Risorse critiche nella sanità: come ottimizzarne l’utilizzo?

Sfruttare al meglio le risorse critiche è un aspetto estremamente rilevante nella gestione delle aziende sanitarie per avere pieno controllo delle situazioni e dominare gli imprevisti. Il terzo articolo del ciclo “Sanità: l’ottimizzazione delle operations, una sfida possibile?”, descrive le attività più opportune che tipicamente potrebbero comporre un processo di pianificazione integrata di una risorsa sanitaria critica

Pubblicato il 05 Ott 2020

Marco Perona

Laboratorio RISE - Università di Brescia

Massimo Zanardini

Consulente di IQ Consulting - Spin-off dell'Università degli Studi di Brescia

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Risorse della sanità: quali strutture sono davvero critiche?

Prima di addentrarci nella descrizione dei metodi più opportuni per ottimizzare l’utilizzo delle risorse critiche, è opportuno fare il punto di cosa si intenda con questo termine.

Anzitutto, è bene chiarire che le strutture definibili come “critiche” sono quelle scarse, e che esse sono tipicamente scarse poiché, richiedendo elevatissimi investimenti, si preferisce averne poche e garantirne un pieno utilizzo al fine di ridurne al minimo l’impatto sui costi delle prestazioni. Pertanto, la prima caratteristica tipica di una risorsa sanitaria critica è di essere fortemente capital-intensive. Questo è per esempio il caso delle Tomografie Assiali Computerizzate (TAC) e di altri dispositivi diagnostici consimili, tipicamente localizzate solo in aziende ospedaliere metropolitane di grandi dimensioni. Poiché non è possibile acquistare un gran numero di queste strutture a cagione dell’ingente investimento che richiedono, ne segue che esse tendono ad essere dei colli di bottiglia del sistema sanitario, provocando occasionalmente code di attesa. Tutte quelle risorse che, invece, non richiedendo particolari investimenti, sono tipicamente disponibili in grandi quantità e dunque non diventano mai critiche, salvo casi molto particolari legati a picchi estremamente elevati e non prevedibili, come accaduto ad esempio a causa del COVID.

Una seconda caratteristica che una risorsa può avere affinché la si possa definire “critica” è di essere specialistica, ossia di richiedere una o più figure specializzate per poter essere messa in azione. Anche questa seconda caratteristica, effettivamente, restringe il campo di utilizzo di quella risorsa o struttura rendendola, potenzialmente, un collo di bottiglia del sistema non tanto per l’indisponibilità della risorsa medesima, ma per quella del team specialistico che ne supporta l’esercizio. In altre parole, questa caratteristica di una risorsa potrebbe motivarne una limitata disponibilità, in maniera speculare alla intensità di capitale. Tale limite sul suo utilizzo, per maggiore chiarezza, non è legato all’intensità di capitale, ma alla elevata intensità di lavoro ossia all’elevato costo del lavoro che è necessario sopportare affinché quella risorsa possa funzionare correttamente. Pertanto, secondo questi due criteri definiamo critica una risorsa sanitaria (es. un reparto o un macchinario) quando la sua disponibilità è limitata: o perché essa richiede un investimento troppo elevato per poterne disporre a iosa, oppure perché il suo funzionamento presuppone personale specialistico di elevata qualificazione, dunque costoso e scarso.

C’è però una terza ed ultima caratteristica che ciascuna risorsa sanitaria dovrà necessariamente possedere affinché la si possa considerare “critica”, e cioè di essere mission-critical.  In altre parole, se la prestazione di questa risorsa potrà essere dilazionata nel tempo senza che il paziente in parola ne subisca danni, allora potremo sempre e facilmente pianificare il lavoro di questa risorsa in maniera bilanciata con la sua capacità operativa, semplicemente disciplinando le code di attesa. Invece, se la prestazione non è dilazionabile nel tempo, ecco che diventa indispensabile gestire l’ordinamento delle code di attesa per evitare ritardi nella somministrazione della prestazione che potrebbero rivelarsi esiziali per il paziente.

