La risposta tempestiva delle politiche economiche, la cooperazione internazionale tra i Paesi e la liquidità fornita dalle banche centrali ha permesso di attenuare gli effetti della crisi provocata dalla pandemia, la “più severa dal dopoguerra”, ma lo scenario di forte incertezza e le disuguaglianze sui progressi della campagna vaccinale tra i Paesi richiedono di intensificare gli forzi di cooperazione e di valutare con cautela quando e come sospendere gli aiuti di Stato. È quanto emerge dalla relazione annuale della Banca d’Italia, presentata dal Governatore Ignazio Visco.
La pandemia di Covid-19 ha avuto effetti estremamente gravi sul piano umano, sociale ed economico. Oltre 160 milioni di persone sono state contagiate e più di 3 milioni hanno perso la vita. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, nel 2020 il PIL mondiale è diminuito del 3,3%, la più forte contrazione dalla seconda guerra mondiale, mentre il commercio (anche a seguito delle restrizioni alla mobilità di merci e persone), si è ridotto dell’8,9%.
Secondo la Banca Mondiale, inoltre, la pandemia ha fatto risalire per la prima volta dopo vent’anni il numero di persone che versano in una condizione di povertà estrema (aumentate di 100 milioni).
Nell’area euro la ripresa è ancora frenata dal perdurare della pandemia e dagli effetti dell’incertezza sulla domanda di consumo e le decisioni di investimento. Al netto di fattori temporanei, le variazioni dei prezzi restano molto contenute.
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L’impatto della pandemia in Italia
L’Italia è stata colpita duramente dalla crisi, con il PIL che è diminuito nel primo semestre del 2020 del 12% rispetto ai sei mesi precedenti. Come in altri Paesi, anche in Italia le successive ondate della pandemia hanno avuto effetti più gravi di quanto anticipato.
Tuttavia, l’impatto sull’economia è stato minore che in primavera, per la moderazione delle nuove misure di contrasto e l’adattamento di imprese e lavoratori alle necessità di distanziamento sociale. Gli andamenti in corso d’anno hanno messo in luce le capacità di ripresa dell’economia, ma anche la loro forte dipendenza dall’evoluzione dei contagi e dalle politiche di sostegno.
Gli interventi del Governo hanno permesso di contenere le ripercussioni della pandemia sulle famiglie e sul sistema produttivo: l’impatto sui livelli di occupazione è stato attenuato dall’estensione della Cassa integrazione guadagni a tutte le categorie di impresa e dalle restrizioni, temporanee, ai licenziamenti.
A fronte di un calo del prodotto di quasi il 9%, i trasferimenti pubblici hanno limitato la caduta del reddito disponibile delle famiglie nel 2020 al 2,6% in termini reali. La ripresa dell’attività produttiva e l’andamento della campagna vaccinale dovrebbero portare a un’accelerazione della ripresa: secondo indagini recenti svolte dalla Banca d’Italia, le imprese già pianificano un deciso aumento degli investimenti.
Le famiglie appaiono più caute, ma con la normalizzazione della situazione sanitaria e la riduzione dell’incertezza, l’elevato risparmio accumulato potrebbe gradualmente tradursi in maggiori consumi.
La crescita del prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe riprendere vigore nella seconda parte dell’anno superando, nelle stime più recenti, il 4% nella media del biennio 2021-22, dopo la caduta del 6,6% nel 2020.
La situazione delle imprese
Le imprese hanno affrontato questa crisi in una condizione di maggiore forza rispetto a quella in cui si trovavano alle porte della crisi finanziaria globale e del debito sovrano, mentre gli strumenti messi in atto a livello nazionale, ma soprattutto a livello comunitario, hanno segnato una rottura con il passato e hanno permesso di attuare gli effetti della crisi.
