Leggo oggi l’ennesimo articolo catastrofista intitolato “Ecco perchè la quarta rivoluzione industriale avrà un impatto fortemente negativo sui dati dell’occupazione in Europa”. Si citano due fonti:
In merito all’impatto della robotizzazione nel mondo del lavoro è sorta una diatriba tra il Centro europeo per la formazione professionale e gli economisti dell’Oxford Martin School. Due soggetti che dipingono scenari totalmente antitetici. Il primo è più roseo per le prospettive occupazionali con la previsione di un aumento del 3% dei posti di lavoro in Europa entro il 2025, mentre i professori di Oxford prevedono scenari apocalittici come la perdita del 47% dei lavoratori obsoleti sostituiti dai nuovi robot.
Chissà perché nel titolo si dà ragione senza ombra di dubbio ai secondi.
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Né tifosi né catastrofisti
Per leggere qualcosa di diverso che non esca dalla penna del sottoscritto, bisogna rivolgersi a Riccardo Oldani e al suo articolo “Noi e i robot” pubblicato sul blog Le Scienze.
Come scrive Oldani
Il problema è in effetti sentitissimo dall’opinione pubblica ed è giusto dibatterne. Ma in più in Italia si respira sempre di più un’aria antiscientifica e antitecnologica, che ritroviamo anche in altri ambiti, come quello dei vaccini, degli ogm, delle scie chimiche e chi più ne ha più ne metta. Non sono pochi giornalisti e scrittori che cavalcano la tigre e disegnano scenari apocalittici per il futuro
La domanda da porsi – dice Oldani – è: perché tanto spazio ai profeti di sventura e nessuno a chi ci dà qualche barlume di speranza? Perché gli studi anche in questa direzione non mancano, come nel caso dello studio uscito a luglio 2016 a cura dello ZEW, il Centro europeo per la Ricerca Economica di Mannheim, secondo il quale tra il 1999 e il 2010 l’impatto dell’automazione sul lavoro è stato positivo per ben 11,6 milioni di posti di lavoro.
Perché esistono studi così discordanti?
Oldani ha intervistato uno degli autori dello studio e gli ha fatto una domanda chiara: gli ha chiesto cioè perché esistono studi che arrivano a conclusioni diametralmente opposte su questo tema.
«Il fatto che troviamo un effetto positivo netto della tecnologia sull’occupazione – risponde Terry Gregory – è dovuto alle forze fondamentali in gioco nel cambiamento tecnologico. In particolare, dimostriamo che automazione e digitalizzazione producono, in effetti, una perdita di posti di lavoro, come suggeriscono anche molti altri studi. Si tratta in particolare di lavori rutinari, ripetitivi, che possono essere eseguiti facilmente da robot e algoritmi. Però allo stesso tempo la tecnologia crea nuovi posti rendendo le aziende più produttive e competitive. Oltre a questo, altri lavori si creano nel momento in cui chi controlla i capitali investe i suoi utili supplementari in consumo di beni e servizi regionali nell’economia locale. Molti studi in passato hanno semplicemente fatto un’astrazione di queste forze opposte (soprattutto per una questione di dati), di fatto ignorando alcuni aspetti positivi dell’applicazione della tecnologia»
In pratica – e qui parlo ai colleghi della stampa che “fanno il tifo” per le teorie catastrofiste – è come se giudicassimo l’impatto dell’invenzione della stampa a caratteri mobili e del torchio tipografico di Gutenberg solo considerando i milioni di posti di lavoro che Gutenberg ha “rubato” agli amanuensi.