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Transizione sostenibile e competitività: la sfida cruciale per il futuro dell’automotive italiano ed europeo

Gli studi presentati durante il convegno “La filiera Italiana dell’Automotive tra transizione e competitività”, organizzato da Federmeccanica e Anfia con il patrocinio di Confindustria Veneto, hanno evidenziato la crescita dei produttori cinesi e le difficoltà del settore europeo dovute agli ambiziosi obiettivi di zero emissioni dell’UE. In Italia, la carenza di infrastrutture e risorse rinnovabili rappresenta una sfida significativa. Le raccomandazioni includono incentivi alla ricerca e sviluppo, attrazione di investimenti esteri e una revisione delle normative per evitare distorsioni di mercato.

Pubblicato il 11 Lug 2024

Settore automotive


Per stimolare la competitività della filiera dell’automotive italiana e favorire la transizione sostenibile occorrono politiche industriali che puntino sull’innovazione di prodotto, superando un approccio incentrato unicamente sugli incentivi rivolti alla domanda, e politiche europee basate sul principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni: sono questi i messaggi principali che emergono dal Convegno “La filiera Italiana dell’Automotive tra transizione e competitività”, promosso da Federmeccanica e Anifia con il patrocinio di Confindustria Veneto.

L’evento è stata l’occasione per confrontarsi su rischi e opportunità del futuro del settore automotive in Italia in correlazione a quanto sta accadendo in particolare tra Europa e Cina, con il Green Deal e l’introduzione dei dazi aggiuntivi all’importazione delle auto elettriche dal Paese asiatico.

Le valutazioni e le proposte emerse da queste analisi traggono fondamento anche da due studi presentati nel corso del convegno: lo studio Anifia – AlixPartners e lo studio di La Forgia e Beltrametti, che descrivono lo stato di salute e di competitività del settore dell’automotive (a livello mondiale, europeo ed italiano) e l’impatto della transizione ecologica, in particolare degli obblighi regolamentari imposti dall’UE orientati all’elettrificazione del settore automobilistico, sul fatturato e sulla forza lavoro della filiera della componentistica italiana.

Gli impatti degli obiettivi di sostenibilità dell’UE sulla competitività del settore

Lo studio di La Forgia e Beltrametti ha evidenziato una crescita clamorosa del peso dei produttori cinesi a discapito dei produttori occidentali. Questa tendenza si associa ai radicali cambiamenti tecnologici in atto, imposti anche dalle normative europee.

Gli ambiziosi obiettivi di “zero emissioni” fissati dall’Europa e la scelta dell’elettrico come unica via per raggiungerli stanno infatti mettendo in seria difficoltà il settore automotive continentale.

I tempi proposti (ricordiamo il cut-off del 2035) non sono compatibili con la disponibilità attuale di infrastrutture, energia da fonti rinnovabili, materie prime – spesso controllate dalla Cina – e risorse economiche.

In Italia, ad esempio, sebbene in crescita, la disponibilità di energia da fonti rinnovabili è ancora sotto il 50%. Inoltre, la rete di ricarica conta circa 50.000 punti, ma per raggiungere l’obiettivo di 6 milioni di veicoli elettrici previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), sarebbe necessario decuplicare le installazioni, considerando un rapporto di una stazione di ricarica ogni 10 veicoli.

Essendo il motore elettrico, pur nella sua complessità, “più semplice” rispetto a un motore endotermico, la sua adozione ha rimosso la barriera tecnologica che per anni ha garantito la leadership occidentale.

Le politiche industriali di sviluppo tecnologico in Cina risultano più focalizzate rispetto a quelle europee: concentrandosi sulle 10 città più popolose, hanno implementato infrastrutture e creato un sistema premiante per incentivare l’innovazione.

Questo approccio ha permesso alla Cina di raggiungere un livello di evoluzione tecnologica che contende la leadership alle case automobilistiche europee.

Significativa anche l’analisi dell’andamento produttivo in Cina rispetto all’occidente. Negli ultimi 25 anni, si è osservato un rallentamento delle produzioni occidentali a vantaggio di quelle cinesi. In particolare, mentre la produzione mondiale di auto passeggeri è cresciuta di circa 30 milioni di unità (+81%), il ruolo dei produttori europei e americani si è drasticamente ridimensionato.

Con riferimento al dinamico mercato cinese i maggiori player internazionali come VW e Toyota sono ancora nella posizione di leadership se si considera anche la propulsione endotermica. Tuttavia, se invece ci concentriamo sulla sola produzione di veicoli elettrici il quadro cambia radicalmente: la classifica, in questo caso, premia solo produttori locali e BYD, riconosciuto leader di mercato insieme a Tesla, fa la parte del leone.