Le garanzie pubbliche sui nuovi prestiti, le moratorie sui debiti in essere e le più favorevoli condizioni di finanziamento delle banche presso l’Eurosistema hanno infatti consentito di soddisfare il fabbisogno di liquidità delle imprese: l’aumento dei prestiti ha superato l’8%, a fronte di una contrazione del 2% negli anni della crisi finanziaria globale e del 7% in quelli della crisi dei debiti sovrani nell’area euro.
Per quanto concerne la dinamica settoriale relativa all’indebitamento delle imprese, la situazione è piuttosto eterogenea, con le imprese operanti nei settori più colpiti dalla pandemia (ristorazione, alloggio e intrattenimento) tra le più indebitate.
L’insieme delle misure messe in campo dal Governo (che per il 2020 hanno superato complessivamente un valore di 20 miliardi), è riuscito a ridurre l’aumento delle disuguaglianze e ha evitato che aziende sane (ma in crisi a causa della pandemia) fossero costrette a cessare l’attività.
L’impatto delle misure messe in campo può essere visto anche dall’analisi del saldo finanziario del settore complessivo per il 2020 (ovvero la differenza tra la variazione delle attività e quella delle passività finanziarie), che è risultato positivo per 38 miliardi, tre volte il saldo finanziario dell’anno precedente.
Le banche rappresentano e continueranno a rappresentare il principale canale di finanziamento per le imprese. “Vanno però colte le opportunità, oggi più favorevoli che in passato, offerte dall’ampia liquidità disponibile per gli investitori nel mercato dei capitali, colmando il ritardo rispetto alle imprese delle altre principali economie europee: dall’inizio del 2020, infatti, le emissioni nette di titoli di debito e di azioni quotate effettuate da società italiane sono ammontate a 16 miliardi, contro 101 per quelle francesi e 87 per quelle tedesche”, avverte Visco.
Nonostante la presenza di un segmento di imprese dinamiche e innovative, la crescita del sistema imprenditoriale italiano è ancora frenato dalla prevalenza di imprese di piccole e medie dimensioni con livelli di produttività modesti rispetto alle grande imprese.
A questo si aggiunge la specializzazione in attività tradizionali di molte imprese italiane, fattori che riducono la domanda di lavoro specializzato, generando un circolo vizioso di bassi salari e modeste opportunità di impiego che scoraggiano gli stessi investimenti in istruzione.
Confrontando la situazione italiana con quella dei nostri vicini europei, emerge che nei servizi non finanziari le imprese con meno di 10 dipendenti impiegano quasi il 50% degli addetti, il doppio che in Francia e Germania. Inoltre, nonostante i progressi stimolati anche dalle politiche economiche, la spesa privata in ricerca e sviluppo resta molto più bassa di quella di Francia e Germania, nonché della media dei paesi avanzati.
La sfida per il futuro, sottolinea il Governatore, sarà programmare l’intervento pubblico in modo più selettivo, concentrandosi maggiormente sui settori che ancora scontano gli effetti della crisi e cercando di evitare aiuti alle imprese senza prospettive, pur continuando a sostenere i lavoratori in esse occupate (le aziende potenzialmente in difficoltà contribuiscono per circa un sesto al totale dell’occupazione).
Le famiglie sono ancora caute nei consumi
Anche il sostegno pubblico alle famiglie ha raggiunto livelli imponenti nel 2020, con un aumento di oltre 30 miliardi al netto delle pensioni. Questo ha ridotto la perdita di posti di lavoro rispetto alla perdita delle ore lavorate, ma risulta comunque pesante la riduzione delle assunzioni a tempo determinato e il tasso di natalità delle imprese.
A pagarne maggiormente le conseguenze sono state donne e giovani, la cui presenza risulta maggiore nel settore dei servizi, tra i più colpiti dalla crisi provocata dalla pandemia.
I consumi sono diminuiti del 10,7%, quattro volte più della riduzione del reddito disponibile, mentre la quota del reddito destinata al risparmio ha superato il 15%, il doppio rispetto al 2019.
