Mezzogiorno in recessione, la trappola demografica e le opportunità della bioeconomia

Dal rapporto Svimez 2019 emerge uno scenario poco rassicurante: i giovani continuano a fuggire dall’Italia, solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dal conseguimento del titolo. Prosegue l’abbandono scolastico. Crollano gli investimenti pubblici, continua l’emigrazione ospedaliera verso il Centro Nord. Opportunità di crescita dalla bioeconomia.

Pubblicato il 04 Nov 2019

sud-italia

Il divario occupazionale tra Centro-Nord e Sud continua a crescere, passando dal 19,6% al 21,6%. Il gap è pari a 3 milioni di posti di lavoro. Con un pil stimato in calo dello 0,2%, a fronte del +0,3% del Centro-Nord (+0,2% la media nazionale), nel 2019, il Mezzogiorno è entrato ufficialmente in recessione.

Tutto ciò, nonostante l’introduzione della misura del Reddito di Cittadinanza, che di fatto ha avuto un impatto pressoché nullo sul mondo del lavoro.

Nel primo semestre la crescita dell’occupazione riguarda soltanto il Centro-Nord (+137 mila posti), mentre il Sud evidenzia un saldo negativo (-27 mila).

Cresce il part-time (+1,2%), soprattutto quello involontario, che nel Mezzogiorno si avvicina all’80%, mentre al Centro-Nord si attesta al 58%. E’ questo lo scenario tratteggiato dal rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno, presentato questa mattina.

Economia stagnante: si consuma e si investe poco

A segnare la riapertura del divario Centro-Nord Mezzogiorno sono i consumi, soprattutto della pubblica amministrazione: si fermano a un +0,2%, ancora al di sotto di -9 punti percentuali nei confronti del 2018, rispetto al Centro-Nord, dove crescono del +0.7%, recuperando e superando i livelli pre crisi. La spesa per consumi finali della pubblica amministrazione ha segnato -0,6% nel 2018.

Debole il contributo dei consumi privati delle famiglie con quelli alimentari che calano del -0,5%, per effetto della caduta dei redditi e dell’occupazione.

Gli investimenti restano la componente più dinamica della domanda interna (+3,1% nel 2018 nel Mezzogiorno, a fronte di +3,5% del Centro-Nord). In particolare, crescono gli investimenti in costruzioni (+5,3%), mentre si sono fermati quelli in macchinari e attrezzature (+0,1% contro +4,8% del Centro-Nord). Se da un lato riprendono gli investimenti privati fa, dall’altra crollano gli investimenti pubblici: nel 2018, stima la SVIMEZ, la spesa in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi, nello stesso periodo al Centro-Nord è salita da 22,2 a 24,3 miliardi.

Crescita modesta anche nelle aree più sviluppate del Paese

Le previsioni macroeconomiche della Svimez stimano il Pil italiano a +0,9% nel 2018, + 0,2% nel 2019 e +0,6% nel 2020. In particolare, il Centro-Nord sarebbe al +0,9% nel 2018, al +0,3% nel 2019, al +0,7% nel 2020. Una crescita molto modesta anche nelle aree più sviluppate del Paese. Al Sud nel 2018 l’aumento sarebbe del +0,6%, calerebbe a -0,2% nel 2019 e risalirebbe leggermente a +0,2% nel 2020.

L’occupazione italiana, a sua volta, segnerebbe +0,9% quest’anno, +0,07% il prossimo e +0,30 nel 2020. Al Centro-Nord sarebbe +0,9% nel 2018, +0,13% nel 2019, +0,35% nel 2020. Al Sud +0,7% quest’anno, scenderebbe a -0,14 il prossimo per risalire a +0,14% nel 2020.

Male l’agricoltura al Sud, bene il terziario

Il valore aggiunto dell’agricoltura è calato nel 2018 al Sud di -2,7%, nel Centro-Nord è aumentato di +3,3%. Quello dell’Industria in senso stretto è aumentato di +1,4% nel 2018 al Sud, in calo rispetto al 2017 (+2,7%). Nel Centro Nord è cresciuto di +1,9%. Il valore aggiunto del terziario al Sud nel 2018 è aumentato di +0,5%, meno che al Centro-Nord (+0,7%).

Abruzzo, Puglia e Sardegna crescono di più

Nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%. Nel Molise e in Basilicata il PIL è cresciuto del +1%. In Sicilia ha segnato +0,5%. Ferma invece per il 2018 la crescita in Campania. Infine, la Calabria è l’unica regione meridionale che ha visto una flessione del PIL di -0,3%.

