- Accelerazione delle compensazioni e impatto sulle casse dello Stato: il Governo ha introdotto un nuovo obbligo di comunicazione per fruire dell’incentivo, causando un momentaneo stop alle compensazioni.
- Il decreto legge 39/2024 ha previsto un nuovo sistema di comunicazione per le imprese che intendono accedere ai crediti d’imposta, con l’obiettivo di controllare meglio la spesa pubblica.
- La documentazione necessaria per accedere agli incentivi potrebbe ostacolare le PMI, rendendo l’incentivo più accessibile alle grandi imprese.
Gli ultimi dati sulle compensazioni effettuate dalle imprese per i crediti d’imposta previsti dal piano Transizione 4.0 nel 2023 e nei primi tre mesi del 2024 fanno temere un colpo difficile da assorbire per le casse dello Stato, dopo quello pesantissimo assestato dal Superbonus. Di qui la scelta draconiana del Governo che, nell’articolo 6 del decreto legge 39/2024 (cosiddetto decreto Superbonus), ha previsto l’introduzione di un nuovo obbligo di comunicazione per fruire dell’incentivo, causando di fatto un momentaneo stop alle compensazioni.
Ma partiamo dai dati. Secondo i numeri presentati dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio in un’audizione proprio sul decreto Superbonus, complessivamente i dati relativi alla fruizione dei crediti d’imposta Transizione 4.0 per il periodo 2021-2023 sono al momento in linea con le previsioni (12,5 miliardi compensati a fronte di una previsione di 13,4 miliardi), ma nel 2023 c’è stata una forte accelerazione con oltre 7 miliardi di crediti compensati a cui è seguita un’ulteriore accelerazione nel primo trimestre del 2024, con ben 3,3 miliardi, pari già al 70% del totale stimato per l’intero anno (4,6 miliardi), come si evince dalla tabella sottostante.
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Crediti d’imposta Transizione 4.0, l’importo delle compensazioni effettuate supererà (abbondantemente) le stime
Un “boom” di compensazioni che, sommato alle fruizioni future da parte degli incapienti, lasciano prevedere una spesa pubblica effettiva molto superiore alle risorse stanziate.
“Va inoltre considerato – si legge nel documento dell’UPB – che i crediti compensati scontano l’incapienza fiscale e quindi crediti potenziali ancora a disposizione delle imprese potrebbero emergere nei prossimi anni, dato che le eventuali eccedenze possono essere riportate in avanti senza limiti temporali, aumentando il divario con le stime iniziali. Tali indicazioni sono in linea con quanto registrato nel conto delle Amministrazioni pubbliche rilasciato dall’Istat. Nel triennio 2021-23, i crediti di imposta associati a Transizione 4.0 registrati tra i contributi agli investimenti risultano già superiori ai 24,3 miliardi stimati fino al 2028 nelle Relazioni tecniche riguardanti l’agevolazione”.
Appare evidente quindi la volontà di tenere sotto controllo la spesa legata a questi incentivi dietro la scelta di bloccare le compensazioni dei crediti d’imposta Transizione 4.0 in attesa della piattaforma e del nuovo modello attraverso cui le imprese dovranno trasmettere la comunicazione ex ante – che specifica l’ammontare complessivo degli investimenti previsti e le modalità di utilizzo del credito – che la comunicazione ex post, divenuta strumento di conferma necessario alle imprese per accedere al credito.
In attesa dell’attivazione della piattaforma e dei modelli che serviranno alle imprese per trasmettere le comunicazioni, l’Agenzia delle Entrate ha sospeso l’operatività dei codici tributo necessari a fruire delle agevolazioni con la risoluzione n. 19/E del 12 aprile 2024.
Il malcontento generato dalla decisione ha spinto la stessa AdE a chiarire che il blocco temporaneo non si applica agli investimenti avviati prima del 2023, mentre lo stesso Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha promesso tempi brevi per il decreto direttoriale che disporrà i nuovi modelli per le comunicazioni che consentiranno alle imprese di ripartire con la fruizione dei crediti d’imposta e che, come indicato da Urso, dovrebbe arrivare nel corso della prossima settimana.
Transizione 5.0? Un incentivo per pochi
A fronte di questo pericolo, il documento suggerisce che gli effetti tendenziali di Transizione 4.0 nel 2024 e nel 2025 potrebbero essere in parte sostituiti da quelli dell’incentivo a investimenti Transizione 5.0.
“Il differenziale di aliquota tra le due agevolazioni potrebbe indurre le imprese a concentrare le risorse sugli investimenti innovativi che garantiscono anche una maggiore efficienza energetica, agevolati con Transizione 5.0”, si legge nel testo.
Testo che, tuttavia, mette in guardia sul rischio che gli oneri documentali richiesti alle imprese per accedere alle agevolazioni potrebbero di fatto ostacolare la fruizione degli incentivi.
“Va osservato cha la procedura di attivazione del nuovo incentivo, sebbene finalizzata a garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’agevolazione, appare complessa in termini di condizioni richieste per l’investimento e di adempimenti amministrativi e potrebbe quindi limitarne l’accesso alle sole imprese più grandi e ben strutturate”.
Un incentivo che quindi potrebbe non essere a portata delle PMI, nonostante il contributo che è previsto dalla norma per aiutarle nelle spese relative a questi oneri documentali.
Il peso delle previsioni
Una nota a margine di questo tema. I numeri riportati dall’UPB rilevano di fatto una fruizione dell’incentivo superiore alle attese, un po’ come è accaduto con il Superbonus (anche se chiaramente le proporzioni del “danno” sono nettamente diverse). La qual cosa non si può certo trasformare in una “colpa” delle imprese beneficiarie.
Quello che emerge, piuttosto, è un doppio tema: da un lato l’inadeguatezza delle previsioni di spesa in relazione agli incentivi che i Governi portano nelle relazioni tecniche delle leggi di bilancio. Evidentemente i criteri utilizzati – spesso si tratta di analogie con altre misure o peggio ancora stime di spesa invariata rispetto a periodi precedenti – non tengono conto in maniera adeguata del mondo reale, sottostimando o (più raramente) sovrastimando l’impatto degli incentivi sui conti pubblici.
Il secondo aspetto è che, anche migliorando i criteri previsionali, misure che non prevedono un controllo in tempo reale e preciso della spesa finiranno prima o poi… fuori controllo. Introdurre un sistema di comunicazioni a giochi praticamente già fatti è un’operazione che appare onerosa per le imprese e inadeguata a tappare una falla di cui non si conoscono nemmeno le dimensioni. Un sistema che prevede un monitoraggio della misura sin dal principio è nettamente migliore, ma le misure “a rubinetto” espongono le imprese al rischio del click day. Urge dunque forse proprio una riflessione diversa – e più radicale – su quale possa essere uno strumento che consenta di mantenere un forte potere incentivante per le imprese (che poi significa semplicità di accesso all’incentivo) senza mettere a rischio i conti pubblici.