Contrariamente a quanto accaduto in passato, la riduzione della spesa ha riguardato anche le famiglie che non dichiarano di avere difficoltà finanziarie. Ad incidere, sottolinea il Governatore, sono stati tre fattori: la chiusura delle attività commerciali, il timore dei contagi e l’incertezza legata alla situazione economica del Paese.
Le prospettive per il lavoro
Data la dimensione, la natura della crisi e l’intensificazione dei processi di digitalizzazione e di “decarbonizzazione”, resta difficile definire i contorni del complesso di cambiamenti strutturali a cui andrà incontro il sistema produttivo. Una delle principali questioni che si dovranno affrontare, sottolinea la relazione della Banca d’Italia, riguarderà le condizioni per facilitare il reimpiego dei lavoratori attualmente occupati nelle attività destinate a ridimensionarsi.
In questo contesto, sottolinea il Governatore, si dovrà lavorare sia le politiche passive (quindi sostegni a chi perde il lavoro), ma soprattutto sulle politiche attive. Le fragilità del sistema sono infatti state messe in luce dalla pandemia e anche comparando il modello di assistenza con i risultati ottenuti dagli altri Paesi europei se ne evince l’inadeguatezza: in Italia soltanto un disoccupato su dieci riceve assistenza attraverso un centro per l’impiego, contro sette su dieci in Germania.
Il nodo non è solamente quello delle risorse messe in campo quanto, piuttosto, innalzare e rendere più omogenei sul territorio gli standard delle prestazioni fornite dalle diverse strutture. Si dovrà puntare, inoltre, sulla formazione interna alle imprese (soprattutto sulle competenze necessarie all’uso delle nuove tecnologie) e sull’istruzione dei giovani.
Da ricordare, infatti, che il numero di Neet in Italia (dall’inglese neither in employment or in education or training) – ovvero di giovani che non studiano, lavorano o sono impegnati in corsi di formazione – ha raggiunto i 3 milioni. Si tratta di un quarto della popolazione di età compresa tra i 15 e i 34 anni, la quota più elevata tra i Paesi Ue.
Di questo si deve tenere conto nel ridefinire le priorità di sviluppo economico, sottolinea il Governatore. “Da una formazione adeguata dipende la possibilità per le imprese di fare leva su lavoratori e dirigenti qualificati. Dalla qualità complessiva del sistema dell’istruzione e di quello della formazione dipende la possibilità di accelerare l’inserimento nel mercato del lavoro e di favorire il miglioramento delle conoscenze lungo l’intera vita lavorativa”, commenta.
Visco: “Dal PNRR dipenderà il futuro delle prossime generazioni”
Fondamentale sarà il ruolo dello Stato anche nella fase della ripresa. “Non bisogna però confondere la necessità di uno Stato più efficace nello svolgere le funzioni che già ora gli sono affidate con quella di estenderne i compiti”, avverte il Governatore.
Positivo il giudizio nei confronti degli interventi pianificati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che vanno nella direzione di colmare alcuni dei più grandi ritardi del nostro Paese: l’innovazione, la digitalizzazione, l’istruzione e la ricerca, le infrastrutture di rete e di trasporto. Anche le riforme in programma aiuteranno a colmare alcuni dei divari che caratterizzano la nostra società (come quello di genere e territoriale) e creeranno un apparato pubblico più efficiente e moderno.
Attraverso i fondi del Next Generation Eu (NGEU), l’Italia ha infatti la possibilità di migliorare il funzionamento dell’apparato pubblico, stimolare l’iniziativa privata e di modernizzare l’economia. Sarà dall’utilizzo di queste risorse, e quindi dalla capacità di mettere in atto i programmi di azione e le riforme pianificate dal PNRR, che dipenderanno le opportunità che il Paese sarà in grado di fornire alle nuove generazioni. “Non è pensabile un futuro costruito sulla base di sussidi e incentivi pubblici”, avverte Visco.
