Il termine “open innovation” (“innovazione aperta”) rappresenta uno straordinario strumento di trasformazione partecipativa dei processi nato meno di 20 anni fa (2003) da una pubblicazione di Henry Chesbrough sulla Harvard Business School Press intitolata “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”.
Lasciando spazio al lettore per l’approfondimento dei principi generali dell’open innovation ci focalizzeremo sui potenziali benefici dell’applicazione di queste metodologie al mondo della pubblica amministrazione.
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Open innovation nella pubblica amministrazione
L’innovazione aperta, dalla sua nascita, ben 17 anni fa, ha riscontrato il grande favore di grandi e piccole imprese che dovendo far fronte all’intensificarsi della concorrenza globale e dei continui cambiamenti tecnologici hanno optato per questa nuova forma di sperimentazione condivisa, sostanzialmente più economica e di rapida implementazione.
Nell’ambito della pubblica amministrazione questi nuovi approcci innovativi, salvo sporadici casi sperimentali, hanno iniziato a diffondersi ben oltre con quasi un decennio di ritardo.
Le organizzazioni pubbliche non sono infatti sotto la pressione costante di mercati altamente competitivi, al contrario si trovano spesso in condizioni opposte di resistenza al cambiamento sia normativa che operativa.
L’incontro tra open innovation e governance pubblica inoltre ha inoltre permesso di sviluppare nuove forme di policy condivise e aperte definite comunemente con l’espressione Open government.
“Aprire” l’innovazione significa spostare le attività di ricerca da aree e professionalità interne verso risorse esterne ed eterogenee. In tal senso possiamo individuare tre tipologie di open innovation:
- apertura verso terzi
- condivisione di risorse interne all’esterno dell’ente
- apertura e condivisione (ibrida)
Apertura verso terzi
Il primo tipo si concentra sull’apertura di singoli processi o servizi pubblici verso l’esterno, condividendo quindi parte dei processi decisionali e di sperimentazione verso soggetti esterni, solitamente portatori di interessi dell’ente pubblico.
In questo primo approccio, infatti, il ruolo chiave nelle fasi di proposta e innovazione ricade nelle mani degli stakeholders pubblici come fornitori, utenti e cittadini, il cui punto di vista esterno rappresenta una risorsa fondamentale e solitamente inesplorata per l’organizzazione.
Esempi di queste forme di innovazione nell’ambito pubblico possono essere l’apertura di call per ricevere proposte esterne da parte dei cittadini utenti relativamente a singoli processi o servizi, es. una call per nuove proposte di logo di un ente pubblico.
Condivisione di risorse interne all’esterno dell’ente
Il secondo tipo di innovazione aperta si concentra sulla condivisione di alcune risorse aziendali, in termini di studi, brevetti, processi di sviluppo, know-how etc. al di fuori delle “mura” e del dominio esclusivo dell’ente, trasferendo le proprie idee dall’interno verso l’esterno inteso come “pubblico”.
Un esempio interessante di recente sviluppo è quello realizzato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la pubblicazione dei codici sorgente dell’App per il contact tracing “Immuni”, pubblicati in forma universalmente accessibile e modificabile su GitHub.
Tale condivisione di risorse e know-how interno alla Presidenza del Consiglio in forma pubblica ne permetterà il miglioramento in termini di interfaccia, funzionamento, sicurezza e molto altro ancora.
Apertura e condivisione
Il terzo tipo di innovazione aperta, in sostanza una forma ibridata dei primi due, si concentra sulla combinazione di processi esterni e interni, aprendo processi e know-how interni e condividendoli in forme semi-pubbliche (es. accesso limitato agli iscritti in una fase temporale specifica) al fine di stimolare la contaminazione.
Questo tipo di innovazione è quella più auspicata in quanto permette di ottenere i benefici di entrambi i modelli precedenti, minimizzando al contempo i rischi (eccessiva apertura di processi critici, difficoltà a stimolare la partecipazione del pubblico di stakeholder, etc.)
Esempi vincenti di queste forme di open innovation sono gli hackathon, ovvero eventi limitati nel tempo (e spesso anche nel luogo) in cui un pubblico eterogeneo di portatori di interessi può accedere a know-how e supporto specifico dell’organizzazione al fine di creare nuovi processi o servizi.
Un altro esempio vincente di questo tipo di innovazione è legato alla pubblicazione di open data (ovvero dati pubblici aggiornati e interoperabili) al fine di favorire forme di “civic-hacking”, ovvero creazione di nuove forme di servizi, processi e condivisione delle informazioni da parte di liberi cittadini. In tal senso esistono numerosi casi di successo dell’implementazione di queste forme di innovazione aperta; tra queste, il più recente è rappresentato da SideWalkWidths (letteralmente larghezza dei marciapiedi) che grazie agli open data dei Comuni relativi alle dimensioni dei marciapiedi delle principali città ha permesso di creare una mappa interattiva utile durante le fasi critiche del Coronavirus per sostenere l’utilizzo di percorsi pedonali in grado di garantire le giuste distanze tra passanti.