In definitiva, consideriamo nella nostra analisi tutte quelle risorse sanitarie mission-critical la cui capacità operativa è scarsa o perché capital-intensive, oppure perché labour-intensive.

Cosa significa “ottimizzare” l’utilizzo delle risorse sanitarie?

“Ottimizzare” non è un termine univoco, così crediamo sia opportuno spiegare meglio cosa si può intendere con tale termine e perché esso implica difficoltà anche concettuali rilevanti. Si può infatti parlare di ottimizzazione solo in presenza di una ben precisa funzione obiettivo che stabilisca la direzione verso cui muoversi, mentre in assenza di quest’ultima si potrà parlare al più di miglioramento di questa o quella prestazione. Nello specifico, il caso in parola ammette almeno 2 classi di prestazioni che possono essere migliorate, tra di loro ortogonali:

  • le prestazioni “shop orientedsono quelle relative alle risorse schedulate e che tipicamente ne misurano l’efficienza di utilizzo. Ad esempio, se stiamo occupandoci di un blocco operatorio, ci potrà interessare di massimizzarne l’utilizzo, e misureremo il raggiungimento di tale obiettivo attraverso il rapporto tra il tempo totale di utilizzo per attività operatorie [ore] e il tempo totale di apertura della struttura [ore] all’interno di ogni periodo dato (ad es. in ogni mese);
  • le prestazioni “job orientedinvece vedono il medesimo processo da un punto di vista speculare, quello dei job che devono essere eseguiti, e dunque dell’efficacia: se vogliamo procedere con l’esempio del blocco operatorio è la prospettiva del singolo paziente che deve essere operato. In questo secondo caso sarà necessario garantire non solo che il tempo media di attesa sia il minimo possibile, ma soprattutto che esso sia gestito in relazione alla gravità ed urgenza dei casi. Possiamo misurare questa seconda classe di prestazioni ad esempio attraverso la percentuale di operazioni che vengono realizzate in ritardo rispetto all’istante in cui si manifesta l’esigenza dell’operazione, unitamente alla distribuzione di frequenza dei ritardi, naturalmente pesata in relazione all’urgenza.

Vediamo subito, dalla breve trattazione sopra riportata, come sia difficile e spesso aleatorio definire una sola funzione obiettivo, univocamente strutturata: più comunemente, è invece necessario perseguire insieme il miglioramento sia dell’efficienza sia dell’efficacia delle strutture gestite. Ed è evidente che non è per nulla facile perseguire l’ottimizzazione simultanea lungo entrambe le direzioni: tanto più riusciremo ad utilizzare intensamente la struttura, tanto meno sarà facile trovare “buchi” di utilizzo in cui collocare nuovi interventi urgenti, e, viceversa, secondo la già richiamata “ortogonalità” delle prestazioni shop e job oriented.

Perché è difficile il tema delle risorse della sanità?

La veloce discussione delle funzioni obiettivo che abbiamo appena vista ci porta ad un’altra considerazione importante per acquisire una piena consapevolezza circa la pianificazione delle risorse critiche. Ottenere anche solo una schedulazione sub-ottima (cioè, probabilmente vicina all’ottimo, ma senza alcuna prova di averlo raggiunto) della sequenza di lavoro di una qualsiasi di queste risorse è un compito estremamente complesso, che richiede non solo di avere una piena competenza sulle caratteristiche e sui vincoli tecnici di quella struttura, ma anche una approfondita conoscenza delle tecniche computazionali di ottimizzazione.

