Innovazione

Innovazione e uso intelligente delle tecnologie nella fase del “dopo Covid-19”

Le tecnologie abilitanti sono quelle che già oggi possono aiutarci nel costruire un mondo diverso, le tecnologie emergenti sono quelle che potranno farlo domani: entrambe vanno comprese e gestite nel modo migliore

Pubblicato il 05 Mag 2020

Massimo Canducci

Chief innovation officer di Engineering

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Stiamo vivendo la più grave crisi pandemica ed economica della storia moderna. Secondo il World Economic Outlook di Aprile 2020, realizzato dal Fondo Monetario Internazionale, i dati a livello globale sono molto preoccupanti: si va da una contrazione del Pil del -5,9% per gli Stati Uniti a un -7,5% per l’area Euro fino a un drammatico -9,1% di contrazione per l’Italia. Se si sposta però l’attenzione al 2021, i dati mostrano una previsione di incremento del Pil per il 4,7% sia per gli Stati Uniti che per l’area Euro e del 4,8% per l’Italia, mentre non vengono fatte stime per il 2022.

Il ruolo determinante di innovazione e uso intelligente delle tecnologie

Per uscire il più velocemente possibile da questa situazione e per limitare gli ingenti danni all’economia, molti paesi nel mondo stanno attivando una “fase 2” di graduale riapertura, da attuarsi con diverse modalità e con l’obiettivo di permettere alla popolazione un progressivo riavvicinamento alla vita sociale e lavorativa, tutto questo mettendo in campo numerose strategie orientate a contenere il più possibile i rischi di un ritorno dei contagi e di eventuali nuove necessità di chiusura.

Un ruolo chiave nella gestione e nel superamento di questa delicatissima crisi del nostro tempo la avranno l’innovazione e l’uso intelligente delle tecnologie, quelle stesse tecnologie che ci avranno aiutato a superare l’emergenza consentendo a molti di noi di lavorare, insegnare e studiare senza muoverci da casa, che ci avranno consentito di aiutare al meglio gli ammalati e di evitare il più possibile che i sani si ammalassero, che ci avranno aiutato nelle fasi di ripartenza e di ripresa delle attività produttive. Avremo imparato a smettere di aver paura della tecnologia, a non considerarla “la soluzione”, ma a trattarla per quello che è: uno straordinario abilitatore di progresso e di innovazione. Le tecnologie abilitanti sono quelle che già oggi possono aiutarci nel costruire un mondo diverso, le tecnologie emergenti sono quelle che potranno farlo domani, entrambe vanno comprese e gestite nel modo migliore, non allontanate perché ci fanno paura o perché non siamo in grado di comprenderne l’enorme potenziale che hanno e avranno sempre più in futuro.

Cambiare dunque, ma come? La purtroppo abusata strategia del “cambiare perché nulla cambi” non porterà più a nessun risultato, potrebbe quindi essere l’occasione per cambiare ancor più radicalmente perché nulla rimanga più come prima, in modo da essere in grado di comprendere al meglio la nuova normalità, adattarsi alle sue caratteristiche e saperne cogliere gli aspetti rilevanti per il nostro business e per la nostra vita.

Una strategia improntata agli ecosistemi

In questa nuova normalità una strategia vincente sarà costituita dal ragionare prevalentemente in ottica di ecosistemi, sia dal punto di vista degli ecosistemi di partecipazione che da quello degli ecosistemi di appartenenza.

Gli ecosistemi di partecipazione sono quelli in cui il nostro business nasce e tenta nuove strade di crescita, sono composti dai nostri clienti, fornitori, partner e stakeholder di varia natura.

Una delle cose che impareremo nella nuova normalità della fase degli ecosistemi è che fare le cose da soli non è mai la scelta giusta. Impareremo che il nostro business non è il nostro business, il nostro business è quello del nostro cliente, ma è anche quello del nostro fornitore e ha spesso delle strette relazioni con quello dei nostri potenziali partner. Sarà quindi una cosa normale farsi aiutare nelle cose che non sappiamo fare o che altri sanno fare meglio di noi.

Sarà una cosa normale lavorare in ottica di co-innovazione, dell’innovare insieme, del trovare insieme ad altri nuovi modelli di business o nuove opportunità di mercato, la maggior parte delle volte abilitata dalla tecnologia, e che abbiano vantaggi per tutti i partner oltre che un impatto positivo e concreto sul mondo che ci circonda. Le aziende che si faranno guidare in percorsi di co-innovazione avranno una marcia in più, cambieranno più velocemente e meglio e affronteranno più facilmente e più serenamente il mondo che verrà, con il vantaggio di saper stare meglio sul mercato.

Gli ecosistemi di appartenenza sono invece costituiti da quello che ci circonda: la città in cui viviamo, il paese in cui operiamo, il bosco in cui corriamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo. Non si tratta, come potrebbe sembrare ad un’analisi superficiale, di cose che ci appartengono. L’ecosistema di appartenenza è costituito da cose che si appartengono reciprocamente e nel quale noi, con le nostre “superiorità e intelligenza” non siamo altro che uno degli elementi. Talvolta i più insignificanti, talvolta i più tossici.

Il nostro business nell’era della nuova normalità non potrà non considerare prioritario un atteggiamento protettivo e conservativo nei confronti di questi ecosistemi, perché impareremo che uno dei fattori prevalenti di crescita economica sarà costituito dal loro stato di salute.

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Massimo Canducci
Chief innovation officer di Engineering

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