Con l’avvio della “fase 2” è fondamentale per le imprese assumere un approccio proattivo alla trasformazione del proprio business. Uno degli aspetti chiave su cui puntare sono gli investimenti in nuove tecnologie. Spingere sulla digitalizzazione può rappresentare un nuovo inizio nel modo di lavorare e di fare impresa. Non solo per lo smart working, che ha garantito la continuità in molti servizi, ma di più per il rafforzamento dei processi organizzativi e produttivi.
Si pensi all’e-commerce, che in Italia, nel mese di marzo, è cresciuto del 140% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, cambiando le abitudini personali di molti di noi e permettendo a molte aziende la capitalizzazione di asset informativi, competenze analitiche e investimenti tecnologici. Un bel balzo in avanti per gli acquisti online, un mercato che di sicuro non potrà tornare alla domanda che c’era prima, poiché ormai i vantaggi di questo sistema sono stati scoperti da tante persone che prima non si interessavano a questo canale di acquisto. Sarà perciò opportuno iniziare ad analizzare i nuovi comportamenti di acquisto, perché l’e-commerce dovrà reinventarsi per continuare a crescere e offrire sempre più comfort e qualità a chi si è approcciato a questo mondo e vorrà continuare a sfruttarlo nei prossimi anni.
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Quanto vale il commercio elettronico
L’e-commerce mondiale nel 2019 ha prodotto un fatturato pari a 15.751 miliardi di dollari, tra B2C e B2B. Il B2C, ovvero il commercio online al dettaglio, rappresenta il 23% del totale, in crescita di due punti percentuali rispetto all’anno appena passato[1]. L’e-commerce B2C nel mondo vale 3.535 miliardi di dollari, il 20% in più rispetto all’anno precedente. Si stima che raggiungerà quota 5.000 miliardi di dollari nel 2020, mantenendo la stessa percentuale di crescita[2].
Nel 2019 l’e-commerce B2C ha rappresentato il 14,1% del totale delle vendite al dettaglio nel mondo (con una crescita del +15% rispetto all’anno precedente) e si stima che la percentuale possa salire fino al 22% nel 2023[3].
La recente indagine[4] ci dice che in Italia il commercio elettronico, in costante crescita, vale 48,5 miliardi di ricavi, il 7% del totale delle vendite. Il 12% delle aziende italiane opera nell’e-commerce e il 79% di loro lo fa in ambito consumer. Rispetto all’offline che negli ultimi 10 anni ha visto scomparire circa 63 mila negozi (-11%), il Registro Imprese conferma l’andamento dell’e-commerce in Italia: in tutto il 2019, le imprese attive che si sono registrate con codice ATECO relativo al commercio online (primario o secondario) sono 6.968 ovvero il 20% in più rispetto a quelle registrate nel 2018. Le attività che si registrano con codice primario, indicando dunque come attività principale la vendita online, o che comunque hanno come codice prevalente in termini di fatturato quello e-commerce, sono il 68% (nel 2018 questa percentuale era del 54%).
Nel primo quadrimestre del 2020 i servizi di e-commerce sono stati usati per la prima volta da 2 milioni di italiani, una vasta platea di nuovi utenti, contro i 700 mila dello stesso periodo del 2019.
Una crescita notevole secondo il Netcomm Forum Live, che ha messo l’accento su come la pandemia abbia cambiato gli equilibri. Settori prima marginali sono cresciuti vertiginosamente, come l’alimentare, che pesava per il 3% e che ha fatto registrare picchi fino al 300% di crescita. In flessione, viceversa, settori come il turismo, che rappresentava il 25% del mercato, e la moda.
Nelle indagini degli analisti emerge che il panorama per la seconda metà dell’anno sarà diverso da quanto immaginato fino a pochi mesi fa. Sono cambiate molte abitudini. Dopo lunghe settimane di isolamento forzato, l’età di chi compra online si è alzata, il reddito medio ridotto e la sua diffusione ha raggiunto anche i centri minori. Sui social cinesi, per esempio, sono aumentare le televendite in diretta (+110% sul portale Taobao), negli Usa le grandi catene (Starbuck, Macy’s, Walmart, Best Buy) stanno riaprendo con l’aiuto delle tecnologie: ordinazioni vocali e pagamenti tramite app, ritiro fuori dal locale (che in molte location è possibile fare in automobile).
Fenomeni che hanno interessato anche l’Italia, dove milioni di persone hanno sviluppato in poche settimane una dimestichezza con acquisti in rete quasi impensabile. Molti operatori hanno dovuto modificare la logistica e cambiare le interfacce. Carrefour, per esempio, ha creato un carrello con gli essentials, ovvero i prodotti essenziali, sganciati dal sito classico. Insomma l’emergenza ha dato una grandissima spallata culturale all’e-commerce. Chi opera con i numeri ha potuto vedere consolidare una tendenza inequivocabile. Enrico Trovati, del Politecnico di Milano, parla di “fortissima accelerazione nella frequenza e nella continuità di uso di pagamenti contactless e mobile payment. Decine di migliaia di piccoli imprenditori del commercio si sono trovati nella condizione di non poter accogliere consumatori nei punti vendita e hanno visto nella consegna a domicilio una opportunità da non perdere. Il pagamento da remoto è stato il primo effetto.”
