E se il vero obiettivo della Russia non fosse l’Ucraina ma la transizione energetica?

Un mondo non più dipendente dalle fonti energetiche fossili emarginerebbe economicamente e politicamente paesi come la Russia che basano la propria economia su gas, petrolio e sulle industrie energivore.

Pubblicato il 29 Mar 2022

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La transizione energetica, un percorso verso il quale si è incamminato gran parte del mondo, Cina compresa, ha come obiettivo finale l’abbandono delle fonti energetiche fossili.

Tra circa 30 anni, tutti i mezzi di trasporto utilizzeranno la propulsione elettrica, le nostre case – meglio isolate – richiederanno meno energia per essere riscaldate e raffrescate, gli aerei e le acciaierie utilizzeranno l’idrogeno prodotto da solare ed eolico e da queste fonti arriverà anche gran parte dell’energia elettrica necessaria per le nostre case e le altre attività economiche. L’elettricità prodotta da un mix di fonti rinnovabili verrà accumulata sfruttando l’idrogeno, le batterie, i bacini idroelettrici e altri sistemi innovativi, mentre le reti intelligenti garantiranno la massima efficienza di sistema.

Se una decina di anni fa questi obiettivi potevano sembrare un miraggio, negli ultimi tempi le azioni che portano a questi risultati sono diventate molto più concrete.

Per rimanere nell’ambito che più ci interessa, tutti i grandi produttori globali di elettronica e semiconduttori, i big dell’informatica e del digitale e, più in generale, tutte le aziende innovative, hanno stilato dei piani precisi per raggiungere la carbon neutrality entro il 2040-2050, con un massiccio ricorso a fonti energetiche rinnovabili, e una forte spinta verso l’efficienza energetica. E già che c’erano, moltissime aziende si sono dotate di piani per ridurre l’impiego di risorse naturali, principalmente l’acqua, e limitare l’uso di materie prime, migliorando i processi di riciclaggio dei prodotti utilizzati nelle lavorazioni. Il tutto, con verifiche periodiche dei traguardi raggiunti.

Anche i singoli paesi e le comunità di stati, come l’Unione Europea, hanno messo a punto programmi specifici, destinando ingenti risorse per il raggiungimento di questi obiettivi. Piani come il “Next Generation EU” e il PNRR nazionale (Piano nazionale di resistenza e resilienza) prevedono centinaia di miliardi di euro per perseguire tale scopo.

Se questi obiettivi, come è molto probabile, verranno raggiunti, quale impatto avranno sui paesi che oggi basano le loro economie sull’estrazione e la vendita di gas e petrolio? In particolare, quale impatto avranno sulla Russia la cui economia è sempre più legata alla vendita di idrocarburi e alle attività industriali energivore come la produzione di acciaio e alluminio? E che magari vedrà calare anche la richiesta di materie prime? Senza contare che in un futuro non troppo lontano alcuni materiali non prodotti con processi compatibili dal punto di vista energetico ed ambientale potrebbero essere messi al bando dalla comunità internazionale.

Se paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi hanno da tempo reinvestito i profitti del petrolio in attività economiche e finanziare globali, l’impatto sulla Russia potrebbe essere devastante, con un’economia che tornerebbe indietro di decenni, con pesanti ricadute sul piano sociale.

Tra le varie ragioni che hanno spinto Putin ad invadere l’Ucraina e a sfidare l’Europa e l’Occidente, c’è il sospetto che ci sia proprio la volontà di rallentare e ostacolare il processo di transizione energetica.

La necessità per l’Europa e per altri paesi occidentali di aumentare in maniera consistente le spese militari per difendersi dalla minaccia russa porterebbe a spostare ingenti risorse di bilancio. Solo per l’Italia questo significherebbe destinare ogni anno il budget della difesa dai 15 ai 20 miliardi in più. E in tempi di grandi ristrettezze economiche, dopo due anni di Covid, è probabile che queste risorse arriveranno proprio dai fondi destinati alla transizione energetica. Almeno così spera la Russia.

Per contro, c’è il pericolo che l’Europa acceleri i suoi piani di indipendenza energetica per affrancarsi dalle forniture russe. Sarebbe in ogni caso un piano molto lungo che richiederebbe ulteriori risorse: per realizzare un rigassificatore ci vogliono almeno 5 anni con un costo medio di circa 1 miliardo di euro e un onere addizionale annuo di sistema di 100-150 milioni, costi che andrebbero probabilmente a scapito ancora una volta dei fondi per la transizione energetica.
A tutto vantaggio di chi, come la Russia, che col gas e col petrolio prospera e che vede nell’abbondono delle fonti fossili da parte dell’Occidente una minaccia forse ancor più grave dei missili della NATO.

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Arsenio Spadoni
Arsenio Spadoni

Imprenditore di successo (Futura Group) e giornalista tecnico-scientifico (Elettronica 2000, Elettronica In), si occupa attualmente di tematiche riguardanti l’industria dei semiconduttori, dallo sviluppo tecnologico alle analisi di mercato.

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