Il primo motivo per cui questo è un compito difficile sta nella natura sfuggente delle funzioni obiettivo che dobbiamo necessariamente definire per orientare un processo di ottimizzazione e quanto meno di miglioramento. Come si è visto sopra, esse possono appartenere a diverse direttrici, che tra l’altro sono spesso l’una in contrapposizione all’altra. Per riprendere l’esempio di un blocco operatorio, l’azienda sanitaria che voglia ottimizzarne l’utilizzo dovrà specificare bene come tale funzione obiettivo combina tra di loro l’aspetto job e l’aspetto shop oriented, ad esempio con opportuni pesi. Dare un peso elevato alle prestazioni shop oriented enfatizzerà l’efficienza della struttura, a tutto vantaggio della riduzione dei costi o dell’aumento dell’output, forse però a discapito dei tempi di attesa. Al contrario, dare più rilievo alle prestazioni job oriented avrà come effetto un peggioramento dell’efficienza della struttura ed un corrispondente miglioramento nella soddisfazione dei pazienti. Evidentemente aziende sanitarie diverse potranno avere pareri diversi in proposito, così come anche nella medesima azienda sanitaria, strutture diverse potranno essere pianificate seguendo obiettivi differenti. Per rendere le cose più difficili, anche la medesima struttura all’interno di una specifica azienda sanitaria potrà seguire criteri diversi ad esempio in diversi periodi dell’anno. Per esempio, se essa è soggetta ad una domanda stagionale, nel periodo di picco il pieno utilizzo sarà pressoché garantito, e così sarà più sensato dare rilevo alle prestazioni job oriented; vice versa nel periodo di bassa domanda sarà più opportuno preoccuparsi dell’utilizzo della struttura, considerando che il basso carico di lavoro consentirà comunque una risposta rapida.

Un secondo livello di complessità è insito nei molteplici indicatori (spesso denominati Key Performance Indicators o KPI) che possono essere assunti come misuratori del raggiungimento degli obiettivi previsti. Ad esempio, per misurare l’efficienza di utilizzo del mio blocco operatorio potrò utilizzare un indicatore di output (ad esempio il numero di operazioni realizzate nell’unità di tempo) oppure un indicatore di input (ad es. il tasso di utilizzo netto della struttura). Impiegare un indicatore di output va più vicino all’obiettivo dell’efficientamento della struttura, tuttavia ha un potere diagnostico scadente: pertanto se non sono soddisfatto del risultato che ottengo in output, sarò costretto ad indagare gli ingredienti in input che determinano tale risultato. E naturalmente, non mi basterà indagare il semplice tasso di utilizzo netto, ma dovrò lavorare in maniera più disaggregata, controllando una serie di indicatori parziali, come ad esempio: i tempi morti per mancanza di attività; il mancato utilizzo per mancanza di altre risorse necessarie, ad es. il team operatorio; il tempo dedicato alla sanificazione delle camere operatorie ed alla loro preparazione; etc. Quindi, anche una volta deciso il cocktail prestazionale rispetto al quale effettuare l’ottimizzazione, sarà necessario definire attraverso quali indicatori misurarne ed attestarne il raggiungimento, quali informazioni servano per misurarli. Come raccogliere dette informazioni, come analizzare e stratificare gli indicatori, etc.

L’esempio che stiamo sviluppando permette di esplorare anche un’altra domanda che sarà opportuno porsi per approcciare correttamente il problema della pianificazione di strutture critiche, che è il corretto livello di aggregazione da adottare. Possiamo lavorare a tale domanda partendo da tre diversi punti di vista, che dovranno evidentemente essere trattati in maniera coerente:

  • l’aggregazione nei tempi, attraverso la quale dovremo capire ad esempio se occorre arrivare ad un dettaglio giornaliero, oppure se una scansione settimanale o addirittura mensile potrà bastare, e quale orizzonte è sufficiente
  • l’aggregazione nelle risorse, che ci chiede di definire quali risorse effettivamente considerare nella nostra ottimizzazione: ad esempio potremo lavorare sull’intero blocco operatorio, oppure su ciascuna camera operatoria separatamente, o addirittura su ciascuna specifica risorse critica di pertinenza di ciascuna camera operatoria (macchinari, strumentazione, team operatorio, etc.)
  • infine, l’aggregazione nei volumi, che ci porterà ad esempio a definire se è più corretto lavorare sul numero complessivo delle operazioni realizzate, oppure se vale la pena di discriminare anche quali operazioni vengono realizzate.