Il “costo” della transizione elettrica per la filiera dell’automotive

Lo studio Anifia – AlixPartners approfondisce, da un altro punto di vista, le opportunità e le sfide poste dagli obiettivi di transizione sostenibile fissati dall’UE volti ad accelerare l’allontanamento dai veicoli a combustione fossile a favore dei veicoli elettrici, sulla base di un’analisi centrata sulla filiera di componentisti, composta da circa 1.100 aziende, per 82 miliardi di euro (fatturato 2022), di cui circa 52 legati all’Auto e circa 14 a parti per motori ICE.

Entro il 2030, i veicoli elettrici a batteria (BEV) potrebbero rappresentare circa la metà del parco veicoli globale, con una quota del 48%. L’Europa è destinata a emergere come la regione leader nell’elettrificazione, con una previsione di BEV che raggiungerà il 64% del totale dei veicoli.

In Italia, si prevede un aumento significativo dell’incidenza dei BEV, superando il 90% entro il 2030, richiedendo una trasformazione radicale della filiera di approvvigionamento.

Tuttavia, questa transizione comporterà una drastica riduzione del fatturato per la componentistica dei motori a combustione, stimata oltre il 50% (circa 7 miliardi di euro), e potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro tra 30.000 e 50.000 addetti, a seconda dell’evoluzione dei volumi di produzione.

Gli scenari di crescita e calo ipotizzano una variazione di 200.000 veicoli, con un impatto significativo sulla forza lavoro: la riduzione strutturale dei dipendenti nel settore potrebbe variare da 10.000 a 27.000, mentre le crisi aziendali legate alla transizione potrebbero riguardare fino a 20.000 persone, principalmente a causa del cambiamento nel mix produttivo.

La filiera italiana, inoltre, riporta un gap di competitività sulle principali voci di costo (lavoro, energia, e logistica) rispetto ai vicini europei (Francia, Spagna e Germania), pur riscontrando un’elevata produttività.

Le raccomandazioni per ridurre i rischi della transizione green e promuovere la competitività della filiera dell’automotive

Entrambi gli studi forniscono alcune indicazioni strategiche per guidare i policy maker italiani ed europei nella definizione di politiche in grado di sostenere la competitività della filiera dell’automotive italiana ed europea e contrastare la leadeship cinese. Vediamo nel dettaglio quali sono le proposte avanzate.

Le proposte dello studio di La Forgia e Beltrametti

Lo studio propone una serie di interventi strategici per affrontare le sfide della transizione energetica nel settore automotive, con una prospettiva sia europea che italiana.

A livello europeo, si suggerisce una rivalutazione pragmatica e consapevole degli obiettivi, dei tempi e delle soluzioni per supportare la trasformazione green, non mettendo in discussione il “se” ma il “come e quando” della transizione.

Si propone l’adozione di una neutralità tecnologica per eliminare l’attuale “imbuto tecnologico” e consentire soluzioni diversificate come motorizzazioni a idrogeno, fuel cell a idrogeno, bio-combustibili e combustibili sintetici.

Inoltre, si raccomanda un maggiore ricorso al public procurement e una revisione dei vincoli normativi per evitare una distorsione della produzione verso auto pesanti, veloci e costose. L’asticella tecnologica dovrebbe essere alzata progressivamente, come accaduto per le normative Euro 1 fino a Euro 6.

Dal punto di vista italiano, lo studio sottolinea la necessità di trovare una collocazione nelle nuove catene globali del valore, poiché i costruttori francesi e tedeschi non sono più sufficienti a garantire la competitività italiana.

La mancanza di grandi “rimorchiatori tecnologici” autoctoni rende questo obiettivo ancora più critico. Per questo, gli incentivi pubblici dovrebbero puntare sulla creatività come tratto distintivo nazionale, favorendo la ricerca e sviluppo (R&D) per trasformare il “Made in Italy” in “Invented and Made in Italy”.

Questo cambio di paradigma è fondamentale per evitare che l’Italia venga relegata al ruolo di mero produttore di pezzi, in competizione con paesi a basso costo ma non più a bassa qualità. Inoltre, per interagire efficacemente con i grandi player internazionali, è essenziale risolvere il tema della crescita dimensionale delle imprese e della governance manageriale.