Gli ostacoli all’open innovation nella PA
Gli ostacoli all’implementazione di forme di open innovation in ambito pubblico sono molteplici, principalmente legati al mondo organizzativo e del management, tra questi possiamo annoverare:
- mancanza di responsabilità – ovvero scarsa propensione del management pubblico ad assumersi la responsabilità nell’avviare questi processi di innovazione aperta;
- resistenza alla condivisione apertura dei processi decisionali – ovvero incapacità del manager di sostenere il proprio ente verso la transizione da modelli di innovazione chiusa, unidirezionali, a forme aperte;
- resistenza al cambiamento – ovvero scarsa propensione da parte di dipendenti e manager pubblici al cambiamento di processi consolidati;
- resistenza alla cooperazione con altri dipartimenti / enti – ovvero sostanziale difficoltà a dialogare con altri enti (poiché di fatto si raddoppiano aritmeticamente gli ostacoli di questa lista coinvolgendo un altro ente pubblico);
- scarsa propensione al rischio / incertezza – ovvero resistenza forse forme destabilizzanti o quantomeno rischiose nell’implementazione di nuovi processi;
- scarsa proattività – ovvero scarsa propensione all’iniziativa personale di area a causa di un sistema pubblico che generalmente tende a livellare verso il basso competenze, azioni, incentivi e risultati;
- mancanza di competenze interne – ovvero assenza di profili tecnici, gestionali capaci di governare e sostenere l’innovazione in enti pubblici e organizzazioni che storicamente hanno acquisito risorse focalizzate sul mondo del diritto amministrativo (burocrati).
Di fronte a questi ostacoli sostanziali, legati come già detto alla natura organizzativa e manageriale degli enti pubblici, alcuni enti sovranazionali, come l’Unione Europea, hanno cercato negli anni di diffondere la cultura dell’innovazione aperta formando i propri policy makers e creando misure e fondi ad hoc per favorirne l’adozione a livello capillare.
Le azioni necessarie per favorire l’open innovation nella PA
Tra gli strumenti che una pubblica amministrazione o un manager possono utilizzare per favorire la sperimentazione di queste forme di innovazione pubblica nella propria organizzazione possiamo invece considerare:
- chiara analisi costi / benefici – ovvero non presentare l’open innovation nel proprio ente come una opportunità astratta di interazione con i portatori di interessi bensì addurre esempi concreti di benefici (meglio se misurabili) dell’implementazione su specifici processi e aree andando a rispondere e gestire anche eventuali dubbi, critiche e resistenze. Tra i benefici più comuni possiamo annoverare:
- coinvolgimento più snello e competitivo dei fornitori alle gare pubbliche (un esempio vincente dell’utilizzo degli open data per migliorare l’accesso del mondo della P.A. a fornitori è dato dalla piattaforma privata contrattipubblici.org)
- risparmio in termini di tempo e risorse (ridisegnare i servizi utilizzati da parte dei cittadini / utenti coinvolgendoli nella definizione della user experience può portare sostanziali vantaggi in termini di tempo e risorse necessarie nell’erogazione di questi)
- rafforzamento del brand e della reputazione e quindi maggior rispetto / dialogo con i portatori di interesse
- Coinvolgimento di altri soggetti pubblici – ovvero l’apertura a dirigenti / manager “illuminati” provenienti da altri enti pubblici al fine di favorire la competizione interna;
- Turnover – ovvero integrare nei processi concorsuali figure o quantomeno competenze più tecniche (informatici, ingegneri gestionali, comunicatori);
- Showcasing di casi di successo e best practice – ovvero condividere anche solo a livello informativo casi di successo di applicazione di open innovation provenienti da altri enti;
- Coinvolgimento dei top manager / componente politica – ovvero stimolare la partecipazione della dirigenza dell’organizzazione o in caso contrario favorirne l’adozione da parte della parte politica, generalmente più incline / vicina alle esigenze dei portatori di interessi;
- Comunicazione efficace – ovvero comunicare bene e ai target giusti le opportunità delle iniziative di open innovation in quanto l’eterogeneità e la quantità (oltre che qualità) dei contributi sono i due fattori chiave.
Chiaramente questi sono alcuni dei passi importanti per implementare l’open innovation in una pubblica amministrazione, il manager pubblico potrà farlo anche gradualmente implementando pian piano strumenti e forme sempre più complesse e resource consuming, partendo dalle semplici call fino ad arrivare ad hackathon periodici, passando da forme passive di innovazione aperta come la pubblicazione di open data.
Conclusioni
Compresi ostacoli ed elementi facilitatori alla diffusione dell’innovazione aperta nel mondo della Pubblica Amministrazione, è possibile tracciare un bilancio finale.
I benefici dell’open innovation possono essere un valore aggiunto straordinario nella ri-definizione di processi e servizi della PA, rispetto al privato tuttavia gli enti pubblici possono vantare un minor apporto sostanziale di competenze tecniche legate a questi temi e un management generalmente poco incline all’apertura e al rischio verso soggetti terzi.
In tal senso è necessario un duplice sforzo dei policy maker nazionali da un lato nel sostenere un turnover sostanziale del personale meno orientato verso esperti di diritto amministrativo e dall’approccio burocratico e più verso tecnici informatici e dei processi nonché comunicatori, dall’altro nel responsabilizzare i dirigenti imponendo KPI e misurazione di performance anche in termini di apertura verso tutti i portatori di interesse della PA.