I nuovi sistemi di pagamento
Il 50% del fatturato delle aziende e-commerce italiane proviene dal sito proprietario, il 23% da marketplace. Tra i marketplace più utilizzati: Amazon, eBay, Facebook Marketplace, Alibaba, ePRICE, Zalando e Tmail. Il 30% delle aziende è presente solo su un marketplace, il resto vende su più piattaforme contemporaneamente. Il grosso degli acquisti elettronici in Italia avviene ancora con bancomat e carte di credito. In questo caso le piattaforme di pagamento sono gestite dalle grandi big tech (Apple Pay, Google Pay, Samsung Pay, Alipay) che gestiscono anche il grosso del mercato, anche se risultano in crescita i nuovi sistemi, come il contactless. Ovviamente contactless sono anche i pagamenti che avvengono da remoto, quando si acquista online (18,3 miliardi da pc e tablet; 12 via smartphone in mobilità).
Il 76% degli utenti e-commerce ha acquistato da mobile nel corso dell’ultimo anno, contro una media europea del 64%. Il 98% degli utenti ha acquistato tramite marketplace nel corso dello scorso anno e 31,6 milioni di persone hanno acquistato online da siti esteri, in particolare si acquista da Cina, UK, Stati Uniti e Germania[5].
I sistemi innovativi sono ancora una fetta piccola, ma con un trend in costante crescita. Soprattutto per le app indipendenti, come Satispay, che permettono di ricaricare una somma in un portafoglio digitale (via carta di credito o con l’Iban da conto bancario) autorizzando così i pagamenti e ricaricando quando il plafond è finito. Un sistema nato per gli scambi di denaro tra privati, ma sempre più usato per i pagamenti in negozio. Il vantaggio per l’esercente che si associa è che non gli serve una piattaforma di e-commerce, quindi, non deve pagare alcuna commissione. Il contrario di quanto accade su Amazon, dove, pagando una commissione dal 5 al 20%, chiunque può vendere. “Non associamo carte di credito così possiamo abbattere i costi di commissione all’utente – ha spiegato Alberto Dalmasso, ad di Satispay – e questo ci ha permesso di associare anche quegli esercenti che non sono strutturati sull’online, e sono quelli che hanno iniziato a fare consegne locali oppure accettano ordini che poi i clienti vanno a ritirare. Siamo il ponte verso l’e-commerce dei piccoli negozianti. Diciamo che stiamo lavorando per un e-commerce a km 0, più sostenibile e anche democratico. La corsa alle vendite online ha portato distorsioni, sfruttamento di fasce di lavoratori: noi facciamo viaggiare molto meno le merci, consentiamo di usare un packaging più leggero.”
Ci sono poi le app specializzate in settori: quelle nelle mobilità (My Cicero, Telepass Pay) che consentono di pagare parcheggi, biglietti del bus, i rifornimenti di benzina o interventi nelle stazioni di servizio in autostrada. Da ultimo, si trovano quei sistemi di pagamenti attraverso nuove piattaforme che, come nel caso dei wearable, autorizzano grazie alla sensoristica alcune tipologie di pagamento. Dagli ordini vocali tramite speaker e gli assistenti virtuali (come Alexa di Amazon o Google Home), alla possibilità per alcuni frigoriferi Samsung di ordinare e pagare i prodotti mancanti, oppure alle stampanti che comprano da sole su Amazon le cartucce di inchiostro. Ma parliamo davvero di numeri ancora piccoli, di super nicchie.
Il futuro dell’e-commerce: abbonamenti e servizi su misura
Lo spostamento da un’economia della transizione a un’economia dei flussi, dove torneranno a giocare un ruolo da protagonisti i produttori. L’affermazione progressiva del prodotto come servizio. È questa la traiettoria tracciata per il futuro dal XIV rapporto “E-commerce in Italia 2020”, presentato in streaming dalla Casaleggio Associati. “In certi settori – ha dichiarato Davide Casaleggio – arriveremo a un punto di non ritorno. Arriva un momento, non solo economico ma anche dettato dalle contingenze, in cui diventa più conveniente vendere online. In più, per molti utenti, è definitivamente caduta la barriera culturale dell’acquisto online”.
Da non sottovalutare il ruolo dei social media, utilizzati oggi da più della metà degli italiani, circa 35 milioni di cittadini, che vi accedono per il 98% da mobile. Nel mondo di oggi il 75% dei consumatori acquista un prodotto dopo averlo visto sui social.