Gli effetti macroeconomici del Piano dipenderanno non solo dalle risorse impiegate ma anche dalla qualità degli interventi, dall’efficienza con cui saranno realizzati, dalla loro capacità, insieme con le riforme che li accompagneranno, di creare un ambiente favorevole all’iniziativa privata e di incidere sulle decisioni di investimento delle imprese.
L’impatto degli effetti di domanda, tenuto conto dello stimolo all’accumulazione privata attivato dalle complementarità con il capitale pubblico, potrà portare a un aumento del livello del PIL tra i 3 e il 4% entro il 2026. Significativi effetti aggiuntivi, fino a 6 punti in un decennio, potranno derivare dalle riforme e dai piani di incentivo alla ricerca e all’innovazione.
Nel complesso, un piano efficacemente eseguito, nella realizzazione degli investimenti come nell’attuazione delle riforme, potrebbe elevare la crescita potenziale annua dell’economia italiana di poco meno dell’1% nella media del prossimo decennio, consentendo di tornare a tassi di incremento del prodotto che la nostra economia non consegue da anni.
L’importanza di raggiungere questi obiettivi è ancora più rilevante alla luce della riduzione della popolazione in età lavorativa, che sottolinea l’urgenza di innalzare la partecipazione di giovani e donne (ancora di 13-14 punti inferiore rispetto alla media UE) e di procedere a un progressivo allungamento della vita lavorativa, in coerenza con la legislazione vigente.
L’utilizzo corretto ed efficiente dei fondi europei è cruciale anche alla luce dell’alto rapporto tra debito pubblico e PIL nel nostro Paese, che non raggiungeva livelli così alti dall’uscita dal primo conflitto mondiale: a fine anno toccherà infatti il 160%, quasi 60 punti superiore a quello medio dell’area dell’euro. Un elemento di intrinseca fragilità, poiché espone il nostro Paese al rischio di shock finanziari, crea un’incertezza di fondo che si riflette sugli oneri di finanziamento e scoraggia l’investimento privato.
Tuttavia, diversi fattori potrebbero aiutare l’Italia a riportare questo rapporto ai livelli del 2019 in circa un decennio: va ricordato, infatti, che grazie a una vita media di oltre sette anni, il costo di finanziamento del debito pubblico beneficerà a lungo dei livelli eccezionalmente bassi registrati dai tassi di interesse negli ultimi anni. Anche con un ritmo di espansione dell’economia prossimo a quello del decennio che ha preceduto la crisi finanziaria, il differenziale tra crescita e onere medio resterebbe positivo per diversi anni.
In queste condizioni, un progressivo miglioramento dei saldi di bilancio, tale da ritornare a un avanzo primario poco sopra l’1% del PIL, consentirebbe di ricondurre il rapporto tra debito e prodotto sui livelli del 2019 nell’arco di un decennio. “Una crescita più sostenuta è nelle nostre possibilità e permetterebbe di accelerare il processo di riduzione del peso del debito”, sottolinea il Governatore.
L’allarme sulle banche di piccole dimensioni
“Diversi intermediari, per la maggior parte di piccole dimensioni e con un’operatività tradizionale, presentano debolezze strutturali”, avverte Visco.
Debolezze che, spiega il Governatore, sono dovute in alcuni casi a un governo societario non adeguato e alla debolezza dei controlli interni, in altri alla ridotta capacità di accedere ai mercati dei capitali, di innovare e di sfruttare economie di scala e di diversificazione.
L’appello di Visco rivolto a queste banche è quello di rivedere i propri modelli di attività, anche attraverso accordi commerciali con altri operatori, consorzi e operazioni di aggregazione. “Eventuali crisi di singoli intermediari saranno gestite cercando di assicurare un’uscita dal mercato il più possibile ordinata, pur con le difficoltà connesse con le rigidità e l’incompletezza del quadro regolamentare europeo in materia di dissesto di banche di media e piccola dimensione”, spiega.
