di Roberto Pinto *
Recentemente, ho avuto l’opportunità di discutere alcuni dei molteplici aspetti di “Industry 4.0” (I4.0 in breve) con colleghi e rappresentanti di aziende a vari livelli. Con I4.0 mi riferisco alla visione d’insieme, che comprende quindi temi come IoT, IIoT, smart factory, e tutte le tecnologie abilitanti come l’additive manufacturing, realtà aumentata e simili. Ho avuto l’opportunità di parlare sia con persone entustiaste che con persone dubbiose, con persone “speranzose” e con alcune (già) disincantate, raccogliendo le loro diverse prospettive.
Condivido qui alcune delle perplessità che ho rilevato, cercando di approfondire alcuni spunti che hanno maggiormente attirato la mia attenzione, al di là del clamore che attualmente circonda I4.0. L’intento non è quello di montare un caso contro o a favore di I4.0; anche se ho volutamente esacerbato alcuni punti ai fini della discussione, spero il tutto possa rappresentare uno spunto di riflessione e discussione.
Indice degli argomenti
Collezionare dati ≠ generare informazione
Ho sentito e letto di molti casi in cui l’enfasi è posta su metodi, strumenti e approcci più o meno innovativi per la raccolta dei dati dal campo attraverso l’aggiunta di sensori e dispositivi alle macchine e, potenzialmente, ai prodotti per farli “parlare” tra loro. Qua e là, è possibile leggere procalmi su come questa abbondanza di dati consentirà di prendere decisioni migliori (migliori previsioni, migliore gestione delle scorte, migliore gestione delle vendite, solo per citare alcune aree di possibile beneficio).
Molto spesso, tuttavia, l’enfasi sulla raccolta dei dati distoglie l’attenzione sulla necessità di definirne lo scopo. I contenuti dei database non si trasformano autonomamente in decisioni, ed enormi quantità di dati generati quotidianamente attendono ancora di essere analizzate e trasformate in informazioni utili. La raccolta dei dati è ben poca cosa: non si può dire di aver fatto qualcosa fintanto che non si trasformano i dati in decisioni. E come detto, ancora oggi, i dati non possono trasformarsi da sé in informazioni: vi è la necessità di qualcuno in grado di analizzarli e definirne i processi di trasformazione in informazioni, conoscenza e decisioni (vedi anche il punto sulla capacità e competenze).
L’offerta è maggiore della domanda
Molte presentazioni e articoli in ambito di I4.0 sono oggi molto spesso polarizzati da fornitori di tecnologie e system integrator che offrono le loro soluzioni ai potenziali utilizzatori. Il periodo storico che stiamo vivendo ci dice che se qualcosa può essere collegato ad Internet, in qualche modo lo sarà! Niente di male, ovviamente (è il business, bellezza). Tuttavia, la sensazione è che le aziende utilizzatrici debbano ancora comprendere come districarsi in questo mare di opportunità e di offerte; in altri termini, molte aziende devono ancora capire che cosa sia utile per loro chiedere ai fornitori. I4.0 abbraccia molte tecnologie differenti, le quali evocano tutte la visione della quarta rivoluzione industriale, pur concentrandosi su diversi aspetti. Naturalmente, tutto è “dato” (o data-driven), ma un robot collaborativo ha uno scopo diverso rispetto a una soluzione cloud.
Sebbene termini molto attuali come intelligenza artificiale (AI), cyber physical systems, chatbot, machine learning siano spesso efficacemente utilizzati per catturare l’attenzione, le aziende devono ancora comprendere appieno come sfruttare realmente questa rivoluzione (o trasformazione). Sensori, additive manufacturing, robot collaborativi, cloud… tutte soluzioni consolidato (o in via di consolidamento) che segneranno il manufacturing negli anni a venire, ma che non andranno a risolvere i problemi del business solo perché la teoria (o il leaflet) ci dicono che è tecnicamente possibile. Le decisioni riguardo l’adozione delle nuove tecnologie non dovrebbero in alcun modo essere guidate dal desiderio di seguire una tendenza, da qualunque parte essa provenga.
Tutto si riduce al miglioramento della manutenzione
La raccolta dei dati di funzionamento delle macchine è forse una delle applicazioni più discusse in ambito I4.0. Sensori e file di registro di prodotti/asset possono essere utilizzati per monitorarne e analizzarne le prestazioni, ottenendo utili informazioni per il miglioramento sostanziale della pianificazione ed esecuzione degli interventi di manutenzione: l’obiettivo è quello di garantire la disponibilità degli asset e delle risorse di produzione. Ma, è davvero tutto qui? Ovviamente no!
