Molte imprese del settore della componentistica sollevano dubbi nei confronti della concreta opportunità di introdurre strategie di servitizzazione anche in aziende la cui attività è prevalentemente quella di produrre e/o distribuire componentistica. A un primo passaggio superficiale potrebbe sembrare, infatti, che siano solo i produttori di macchinari i soggetti potenzialmente beneficiari di questi nuovi modelli di business. Ma non è così. Anche un produttore-distributori di bulloni, per fare un esempio, può implementare delle strategie di digital servitization che gli permetteranno di rafforzare le barriere competitive nei confronti della concorrenza, prolungare la fidelizzazione con il cliente e in generale marginare di più.
Quali sono le condizioni per implementare queste strategie e per farlo garantendo una marginalità e sostenibilità anche economico-finanziario?
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Digital servitization per aziende di ogni dimensione
Più volte abbiamo ripetuto, nei vari altri articoli sul tema, che la servitizzazione, intesa come strategia per abbinare alla vendita del prodotto degli elementi intangibili di servizio, è una pratica diffusa da anni nelle aziende.
Sicuramente i casi più eclatanti, come Rolls Royce – una delle prime aziende che ha iniziato a vendere, al posto dei motori, le ore di volo – oppure il caso Xerox – una delle più grandi aziende produttrici di stampanti e fotocopiatrici che ha trasformato il suo modello di business passando di fatto da essere fornitore di fotocopiatrici a fornitore di servizi di stampa – possono sembrare così lontani per una azienda che produce e/o distribuisce bulloni, tanto da mettere la servitizzazione in fondo, se non addirittura fuori, dalla lista delle opzioni di sviluppo strategico.
Certo, queste aziende hanno in comune la dimensione, un prodotto apparentemente finito, un brand importante, sicuramente importanti asset finanziari e un purpose orientato ai servizi.
Ma cosa è veramente acquistato dal cliente? Solo il prodotto? O anche il servizio per offrire il prodotto stesso? E quanto conta nell’economia di oggi il tempo, la modalità, i servizi connessi?
In questa trasformazione, giocano un ruolo sempre più fondamentale anche le nuove tecnologie digitali, oggi sempre più accessibili e alla portata di tutte le aziende, tanto che si parla di digital servitization, ovvero la possibilità grazie ai Big data, all’intelligenza artificiale e all’Internet of Things, di favorire lo sviluppo di nuovi modelli di business.
Quindi possiamo servitizzare anche i bulloni.
Motore di un aereo (fonte Pixabay)
Nuovi modelli di business a partire dalla tecnologia
La digitalizzazione rende possibile la servitizzazione. Se aggiungiamo un dispositivo digitale (ad esempio soluzioni di sensoristica, microprocessori e cloud computing) a un prodotto fisico, questo diventa uno smart product.
Ma andiamo per ordine…
Per cominciare dobbiamo sottolineare che la digitalizzazione non riguarda solo il passaggio dall’analogico al digitale, ma si tratta di una vera e propria rivoluzione per le organizzazioni in grado di trasformare il proprio modello di business.
La digitalizzazione, secondo Gartner è “l’uso delle tecnologie digitali per cambiare un modello di business e fornire nuove entrate e opportunità di produzione di valore; è il processo di passaggio a un business digitale”.
In altre parole, grazie alla tecnologia, processi che fino a poco tempo fa venivano eseguiti lentamente, manualmente e con qualche insuccesso, ora diventano automatizzati e più performanti.
Quando parliamo di digitalizzazione nel contesto della digital servitization parliamo di digitalizzazione applicata ai prodotti. I prodotti diventano smart (intelligenti) e connected (connessi), ovvero prodotti in grado di raccogliere dei dati proveniente dall’esterno, di immagazzinarli e di utilizzarli.
Questi spaziano dai veicoli a motore ai dispositivi medici alle apparecchiature industriali agli elettrodomestici, fino agli imballaggi in grado di segnalare la posizione e le condizioni del prodotto che proteggono.
Ma cosa possono fare i prodotti intelligenti e connessi?
L’intelligenza e la connettività consentono un insieme completamente nuovo di funzioni e capacità del prodotto che possono essere raggruppate in quattro aree: monitoraggio, controllo, ottimizzazione e autonomia.
I dati condivisi dai sistemi intelligenti si prestano, pertanto, ad essere utilizzati per scopi differenti, come la manutenzione predittiva, indagini di mercato, controllo qualità, etc.
Questi prodotti intelligenti, ma anche macchine e impianti produttivi intelligenti, stanno dunque rimodellando i confini di tutti i settori manifatturieri consentendo una nuova era di esperienze cliente iper-personalizzate e accelerando di fatto la possibilità di fare servitizzazione.