Un altro punto cruciale è l’attrazione di investimenti cinesi in Italia, vista come un obiettivo strategico. Diversi paesi europei stanno già muovendosi in questa direzione, e l’esperienza di Giappone e Corea dimostra che non è possibile solo produrre oltre oceano e spedire i veicoli via nave in Europa.

Una politica “local per local” che preveda insediamenti produttivi sui mercati di riferimento è quindi fondamentale. Infine, lo studio enfatizza la necessità di uno spirito di collaborazione piuttosto che di scontro ideologico. Pur rispettando i valori economici, finanziari, sociali ed etici, è fondamentale instaurare una relazione di confronto e collaborazione con chi detiene oggi la leadership tecnologica nei veicoli elettrici. Uno scontro frontale potrebbe portare a risultati imprevedibili e potenzialmente molto negativi per entrambe le parti. Pertanto, è auspicabile che la questione dei dazi trovi giusti compromessi e sia gestita con equilibrio.

“Abbiamo bisogno di politiche industriali che puntino soprattutto sull’offerta e sull’innovazione di prodotto più che sugli incentivi sulla domanda, che devono rimanere soluzioni marginali”, dichiara Federico Visentin, Presidente Federmeccanica e Presidente & CEO Mevis.

“Ci auguriamo che la nuova Commissione Europea rifletta sulla necessità di introdurre il principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni: l’elettrico deve essere una delle opzioni e non l’unica soluzione. Dobbiamo puntare alla crescita delle imprese per avere più grandi produttori e, nel frattempo, attrarre big player stranieri, anche cinesi, vincolandoli a investire sulla filiera italiana. In quest’ottica, la politica dei dazi è pericolosa in quanto innesca reazioni a catena non controllabili e non possiamo permetterci l’autarchia, essendo la nostra una manifattura esportatrice e un’industria di trasformazione per cui anche l’import è fondamentale”, aggiunge.

Le proposte di Anifia e AlixPartners

Lo studio condotto da Anifia e AlixPartners fornisce inoltre una serie di proposte di politica industriale che il Governo dovrà mettere in campo nel breve, medio e lungo periodo per cercare di colmare queste differenze, in modo da creare le condizioni per arrivare a produrre in Italia, nel 2028-2030, almeno 1 milione di autoveicoli, coinvolgendo in misura crescente il sistema della componentistica italiana e mantenendo e sviluppando le competenze in ricerca e sviluppo sul territorio.

Le proposte sono contenute all’interno di un Protocollo d’Intesa costituito da 4 indirizzi tematici e 20 aree di lavoro con il principale obiettivo il sostegno alla transizione e allo sviluppo occupazionale.

I quattro indirizzi tematici alla base delle proposte sono:

  • produzione locale: incremento produzione locale da parte dei Costruttori attraverso il mantenimento e l’allocazione di modelli con
    focus Italia, anche supportato dall’ottimizzazione dello schema di incentivazione alla domanda
  • competitività produttiva (OEM e fornitori): miglioramento dei principali fattori di competitività industriale (energia, digitale, …)
  • attrattività investimenti e tecnologia: azioni per attrarre investimenti nel paese e attività di ricerca e sviluppo per permettere il
    rinnovamento del settore
  • riconversione e sviluppo occupazionale: trasformazione industriale e sostegno allo sviluppo occupazionale

“Lo studio che abbiamo realizzato insieme ad AlixPartners raccoglie i contributi dei partecipanti ai lavori del Tavolo Sviluppo Automotive gestito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e ora in fase conclusiva, ovvero Anfia, Stellantis, i rappresentanti delle regioni in cui si trovano gli stabilimenti del Gruppo e le parti sociali”, spiega Marco Stella, Presidente del Gruppo Componenti Anfia.

“Il lavoro traccia i possibili impatti della transizione energetica sulla filiera a livello regionale, analizza i gap di competitività delle imprese italiane rispetto ai principali competitor e, infine, identifica quattro aree di intervento. Inoltre, propone una ventina di misure di sostegno per guidare e supportare l’evoluzione della filiera produttiva, che puntano principalmente a incoraggiare l’incremento dei volumi della produzione locale di autoveicoli e a potenziare la competitività della nostra componentistica rispetto ai competitor. In questo momento così sfidante – prosegue Stella – tra gli elementi di difficoltà da evidenziare ci sono anche le scelte di gestione e di relazione con la filiera di alcuni costruttori, come Stellantis, che prevedono di dare sempre maggior spazio alle low cost countries, mettendo sul tavolo un confronto impari delle condizioni di fornitura rispetto alla supply chain europea e italiana”.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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