La connessione in rete delle attrezzature e dei prodotti a livello di shop-floor può supportare l’automazione del sistema di produzione e della sua gestione, fornendo al contempo dati in tempo reale ai responsabili delle decisioni a vari livelli all’interno dell’azienda. I sistemi Cyber-fisici (Cyber physical systems, CPS) possono anche funzionare autonomamente (in qualche misura) per decidere cosa fare e quando. Tuttavia, mentre i benefici di una fabbrica connessa possono essere delineati in linea teorica e di principio da diversi punti di vista, molte aziende devono ancora comprendere e implementare tale concetto.
Tutti parlano di nuovi skill e competenze, ma nessuno sta investendo su di esse
Tutto ciò che può essere automatizzato, alla fine lo sarà. La discussione sul fatto che l’intelligenza artificiale soppianterà molti lavoratori, e non solo nel settore manifatturiero è più che mai accesa. Per alcuni, l’automazione potrà portare ad un aumento dei posti di lavoro. Ciò che è chiaro è che la tecnologia sta trasformando sia la forza lavoro, siala tipologia di lavoro che è richiesto di svolgere. A fronte di questo, non è ancora chiaro quali competenze saranno richieste in futuro, e reclutare i talenti giusti è (e probabilmente rimarrà per qualche tempo) un compito difficile per le aziende che si lanciano in progetti I4.0.
La nascita di nuove professioni come Industrial data scientists, IoT solution architect, Industrial UI/UX designer non è accompagnata da una definizione chiara del loro percorso formativo sia precedentemente che successivamente all’ingresso in azienda. Le aziende sanno realmente quali sono le competenze di cui avranno bisogno nei prossimi anni a venire? Come devono essere formate tali competenze? Che ruolo hanno aziende e centri di formazione in tale ambito?
Centralizzazione vs decentralizzazione dei processi decisionali
L’infusione dell'”intelligenza” nei prodotti e nelle macchine apre la strada a paradigmi gestionali innovativi, in cui i prodotti e le macchine stesse si coordinano senza la necessità di un decisore centrale. Tuttavia, da un punto di vista strettamente analitico, può essere difficile giustificare un approccio decentralizzato: è l’approccio centralizzato (che considera tutto il sistema nel suo complesso) a fornire soluzioni globalmente ottime, mentre è noto come in genere sistemi decentralizzati riescano a fornire soluzioni miopi, ottime solo “localmente”.
Il tassello mancante nella comprensione di questo punto è rappresentato dal contesto: un approccio decentralizzato non è preferibile ad uno centralizzato a prescindere dal contesto in cui è applicato. Il decentramento dei processi decisionali può essere molto utile in almeno due situazioni. Innanzitutto, in ambienti molto volatili, potrebbe non esserci il tempo per rivedere l’intero processo decisionale, facendo dell’ottimizzazione locale una valida alternativa. In secondo luogo, quando la dimensione dei dati raccolti dai dispositivi di campo non possono essere trasferiti ad un sistema centrale per l’analisi e l’elaborazione a causa dei vincoli di tempo o di larghezza di banda disponibile, approcci decentralizzati come gli “edge analytics” (or distributed analytics) possono venire in soccorso, rendendo di fatto il decentramento un approccio possibile ed efficace.
In conclusione
Al di là dei pochi punti discussi sopra, ce ne sono molti altri attualmente sotto i riflettori (qualcuno sta dicendo “sicurezza”?). Tuttavia, le implicazioni collegate al non intraprendere un percorso di trasformazione verso il paradigma I4.0 sono piuttosto drastiche e difficili da sopportare: perdita di produttività e competitività, maggiori costi, minore capacità di reagire alle mutevoli condizioni sono solo alcuni dei problemi che le aziende che non abbracciano i paradigmi I4.0 dovranno probabilmente affrontare.
Ma per abbracciare la rivoluzione I4.0, è necessario comprenderla: come detto, I4.0 è un ombrello che comprende molte tecnologie, e ogni azienda dovrebbe cominciare seriamente a chiedersi quali di esse dovrebbe essere prioritaria.
L’Autore
Roberto Pinto è Professore Aggregato presso l’Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, dell’Informazione e della Produzione (DIGIP). Responsabile dei corsi nell’area logistica e supply chain management, svolge inoltre attività di ricerca e trasferimento tecnologico nel campo della logistica e delle operations in collaborazione con aziende industriali e commerciali.