenti effettuati nel biennio 2024 – 2025, con risorse suddivise equamente per entrambe le annualità. Tuttavia, perché lo strumento sia pienamente operativo, occorrerà aspettare l’emanazione del decreto ministeriale che dispone alcuni aspetti di dettaglio di non secondaria importanza. Questo decreto dovrà essere emanato entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, cioè entro fine marzo.
A chi deve prendere una decisione per investire, quindi, restano a disposizione solo 9 mesi in questo 2024.
Quanto al 2025 vale il discorso opposto: si partirà a spron battuto a gennaio, con il pieno delle risorse per la seconda annualità. Ma c’è qualche dubbio sulla piena operatività della misura fino a fine anno. Il decreto legge dispone infatti l’obbligo di iniziare la fruizione dell’incentivo entro il 31/12/2025 (salvo fruirne, in caso di eccedenza, in ulteriori 5 quote annuali di pari importo).
La fruizione dell’incentivo, inoltre, potrà iniziare solo dopo aver ricevuto il decreto di concessione dell’incentivo, che a sua volta sarà emanato dopo che al Ministero siano giunte tutte le documentazioni. In buona sostanza l’azienda deve:
- fare il progetto di investimento
- fare la certificazione ex ante
- fare la comunicazione ex ante al GSE
- avviare l’investimento
- completare l’investimento
- mettere in funzione le macchine
- interconnettere il bene
- attestare l’interconnessione
- fare la certificazione ex post
- fare la comunicazione ex post al GSE
- eseguire un F24 in compensazione
- ottenere la certificazione del revisore dei conti
il tutto entro il 31/12/2025. Siccome alcune di queste fasi richiedono mesi di lavoro – pensiamo ad esempio alla certificazione ex ante, che è il punto più critico insieme ai tempi di consegna dei beni – appare abbastanza chiaro che il tempo necessario dal primo all’ultimo step difficilmente possa essere inferiore a 3-4 mesi (se tutto fila liscio). Di fatto quindi per arrivare con l’F24 al 31/12/2025 bisognerà aver iniziato il processo al più tardi entro l’estate del 2025.
Guardandola sul piano delle risorse, c’è di fatto poco più di un anno e mezzo per mettere a terra ben 6,3 miliardi di risorse.
Incentivo automatico (ma serve l’OK del GSE)
I testi aggiornati del decreto hanno eliminato la necessità di attendere un decreto di concessione da parte del Ministero e introdotto invece una sorta di “visto” a carico del GSE.
Il momento di questo “visto” è comunque alla consegna di certificazione e comunicazione ex ante. Una volta ricevuto l’ok (o in assenza di rilievi negativi), l’incentivo si intende prenotato.
Eventuali variazioni in corso d’opera saranno a questo punto possibili solo in diminuzione, cioè si potrà poi chiudere la pratica dimostrando un investimento più piccolo o meno efficace, ma non più grande o più efficace.
Va precisato che il visto del GSE non sarà soggetto a valutazioni di merito, ma unicamente alla verifica della correttezza della procedura e alla disponibilità delle risorse.
Sarà però lo stesso GSE a occuparsi dei successivi controlli di merito se l’autorità finanziaria riterrà opportuno provvedere a verifiche.
Che cosa succede se gli investimenti abbracciano più processi?
Passando alla parte più tecnica, c’è un nodo relativo alla determinazione delle aliquote. Come sappiamo il risparmio energetico che viene premiato può essere riferito o ai consumi dell’intera struttura produttiva oppure a uno specifico processo.
Ma che cosa succede se l’investimento riguarda più processi e generi risparmi diversi tra loro? Facciamo un esempio: l’azienda acquista una nuova pressa che fa risparmiare il 30% di energia nel processo di piegatura della lamiera e un nuovo sistema per la tomografia che fa invece risparmiare il 10% dei consumi nel processo relativo al controllo della qualità. Quale sarà la fascia di riferimento, visto che l’aliquota dovrà essere unica?
Come si determina lo scenario di riferimento se un’azienda introduce un nuovo processo?
Un’altra questione è quella della determinazione del punto di partenza al quale fare riferimento per individuare il risparmio ottenuto quando l’investimento non è meramente sostitutivo.
Finché infatti l’investimento effettuato sostituisce un bene precedentemente impiegato per lo stesso scopo (ad esempio un forno vecchio con uno nuovo più efficiente) il calcolo del risparmio energetico è relativamente semplice perché il punto di riferimento su cui misurare il miglioramento è chiaro e definito, cioè i consumi registrati dal forno “vecchio” nell’anno precedente. Anche in questo caso in realtà “semplice” non è proprio la parola adatta perché il consumo dovrà essere “normalizzato” per tenere conto delle circostanze specifiche dell’anno di riferimento o di quello attuale.
Ma che cosa succede se un’azienda acquista uno o più beni strumentali per portare in fabbrica un processo di cui precedentemente non si occupava? Supponiamo, per esempio, che un’azienda cartaria acquisti una stazione di lavorazione e confezionamento per realizzare non più solo il prodotto intermedio, cioè le bobine, ma anche rotoli di carta tissue o tovaglioli. Per i processi nuovi naturalmente l’azienda non avrà a disposizione un benchmark di riferimento interno. Logica vorrebbe che, come la legge prevede già per le imprese di nuova costituzione, si possa fare riferimento agli “scenari controfattuali”, cioè a benchmark di mercato. Ma è solo la logica a dirlo e non la legge. Ci auguriamo che su questo punto dia risposte il decreto attuativo. In questo senso comunque si è espresso il dirigente del Mimit Marco Calabrò. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
Il nodo dei controlli e della documentazione
E passiamo ai controlli. La certificazione ex post, stando a quanto si legge nel dispositivo contenuto nel decreto legge, si dovrà limitare ad attestare l’effettiva realizzazione degli investimenti conformemente a quanto previsto dalla certificazione ex ante. Non quindi a dimostrare tecnicamente l’effettivo risparmio conseguito.
Tuttavia, poiché sono previsti comunque dei controlli da parte del GSE (e dell’Agenzia delle Entrate), appare chiaro che le aziende dovranno comunque preoccuparsi di dotarsi di “prove” che consentano, in caso di un futuro accertamento, di dimostrare che avevano effettivamente ottenuto il livello di risparmio energetico per il quale hanno ricevuto l’incentivo. Si tratta dunque di un onere implicito (e un costo) che forse sarebbe stato meglio formalizzare.
Allo stesso modo non è chiaro quale sarà il “periodo di osservazione” durante il quale le aziende sono tenute a dimostrare il mantenimento dei requisiti: nel caso del piano Transizione 5.0 si prevede unicamente il divieto di alienazione dei beni per 5 anni. Sarà quindi questo anche il periodo di osservazione oppure resterà di 3 anni, come previsto dal Transizione 4.0? Oppure sarà legato al periodo di fruizione del beneficio che può essere immediato o spalmato su cinque anni?
La documentazione sull’interconnessione
Il nuovo testo del decreto chiarisce che servirà in ogni caso produrre l’attestazione dell’avvenuta interconnessione dei beni al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. Sarà il decreto attuativo però a spiegare come produrla e comunicarla e se a redigerla saranno gli stessi soggetti previsti dalla normativa 4.0, quindi diversi da quelli titolati a effettuare le certificazioni.