Non è sempre facile dare delle risposte generali a queste domande. Tuttavia -in linea generale- più abbiamo a che fare con un contesto omogeneo e statico più possiamo lavorare in maniera aggregata (a tutto vantaggio della semplicità computazionale), e più invece il contesto sarà eterogeneo e dinamico, e più sarà necessario cercare soluzioni di dettaglio. Ad esempio, se tutte le sale operatorie appartenenti al mio blocco sono circa uguali; se tutte le operazioni chirurgiche ivi realizzabili avranno requisiti tecnici e durate confrontabili; ed infine, se i volumi di attività saranno all’incirca livellati nel tempo, potremo adottare una pianificazione con scansione mensile dell’intero blocco, che consideri il volume aggregato di operazioni del mese come valore chiave di lavoro. Viceversa, in un contesto caratterizzato da una elevata dinamicità dei volumi e del mix di operazioni da realizzare, con sale operatorie specializzate e con operazioni caratterizzate da durate, requisiti tecnici e team di lavoro diversi sarà ovviamente necessario lavorare in maniera molto più analitica.

Anche una volta date risposte convincenti alle domande qui sopra indicate, il pianificatore si dovrà inevitabilmente scontrare non solo con la elevata dinamicità dei contesti sanitari, ma anche con la loro scarsa prevedibilità. Per le patologie stagionali e ricorsive è relativamente facile prevedere con una sufficiente affidabilità la domanda delle risorse che essere richiederanno, quali: macchinari specifici, farmaci e presidi medici, personale medico ed infermieristico specializzato, etc. Ci sono invece altre patologie che possono subire nel tempo picchi più o meno imprevedibili: in termini del tutto generali, la previsione sarà tendenzialmente più accurata per fenomeni più aggregati e più vicini nel tempo, e meno accurata per fenomeni più di dettaglio e più lontani nel tempo. Quando una previsione si può considerare sufficientemente accurata? Non è possibile rispondere a questa domanda senza traguardare un caso specifico: tuttavia, prima di rinunciare alla previsione per paura di sbagliarla, facciamo la considerazione che se non eseguiamo alcuna previsione sbagliamo sempre del 100%!

Ed infine, un’ultima caratteristica che spiega la complessità del processo di pianificazione di queste risorse critiche è la loro frequente caratterizzazione come multiple constraint. Ciò, in pratica, significa che non ci troveremo quasi mai alle prese con la pianificazione di una sola risorsa, ma credibilmente di più risorse, tra loro interdipendenti. Riprendendo l’esempio del blocco operatorio dianzi tratteggiato, per eseguire una specifica operazione chirurgica sarà necessario disporre di una specifica sala, dell’attrezzatura anestetica e chirurgica idonea, dei team di anestesia, di chirurgia e di rianimazione, etc. Ed il problema potrebbe essere reso complesso dal fatto che, ad esempio, il medesimo team di anestesisti richiesto per l’operazione A nella camera operatoria 1 potrebbe essere anche richiesto per l’operazione B che ha luogo nello stesso giorno nella camera 2: questo a sua volta implicherebbe da un lato che le due operazioni non possano avvenire contemporaneamente, e dall’altro però che esse debbano essere programmate una di seguito all’altra per migliorare l’utilizzo degli anestesisti, ma tenendo anche conto dei tempi adeguati per il riposo e la preparazione degli anestesisti etc..

Risorse in ambito sanitario: perché è importante affrontare questo tema?   

Sfruttare al meglio queste risorse è un aspetto estremamente rilevante nella gestione delle aziende sanitarie, in quanto impatta positivamente su molti diversi indicatori ed aspetti di prestazione di seguito discussi.

Anzitutto, eseguire una previsione sufficientemente accurata dei principali fenomeni che impatteranno sulle risorse critiche, pianificare una capacità operativa di riserva per gli imprevisti, avere un piano formalizzato, esplicito e noto a tutti, e saperlo rivedere rapidamente in reazione agli imprevisti, sono tutte caratteristiche di un sistema ben pianificato che ci permettono di avere pieno controllo delle situazioni, e di dominare gli imprevisti. Non finiremo mai di dire quanto poco sviluppata sia in Italia la cultura della pianificazione, e quanto frequentemente, come logica conseguenza, anziché anticipare gli eventi gli addetti alla pianificazione trascorrano le proprie giornate a reagire a continue emergenze. Perché, come soleva ammonire Bejamin Franklin: “By failing to prepare, you prepare to fail”.

