Digital Servitization

Augmented Reality in Service: un modello di riferimento per la scelta delle soluzioni di digital collaboration

Come individuare e scegliere le soluzioni di digital collaboration più adatte nell’ambito field-service sulla base di un modello di riferimento sviluppato da ASAP

Pubblicato il 08 Mar 2022

Mario Rapaccini

Mario Rapaccini, Università di Firenze & Centro di Ricerca Interuniversitario ASAP

industria 5.0


La pandemia ha oggi sdoganato l’utilizzo delle tecnologie di digital collaboration. All’interno di organizzazioni complesse, diventa quindi sempre più fondamentale facilitare lo sviluppo di connessioni tra lavoratori remote (e.g. coloro che operano senza prossimità fisica), laddove questi siano coinvolti negli stessi progetti/processi. È quindi oggi un (nuovo) compito dei manager abilitare canali per facilitare lo scambio di informazioni e conoscenze in modo efficiente ed efficace. Occorre mettere in contatto chi opera in uno specifico ambito ed ha specifiche esigenze/problemi, con chi possiede conoscenze su un dato fenomeno/processo/soluzione per favorire lo sviluppo di specifiche relazioni e interazioni, senza che questo venga percepito come surplus.

Il ruolo delle piattaforme di virtual collaboration

Sono quindi emerse numerose piattaforme specificamente pensate la gestione di progetti e attività in team remote che, quasi tutti noi abbiamo ormai sperimentato. Questi ambienti sono molto flessibili (general purpose) e potenti. Soprattutto lato amministratori di piattaforma, è quindi richiesto un livello adeguato di training per comprendere sia le dotazioni funzionali che per decidere come specializzarne l’adozione, tenendo conto delle esigenze e particolarità di ciascun contesto.

Una possibile evoluzione di queste piattaforme è quella verso ambienti e piattaforme di virtual collaboration che supportano le potenzialità offerte da tecnologie di Virtual Reality/Mixed Reality. Una serie di ambienti di collaborazione di questo tipo, consentono già oggi ad utenti dotati di visori e/o tool in grado di supportare questo tipo di tecnologie (tra cui, telefonini e tablet di ultima generazione) di potenziare l’esperienza d’uso dello strumento e le possibilità di interazione con altri utenti, in ambienti reali o digitali, con rappresentazione 3D dello spazio di interazione e con una serie di tool condivisi (slide, schermi, board, 3D CAD sketches etc.). Tali ambienti sono adatti per mettere in contatto e facilitare le interazioni tra i cosiddetti regular collaborators.

A fianco di queste piattaforme, oppure in integrazione ad esse, stanno prendendo piede altri tool, più verticali e specifici, che consentono di aprire un canale di contatto tra due individui (anche non della stessa organizzazione) e di condividere streaming audio-video e semplici risorse digitali, quali documenti, weblink, chat, toolbox. Queste applicazioni possono attivarsi rapidamente e semplicemente, tramite un qualunque smartphone o tablet connesso a internet, tramite app o direttamente dal browser. Sono quindi efficaci per abilitare le cosiddette sporadic communications, per facilitare la collaborazione bidirezionale in seno a processi come quelli di supporto tecnico tra specialisti remoti e tecnici di campo, personale delle service station, operatori e utenti finali. Anche in questo caso, si possono incorporare funzionalità e tecnologie avanzate per arricchire l’esperienza dell’utente, tra cui la realtà aumentata.
Soluzioni ed esigenze di digital collaboration sono quindi in continua evoluzione, anche a fronte dei cambiamenti imposti dal periodo COVID.

Augmented and Virtual reality per il service

Questo è vero anche con riferimento al mondo del service da sempre molto attento a questo tema nella crescente ricerca di metodi e strumenti in grado di rendere più efficace ed efficiente il processo di erogazione del servizio. Capire e conoscere quali siano i contesti/use case di maggiore rilevanza per la digital collaboration nel service tra attori interni ed esterni (esperto/specialista di prodotto, tecnico, fornitore di servizi, clienti/utenti finali, dealer/reti), può oggi aiutare molte imprese a (ri)disegnare i processi per garantire la continuità della service delivery. È infatti oggi cruciale provare ad indagare più a fondo come cambiano le esigenze di comunicazione e interazione tra i diversi soggetti in funzione delle attività da compiere (ad es. valutazione, configurazione, istallazione, assistenza all’uso, troubleshootinge manutenzione/intervento tecnico) e dell’ambito di riferimento (ad es. B2C, B2B, B2B2C).

Farlo però non è semplice. Per questo i ricercatori di ASAP hanno avviato un’intensa attività di ricerca che ha avuto l’obiettivo di sviluppare un modello che le aziende possano seguire come guida nell’introduzione di questo tipo di soluzioni. Il lavoro ha seguito un approccio empirico affiancando all’attività di ricerca scientifica anche interviste semi strutturate condotte a figure specifiche del service team delle 7 aziende che hanno partecipato alla ricerca e che avevano già avviato progetti pilota che prevedevano l’utilizzo di soluzioni di digital collaboration nel service. La ricerca si è in particolare concertata sul ruolo di soluzioni di Augmented and Virtual reality per il service.