Il settore, inoltre, sarà profondamente trasformato dalle innovazioni tecnologiche e dall’esigenza di una maggiore sostenibilità. Cambiamenti che riguarderanno l’intera catena del valore, davanti ai quali gli istituti finanziari non devono farsi trovare impreparati, cogliendone le opportunità (come quelle dell’Intelligenza Artificiale e dei dati nel campo della valutazione del merito di credito), ma anche le tante sfide (soprattutto in ambito di sicurezza informatica e rilevazione dei comportamenti fraudolenti).
Per la ripresa è necessario uno sforzo collettivo e una maggiore cooperazione internazionale
Sia a livello nazionale che europeo, sottolinea il Governatore, la risposta alla pandemia ha rappresentato uno “sforzo senza precedenti”. Nonostante il miglioramento della situazione pandemica, la ripresa delle attività e il miglioramento delle prospettive per il futuro, occorre tuttavia procedere con una discreta cautela.
In particolare, “il sostegno all’economia andrà mantenuto fino a quando diverrà chiaro il ritorno su una stabile traiettoria di crescita. Sarà altresì cruciale a tal fine il successo degli investimenti e delle riforme previsti dai piani associati, nei diversi Paesi, all’eccezionale innovazione costituita dal programma NGEU”.
L’auspicio del Governatore è che proprio partendo dall’esperienza del NGEU, gli Stati membri riescano a indirizzarsi verso l’adozione di un bilancio comunitario. “Non si può che procedere verso un’unione di bilancio, nella prospettiva di una vera unione politica, di diritti e doveri comuni per tutti i cittadini dell’Unione europea”.
Nel frattempo, l’orientamento della politica monetaria europea dovrà restare ampiamente accomodante, nel medio periodo, con l’obiettivo della stabilità dei prezzi. “Il mantenimento, per un prolungato periodo di tempo, di favorevoli condizioni di finanziamento dell’economia è necessario per consolidare il miglioramento in corso del clima di fiducia di imprese e famiglie”, precisa Visco.
Per l’Italia, il PNRR rappresenta una “formidabile sfida”, sottolinea il Governatore. Una sfida che il Paese deve affrontare in un’ottica di “sforzo collettivo, volto a superare le nostre debolezze strutturali, la specificità di una anemia della crescita economica che dura da oltre due decenni”.
Anche se occorrerà tempo per comprendere quali saranno, dopo la pandemia e nella transizione digitale e ambientale, i nuovi “equilibri” di vita sociale e di sviluppo economico, tutti gli italiani sono chiamati a “far sì che cresca e sia diffuso il benessere, siano adeguatamente protetti coloro che più saranno colpiti, chiari i costi da sopportare e progressivamente ridurre”.
Nel momento in cui verranno meno gli incentivi, i sussidi pubblici e le misure emergenziali adottate verranno ritirati, occorrerà farsi trovare pronti ai cambiamenti futuri e al loro impatto sulla nostra società. Andrà ridiscusso il ruolo dello Stato, “nell’offerta di servizi per lo sviluppo dell’economia e la salute e sicurezza dei cittadini, nonché nell’azione volta a ridurre le disuguaglianze, accrescere le opportunità, salvaguardare i più deboli”.
La sua azione, sottolinea il Governatore, dovrà essere sempre complementare, e non contrapposta, a quella delle imprese che operano nel mercato. Imprese che dovranno rafforzarsi sul piano dimensionale e su quello patrimoniale. A tal fine, sottolinea Visco, sono necessari investimenti innovativi anche per una rapida sostituzione del capitale che l’accelerazione della transizione digitale e le necessità di sostenibilità ambientale rendono vieppiù obsoleto.
Inoltre, si dovrà investire, anche con il contributo delle famiglie, per riqualificare quei giovani che ora si trovano a margine del mercato del lavoro.
In conclusione, quello che il Governatore Visco auspica per il futuro è l’apertura di una “nuova epoca di cooperazione multilaterale intensa, di riduzione delle ingiustizie diffuse e di creazione di nuove opportunità”.
Il documento
Relazione annuale sul 2020 embargo_compressed (1)