Come si diceva prima, uno dei risultati di una buona pianificazione potrebbe essere il miglioramento dell’utilizzo di queste strutture, che a sua volta comporterà un aumento dell’output realizzato, e dunque potrà in pratica determinare la possibilità di curare più pazienti a pari investimento, oppure di ridurre l’investimento a pari numero di pazienti curati. Questo a sua volta potrà migliorare sia il conto economico sia lo stato patrimoniale delle aziende sanitarie.

Se, specularmente, verrà ottenuta anche una riduzione nei tempi di attesa dei pazienti, si sarà evidentemente ottenuta anche una migliore efficacia delle terapie ed una più gradevole esperienza dei clienti, adempiendo quindi ad una rilevantissima funzione sociale dell’azienda ospedaliera (alleviare le sofferenze e ripristinare la salute nei pazienti) e contemporaneamente sviluppando una altrettanto importante differenziazione competitiva, per giunta difficile da copiare da parte delle aziende concorrenti.

La maggiore dinamicità della pianificazione potrà venire incontro alla opportuna gestione delle urgenze, nel senso sia di prenotare in maniera simultanea tutte le risorse necessarie per sviluppare una specifica prestazione urgente, sia di propagare in tutte le direzioni utili la perturbazione che questo comporta. In questo modo si potranno riaggiornare in tempo reale tutti i tempi e quindi comunicare a tutti i team operativi ed ai pazienti meno critici le nuove date ed ore che emergono dal piano rivisto.

Infine, è evidente che disporre di un piano formalizzato ed esplicito dell’utilizzo delle risorse critiche di un ente di cura avrà anche la logica conseguenza di poter comunicare con il dovuto anticipo ed in maniera più chiara ai responsabili le esigenze in termini di presidi medici, farmaci, servizi essenziali (ad es la sanificazione) e di armonizzare meglio con l’attività operativa le inevitabili attività di manutenzione e ripristino, etc.

Cosa bisogna fare?

Fatte tutte le premesse e date tutte le definizioni sopra sviluppate, è ora possibile addentrarci a descrivere meglio le diverse attività che tipicamente potrebbero comporre un processo di pianificazione integrata di una risorsa sanitaria critica. È importante sottolineare che non sempre queste attività saranno tutte necessarie, ma dovremo volta per volta identificare quali di essere sono opportune, e contestualizzarle meglio ponendoci tutte le domande rilevanti: a quali strutture applicarle? Per migliorare quali prestazioni? Et cetera.

La prima attività da svolgere è la pianificazione della domanda delle specifiche prestazioni erogate dalle strutture critiche in parola. L’obiettivo di questa fase di lavoro è di costruire un piano di domanda sufficientemente accurato, a partire dal quale sviluppare tutte le successive considerazioni. Pianificare la domanda non significa solo cercare di prevederla, magari impiegando qualche modello algoritmico, ma anche di influenzarla in relazione ai vincoli delle strutture pianificate ed alle caratteristiche della domanda medesima. Non è possibile, in questa sede, scendere nel dettaglio di questo processo, ma è opportuno ricordare che esso richiede una corretta impostazione del livello di aggregazione e dell’orizzonte di pianificazione, oltre al coordinamento di una serie di attori che dispongono delle informazioni utili.