Una stessa soluzione tecnologica non è mai adatta a svolgere tutte le attività di service delivery

Il primo step della ricerca ha voluto indagare come queste soluzioni siano oggi adottate/adottabili con riferimento ai diversi task previsti nelle complesse attività di service. Questo perché una stessa soluzione tecnologica non è mai davvero adatta a svolgere tutte le attività di service delivery. Per indagare le caratteristiche dei compiti svolti dai tecnici, i ricercatori hanno adottato come riferimento il noto modello di Perrow (Perrow, C. (1967) “A framework for the comparative analysis of organizations”, American sociological review, pp.194-208.), caratterizzato da due variabili utili a definire il compito tecnico: l’esistenza di una conoscenza esplicita e consolidata riguardo lo svolgimento del compito (analizzabilità del compito) e le possibili eccezioni che potrebbero presentarsi, quindi la variabilità di uno specifico task. In prima istanza, sono quindi state ipotizzate le collocazioni dei service task degli use case presentati dalle aziende partecipanti alla ricerca, come illustrato in Figura 1.

Figura 1: Applicazioni della digital collaboration nel mondo service – mappatura attraverso il modello i Perrow (©ASAP SMF) 

Sulla base di questo modello e dai dati raccolti dalle oltre 30 interviste di approfondimento gli use-case definiti, i ricercatori di ASAP hanno quindi sviluppato un framework che descrive il legame tra il compito che deve essere svolto dallo staff tecnico e la soluzione di realtà aumentata da svolgere, definendo i fattori che sono necessari da considerare per questa scelta tecnologica. Tale modello è presento in  Figura 2. 

Figura 2 Framework – AR in service

I tre punti fondamentali del modello

Il modello si sviluppa lungo tre dimensioni.

  1. Il task si riferisce al livello di incertezza in relazione al piano d’azione dell’intervento che il tecnico deve eseguire. In questo contesto, è necessario essere in grado di identificare il piano d’azione di un determinato compito e il relativo livello di variabilità e arbitrarietà. In questo contesto, sono stati identificati e spiegati di seguito tre principali fattori descrittivi:
    Codificazione, in termini di copertura della documentazione tecnica;
    Recuperabilità, in termini di quanto facilmente queste conoscenze siano accessibili e recuperabili dal database aziendale per essere consultate o condivise digitalmente;
    Remotization, in termini di quante e quali attività legate all’intervento possono essere svolte anche da remoto, cioè senza la vicinanza fisica tra tecnico e prodotto.
  2. La workforce si riferisce all’importanza di identificare il livello di alfabetizzazione e competenza sui media digitali, le competenze tecniche e il divario di esperienza tra i tecnici. Quindi, i tre fattori risultano essere:
    – Competenze digitali;
    – Competenze tecnico-teoriche, si riferisce al livello di formazione procedurale su aspetti tecnici, architettonici, diagnostici e strumentali;
    – Competenze tecniche-pratiche, si riferisce al livello richiesto di esperienza precedente per affrontare le situazioni.
  3. Il context si concentra sulla caratterizzazione dei fattori esterni che influenzano il contesto dell’intervento quali:
    – Accessibilità, ovvero la facilità di accesso al sito dove si effettua l’intervento;
    – Comfort, dipende dalle caratteristiche che rendono il sito idoneo a svolgere l’intervento in condizioni ideali per il lavoratore, quali, ad esempio, lo stato dell’illuminazione, la presenza di disturbi, rumore, traffico, sicurezza e rischi per la salute;
    Connettività, ovvero la possibilità di avere, ad esempio, un’adeguata connettività Internet nel sito dove si effettua l’intervento.
    Quest’ultima categoria si riferisce ai soli interventi sul campo presso la sede del cliente. In un intervento sul campo aumentano le esigenze in termini di accessibilità, connettività e comfort che potrebbero influenzare l’esito dell’intervento stesso. Pertanto, è necessario valutare la mobilità del prodotto, ovvero la facilità con cui è possibile spostare e/o trasportare il prodotto dove è necessario operare.

Con l’obiettivo di implementare il modello descritto, SmartOperations S.r.l., Spin-Off del laboratorio IBISLAB del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Firenze, supporta le aziende nella scelta della soluzione tecnologica di digital collaboration nel service, individuando le caratteristiche dei differenti task previsti nelle complesse attività di service delivery e supportando lo sviluppo della soluzione più idonea di Augmented Reality e di Virtual Reality.

Prosegui la lettura con l’articolo: Augmented Reality in Service: case history ed evidenze dal campo

Immagine fornita da Shutterstock

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