Secondo Forrester Research, il 30% di chi fa acquisti online lo farebbe volentieri attraverso i social, il 23% già dichiara di essere influenzato dalle raccomandazioni dei social per gli acquisti. Non è un caso che Facebook abbia di recente investito 5,7 miliardi di dollari per acquisire un pacchetto azionario del 9,9% del colosso indiano delle comunicazioni Reliance Industries. Non è un mistero che il sogno di Zuckerberg sia quello di entrare nell’arena del commercio digitale e con tale accordo, che consentirà l’integrazione di WhatsApp con JioMart, la catena di negozi alimentari di Reliance, che vanta 400 milioni di utenti, quel sogno sta per diventare realtà. Ma la strategia di Facebook va oltre l’immediato, perché il colosso social vuole pian piano spostare il centro dei suoi ricavi dalla pubblicità all’e-commerce e più in generale a quello dei pagamenti elettronici. È chiaro che, davanti a questo scenario, dove diventerà normale comprare qualunque oggetto online[6], le aziende italiane devono investire su Facebook e Instagram, studiando attentamente la strategia da adottare. Il prodotto sarà sempre più considerato un servizio.
Si pensi al caso di Illimity[7], la banca che più di tutte si è posizionata come una piattaforma di aggregazione. Si pensi al mercato musicale, dove i ricavi dello streaming sono cresciuti del 23% rispetto al 2018. E non è cresciuto solo lo streaming gratuito, ma anche e soprattutto quello generato dagli utenti che sono abbonati a pagamento ai servizi come Apple Music, Amazon Music o Spotify (+24%). Acquistare online diventerà un gesto legato all’entertainment: compro perché ho vissuto un’esperienza su Instagram. I margini di guadagno maggiori saranno su questo tipo di vendite, perciò è su questo tipo di acquisti che i produttori dovranno concentrarsi nel medio-lungo periodo, anche perché il gap che l’Italia aveva con gli altri Paesi sull’e-commerce andrà via via ad assottigliarsi. “Si vede chiaramente – ha concluso Casaleggio – come stiamo passando da un’economia delle transazioni a una di flussi. Vuol dire che saranno sempre più diffuse formule di abbonamento a un prodotto, piuttosto che la lista della spesa. Entreranno così sul mercato retail direttamente produttori, su richiesta diretta del consumatore. Chiederemo agli assistenti virtuali di comprarci quel prodotto e di farlo solo a determinate condizioni: se in promozione o una volta a settimana.”
Conclusioni
L’e-commerce del 2020 sarà un punto di svolta. Al netto delle categorie merceologiche in crisi e del calo generalizzato dei consumi, il 2020 è l’anno in cui tutti gli italiani scoprono la possibilità di acquistare online. Gli operatori che sapranno interpretare questo momento potranno raccogliere nuovi clienti da fidelizzare nel tempo. Le aziende che prenderanno questo periodo come un periodo di sosta pensando che torneranno a fare lo stesso business di prima sbagliano. Le evoluzioni sulle abitudini di consumo cambieranno completamente e i clienti si abitueranno a nuovi tipi di servizi e relazioni con le aziende. Per gli operatori dell’e-commerce questo è il momento di non rimanere indietro. Per non finire esclusi dal mercato, molte imprese dovranno puntare sul commercio elettronico, interpretando le nuove tendenze, seguendo alcuni accorgimenti. Il consiglio degli esperti è quello di definire la presenza online e ampliare i canali di vendita, attraverso una gestione diretta o affidandosi a piattaforme di supporto. Chi non è online dovrà ripensare al posizionamento. Le catene del retail punteranno a integrazioni, per ridurre spedizioni troppo costose e impattanti sull’ambiente, puntando a consegne più rapide, con più facilità nella consegna degli ordini locali e nella vendita dei prodotti in negozio. Questa propensione all’innovazione, cavalcando l’onda della digitalizzazione farà la differenza nel mercato, dividendo coloro che rimarranno al palo da chi prenderà il volo. Nuovi modelli e nuovi servizi che si contenderanno spazi di mercato per i quali già oggi inizia a esserci molta domanda, ma non altrettanta offerta.
- Fonte: In-depth: B2B e-Commerce 2019, ecommerce DB, Statista, 2019 e Global Ecommerce 2019, eMarketer, 2019 ↑
- Fonte: Global Ecommerce 2019, eMarketer, 2019. ↑
- Fonte: E-commerce share of total global retail sales from 2015 to 2023, Statista, 2020. ↑
- Fonte: Rapporto “E-commerce in Italia 2020” a cura di Casaleggio Associati. ↑
- Fonte: E-commerce in Europe 2019, Postnord, 2019. ↑
- In Gran Bretagna si sta assistendo già alla scomparsa dei negozi fisici in settori come l’elettronica di consumo o dei libri. ↑
- Con strumenti che consento ai clienti di ottimizzare la gestione del denaro, la banca si sta evolvendo da un modello di prodotto a uno di servizio, con tanti sistemi che, grazie all’open banking, possono essere attivati a supporto della clientela. ↑