Se per molti la pandemia è quasi solo un ricordo, almeno per ora, per le aziende manifatturiere italiane le conseguenze del Covid19 si sono trasformate in un nuovo modello di lavoro e di business. Parlando con colleghi e clienti imprenditori in questo 2022 di ripresa, si percepisce davvero come un fatto gravissimo come la pandemia abbia dato una scossa drastica all’intero sistema industriale favorendo definitivamente un ingresso pervasivo delle nuove tecnologie in fabbrica.
Oggi le applicazioni 4.0 sono ovunque, in qualsiasi ambito e settore manifatturiero e comportano una trasformazione radicale del concetto stesso di azienda, basata sulla connettività. Un cambio di mindset non banale: per noi di SolidWorld, digitali dalla nascita, ci sono voluti tre giorni per riorganizzare riorganizzato l’intero sistema, così da consentire a tutti i nostri dipendenti, diverse centinaia, di lavorare in maniera interconnessa da remoto, progettando in cloud e garantendo in maniera inalterata servizi e assistenza a quasi 8 mila clienti. Ma come noi lo hanno dovuto fare migliaia di aziende, su tutto il territorio nazionale, meno digitali e connesse di noi, con tanta fatica e soprattutto tanti costi. Oggi, a più di 2 anni dal marzo 2020, guardando l’Italia della manifattura vediamo un panorama molto diverso nel modo di lavorare: il digitale ha preservato l’eccellenza produttiva del made in Italy, eliminato processi obsoleti e velocizzato quelli esistenti. Ha dato un “booster”, per trasformare le imprese tradizionali in fabbriche digitali.
Dalla produzione alla progettazione, dalla logistica al delivery, l’azienda nel concetto di Industry 4.0 deve essere composta di isole di lavoro iperconnesse grazie a software che consentono di controllare l’intero processo e fare comunicare tutte le fasi produttive. L’uomo, al contrario di quanto si possa pensare, è centrale nella manifattura digitale: è colui che muove gli ingranaggi virtuali e che ne sa riconoscere e correggere malfunzionamenti in tempi brevissimi. Proprio questa iperconnessione, che si è rivelata necessaria per fronteggiare gli effetti della situazione pandemica, è oggi alla base della competitività e attrattività domestica e internazionale delle nostre imprese; non solo: permette di migliorare le condizioni di lavoro, creare nuovi modelli di business (e, dunque, accedere a nuovi mercati e capitali), aumentare la produttività degli impianti e migliorare la qualità dei prodotti, mantenendo al contempo un controllo sui costi e sulla redditività. Pensiamo, ad esempio, al 3D design ed alla stampa 3D: non solo posso creare un oggetto sostenibile e facilmente smaltibile, ma utilizzando materie alternative (come la plastica o i polimeri) avrò contenuto i costi delle materie prime e permesso una scalabilità maggiore del prodotto. Questo, associato all’estrema flessibilità che le aziende manifatturiere in Italia hanno nel DNA permette di poter riprogrammare velocemente le attività di ogni “isola” in funzione delle esigenze del cliente ma anche delle variazioni del contesto, oggi così mutevole e incerto.
L’aumento vertiginoso dei costi energetici e di trasporto, la carenza di materie prime e di forza lavoro conseguenti al contesto sociale, economico e geopolitico in continua evoluzione, hanno inoltre messo il concetto stesso di globalizzazione in una sorta di attesa obbligata, evidenziando i punti deboli di una molteplicità di settori, in particolare della supply chain.
Oggi non possiamo più delegare totalmente – ma nemmeno parzialmente – all’estero, magari in Cina o in Vietnam, parti della produzione. La crisi delle catene di fornitura globali ha spinto l’adozione di soluzioni interne di stampa 3D; in questo nuovo modello, i processi di reshoring sono diventati complementari all’adozione di processi di fabbrica intelligente dando un’ulteriore spinta a questa trasformazione. Possiamo e dobbiamo ragionare in termini di digital manufacturing, con l’innovazione digitale driver del core business dell’azienda.
“The Future of the Jobs“, la ricerca presentata oramai qualche anno fa al World Economic Forum, aveva profetizzato l’influenza determinante che fattori tecnologici e demografici avrebbero avuto sull’evoluzione del mercato del lavoro. Annunciava da lì a una manciata di anni la necessità di figure professionali destinate a ricoprire lavori che ancora non esistevano. Quel futuro è già qui e la priorità oggi è formare tecnici specializzati, in grado di gestire questa trasformazione digitale della nostra industria.
In questo senso c’è ancora molto da fare. Secondo l’ultimo Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, cresce in maniera esponenziale il numero di posti di lavoro offerti per il settore IT, che risulta tra i più colpiti dallo skill gap, cioè dalla difficoltà di reperimento del personale. Le figure più difficili da reperire sono tecnici informatici, introvabili per il 68,1% delle aziende che li cercano e figure professionali in grado di gestire processi produttivi completamente digitali. Dati che confermiamo sul campo ogni giorno: la richiesta di ingegneri e professionisti dell’Industria 4.0 è una reale emergenza per le aziende italiane. Oggi è infatti fondamentale sviluppare le competenze digitali necessarie per l’inserimento di diplomati e laureati nel mondo del lavoro, in particolare nelle fabbriche digitali, l’evoluzione della fabbrica tradizionale caratterizzata da un alto tasso di innovazione tecnologica e interconnessa, pulita, silenziosa, che lavora 24 ore su 24 senza bisogno dei turni di notte, grazie al controllo da remoto delle operazioni.
Come SolidWorld abbiamo agito anche su questo fronte in modo concreto, partecipando alla formazione negli ITS, gli istituti che formano questo genere di figure, ed avviando una nostra Academy, Insight4Works, in collaborazione con l’agenzia per il lavoro Umana per formare queste risorse e favorire il matching tra domanda ed offerta. Uno dei pilastri del PNRR è quello dell’innovazione e della transizione digitale ed ecologica: in questo senso credo che le imprese giochino un ruolo cruciale in termini di responsabilità non solo economica ma soprattutto sociale, in quanto soggetto fondamentale per la formazione e la condivisione delle competenze determinanti per la creazione di un futuro del lavoro in Italia. E noi, come SolidWorld, abbiamo deciso di fare la nostra parte.