La pianificazione operativa è la fase che spesso segue la pianificazione della domanda: l’obiettivo di questo processo di lavoro è quello di allocare al meglio le risorse disponibili, definendo i fabbisogni dei diversi processi coinvolti (ad esempio, in termini di effort lavorativo, di competenze, di strutture tecniche, attrezzature specifiche, spazi, etc.) ed allocando di conseguenza le risorse ai processi, fino ad ottenere un buon bilanciamento tra risorse allocate e risorse richieste. Non è insolito in ambito sanitario, sia pubblico sia privato, dover affrontare puntualmente nel tempo una disponibilità di risorse inferiore ai fabbisogni, motivo per cui è essenziale lavorare attentamente nella fase di progettazione del sistema, descritta in precedenza, affinché esso sia il più snello e flessibile possibile ed offra il maggior numero possibile di leve di ribilanciamento, quali ad esempio: risorse alternative in parallelo; spostamento di personale medico o infermieristico tra reparti e strutture; pianificazione di turnazioni straordinarie; etc.

La programmazione segue tipicamente la pianificazione operativa, e la sviluppa con un orizzonte temporale più breve e un dettaglio maggiore. Essa è volta eminentemente a redigere dei programmi concreti sulla base delle linee guida sviluppate più in aggregato e nel medio-lungo termine dalla pianificazione. Ad esempio, questa fase di lavoro sarà volta a garantire la presenza di tutti i materiali necessari (siano essi farmaci o dispositivi sanitari di altro tipo); ad organizzare i turni di lavoro dei diversi team specialistici; a programmare le attività dei team di supporto; ad armonizzare le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria; et cetera.

Ancora più nel breve termine, ed ancora con maggiore dettaglio, la schedulazione riguarda l’esatta calendarizzazione delle attività quotidiane, la puntuale disponibilità del personale e distribuzione dei materiali e delle attrezzature necessarie ai punti di utilizzo, etc. Più si scende nel dettaglio e più si è soggetti alle perturbazioni: così è all’ordine del giorno di dover rivedere la schedulazione di una specifica sala operatoria per l’arrivo di un caso urgente che passa ovviamente davanti a tutti gli altri, per l’esaurimento delle scorte di azoto liquido, per l’indisposizione di un chirurgo, oppure semplicemente perché una certa operazione ha avuto delle complicazioni e si è protratta qualche ora più del previsto. Il sistema deve a questo punto consentire una facile revisione del piano, attraverso quella che viene comunemente definita una ri-schedulazione.

Fondamentale per garantire la conoscenza real time dello stato delle risorse gestite è anche disporre di un sistema di controllo avanzamento, attraverso il quale tutte le modifiche rispetto alla schedulazione vigente possano essere opportunamente e tempestivamente comunicate al decisore, affinché disponga in modo completo, corretto e tempestivo delle informazioni necessarie per la prossima decisione. Un buon sistema di controllo dell’avanzamento permette di rilevare in tempo reale: lo stato dei job, ossia delle prestazioni da erogare; lo stato delle risorse critiche attraverso le quali tali prestazioni possono essere erogate; e lo stato del personale specialistico richiesto per erogare le suddette prestazioni.

Esso inoltre, grazie alla accurata raccolta delle informazioni a cui attende, prelude alla possibilità di innescare una efficace fase di reporting: che se da una parte è di importanza capitale per verificare l’effettivo raggiungimento di quelle prestazioni che ci si attendono dalle risorse più rilevanti del sistema, dall’altra è anche essenziale per supportare una progressiva taratura dei metodi, dei livelli di aggregazione, degli orizzonti, delle frequenze impiegati nelle diverse fasi decisionali sopra indicate.

EmpowerCare, iniziativa sviluppata dalla practice Healthcare Innovation di P4I, è un ecosistema di servizi nati per risolvere le criticità che la pandemia ha fatto emergere e non più rimandabili. È un percorso a supporto di tutti gli attori del Sistema Sanitario Nazionale, sia a livello centrale che a livello territoriale, sia per la contingente fase emergenziale che a supporto della fase post-emergenza e dell’evoluzione strategica della sanità, con interventi a livelli crescenti di complessità e impatto organizzativo.

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Di seguito, i primi due articoli del ciclo

Sanità e ottimizzazione delle operations: introduzione

Logistica sanitaria: perché è diventata una priorità

Immagine fornita da Shutterstock.

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