Digital Servitization: come stimolare il passaggio di mentalità
I prodotti intelligenti e connessi espandono, quindi, notevolmente le opportunità di differenziazione del prodotto. Se a questo punto torniamo al bullone, la prima cosa da fare è estrarre gli “strumenti del mestiere” del Servitization Manager per cercare di spostare quello che è l’approccio tipicamente orientato all’innovazione di prodotto a una innovazione che, invece, venga generata dal cliente.
Per vendere l’uso del prodotto dobbiamo chiederci chi sono i clienti interessati ad usare il servizio e non il prodotto? Quali sono i “pain points”, ovvero i punti di disagio del cliente e del prodotto che il servizio tende a sollevare?
Sapere come i clienti utilizzano effettivamente i prodotti migliora la capacità di un’azienda di segmentare i clienti, personalizzare l’offerta, impostare i prezzi per acquisire meglio il valore ed estendere i servizi a valore aggiunto.
Primo tra tutti è lo strumento del Value Proposition Canvas (VPC), creato da Alexander Osterwalder, Yves Pigneur e Alan Smith, gli stessi autori del Business Model Canvas, con l’obiettivo di mappare il valore percepito dai clienti. Il VPC è un ottimo strumento che aiuta a focalizzarsi sulla value proposition in relazione ai clienti, al fine di identificare correttamente le loro reali esigenze e di metterle in relazione con il valore che l’azienda può offrire loro.
In particolare, nel nostro caso, permette di spostare il focus dal bullone al Job To Be Done (JTBD) del nostro interlocutore, quindi a cosa se ne fa di quel bullone, quando gli serve, quando gli viene in mente di ordinarlo, che fastidi può avere, etc.
Come altri framework, l’approccio JTBD rimuove l’attenzione dal prodotto stesso e lo pone sul cliente; la differenza è che fa un passo in più per esplorare le vere motivazioni per cui i clienti decidono di acquistare un tuo prodotto o servizio.
Immagina di scegliere un ristorante. Fai scelte diverse a seconda che si tratti di un appuntamento romantico, di un incontro di lavoro o di un pranzo in famiglia: sei sempre la stessa persona eppure hai esigenze e aspettative diverse, quindi utilizzi il prodotto o il servizio che ti aiuta a soddisfare al meglio un certo bisogno o desiderio.
È essenziale, quindi, conoscere la differenza tra “cosa” acquista un cliente e “perché” lo acquista. Charles Revson, il fondatore dei cosmetici Revlon, diceva “In the factory we produce cosmetics, in stores we sell hope”.
Se c’è una cosa che quest’ultimo anno ci ha insegnato, è che il comportamento dei consumatori è cambiato drasticamente. Spostare il focus dalla gestione del prodotto alla gestione del cliente significa avere una visione olistica del percorso che compie dal momento in cui emerge il suo bisogno fino alla sua soddisfazione.
Il customer journey in questo caso consente di mettersi nei panni dei clienti target per vedere cosa stanno cercando di realizzare, le barriere che incontrano lungo il percorso e le opportunità specifiche di miglioramento. Questo esercizio insegna alle organizzazioni a conoscere e rimanere sempre in ascolto dei propri clienti.
Foto: Alexander Osterwalder
Servitizzazione: revisione della catena del valore
Ecco che il quadro inizia a farsi più chiaro. Cos’è che servitizziamo veramente? Il bullone o il “servizio che noi forniamo al cliente di avere un bullone”?
Basta questo piccolo spostamento per far scattare una serie di opzioni fortemente collegate al tema della Lean come il Just in time (JIT) e il sistema Kanban che consentono rispettivamente alle organizzazioni di fornire servizi in modo più efficiente (utilizzando la quantità minima di risorse, riducendo i costi) ed efficace (solo la giusta quantità, al momento in cui ce n’è effettivamente bisogno), ottenendo in questo modo una maggior integrazione nella catena dei processi che vanno dai fornitori fino ai clienti.
L’adozione del Lean Kanban, oggi anche in versione elettronica, automatizza lo scambio di informazioni con fornitori e clienti esterni mandando loro un segnale che li raggiunge in tempo reale. Questo ha ricadute positive ovviamente nel miglioramento dell’erogazione del servizio consentendo di fatto di spostare più a monte il momento di produzione su ordine-personalizzazione del cliente.
Video: Strategyzer
Quindi per rispondere alla domanda iniziale, servitizzare digitalmente la fornitura di un bullone si può. L’attenzione andrà riposta nell’ottenere una visione ampia delle varie forze del proprio settore (prodotti sostitutivi, clienti, fornitori etc) per creare nuove “alleanze” e all’efficientamento della propria catena del valore, ovvero di tutte le attività che un’impresa normalmente fa, che cambierà (molto) in funzione delle tecnologie digitali legate alla servitizzazione.
Diverse nostre PMI stanno rivoluzionando il loro modo di fare impresa, anche nella prospettiva del Remanufacturing, combinando nuove tecnologie digitali e servitizzazione, appunto con la digital servitization.