Aumenta il part time involontario

Come annunciato in apertura, si allarga il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%: ciò comporta che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni. La crescita dell’occupazione nel primo semestre del 2019 riguarda solo il Centro-Nord (+137.000), cui si contrappone il calo nel Mezzogiorno (-27.000).

Al Sud aumenta la precarietà che si riduce nel Centro-Nord, riprende a crescere il part-time (+1,2%), in particolare quello involontario che nel Mezzogiorno si riavvicina all’80% a fronte del 58% nel Centro-Nord.

Gli effetti della trappola demografica

In Italia ha smesso di crescere anche la popolazione: dal 2015 continua a calare a ritmi crescenti, soprattutto nel Mezzogiorno. L’esaurimento del lungo periodo di transizione si è tradotto, infatti, in una vera e propria trappola demografica nella quale una natalità in declino soccombe a una crescente mortalità.

La crisi demografica e le emigrazioni accentuano i divari tra Sud e Centro-Nord. Dall’inizio del secolo a oggi la popolazione meridionale è cresciuta di soli 81 mila abitanti, a fronte di circa 3.300.000 al Centro-Nord. Nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 642.000 unità, mentre al Nord è cresciuta di 85.000.

Nel corso dei prossimi 50 anni il Sud perderà 5 milioni di residenti: -1,2 milioni sono giovani e -5,3 milioni persone in età da lavoro. A fronte di un Centro-Nord che conterrà le perdite a 1,5 milioni.

Secondo la Svimez, le immigrazioni contribuiscono ad accentuare gli squilibri tra le due aree del Paese. Nel 2018 gli stranieri con 4,4 milioni, sono quasi l’11% della popolazione del Centro-Nord e solo il 4,4% di quella meridionale.

Nel 2018 si è raggiunto un nuovo minimo storico delle nascite, poco più di 439 mila nati vivi, oltre 18 mila in meno rispetto al 2017. Nel Sud sono nati l’anno scorso quasi 157 mila bambini, circa 6 mila in meno del 2017.

La novità è che il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli. Il peso demografico del Sud continua a diminuire e ora è pari al 34,1%.

In tutti gli scenari previsti, il Pil italiano, ipotizzando una invarianza del tasso di produttività, diminuirebbe nei prossimi 47 anni a livello nazionale da un minimo del 13% ad un massimo del 44,8%, cali di intensità differenti interesserebbero il Nord e il Sud del Paese.

Ciò comporterebbe una riduzione delle risorse per finanziare una spesa pubblica in aumento per il maggior numero di pensioni e per l’assistenza sociale e sanitaria.

La fuga dei giovani

Per effetto del calo delle nascite e della continua perdita migratoria, il Mezzogiorno è sempre più carente di giovani fino a 14 anni (-1.046 mila) e di popolazione attiva in età da lavoro da 15 a 64 anni (-5.095 mila). Il saldo migratorio verso l’estero ha raggiunto i -50mila nel Centro-Nord e i -22 mila nel Sud.

La nuova migrazione riguarda molti laureati, e più in generale giovani, con elevati livelli di istruzione, molti dei quali non fanno più ritorno. Dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2.015 mila residenti, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati.

Un’alternativa all’emigrazione è rappresentata dal pendolarismo di lungo periodo, che nel 2018 dal Mezzogiorno ha interessato circa 236 mila persone (10,3% del totale). Di questi 57 mila si muovono sempre all’interno delle regioni del Sud, mentre 179 mila viaggiano verso il Centro-Nord e l’estero.

Cresce l’incidenza della povertà assoluta

Un altro annoso problema delle regioni meridionali riguarda l’occupazione femminile: il Sud Italia si posiziona agli ultimi posti in Europa per tasso di attività e occupazione delle donne. Nel 2018 il Mezzogiorno ha perduto ulteriore terreno, superata perfino da Ceuta e Melilla, dalla Guyane francese e dalla Macedonia.

La bassa occupazione delle donne meridionali riflette anche la carenza di domanda di lavoro e ciò spiega perché il tasso di disoccupazione femminile al Sud sia intorno al 20%, su valori più che doppi rispetto al Centro-Nord.

La gravissima emergenza riguarda soprattutto le giovani tra 15 e 34 anni, che si sono ridotte di oltre 769 mila unità.

A ciò si aggiunge un aumento esponenziale per le donne del part time (+22,8%), mentre cala il lavoro a tempo pieno (-1,3%). In particolare quelle occupate con part time involontario aumentano nel decennio di quasi 1 milione pari a +97,2%.

In aumento i lavoratori poveri (working poor), soprattutto al Sud: l’incidenza della povertà assoluta nel 2018 è cresciuta al Sud all’8%: nel caso in cui il capofamiglia occupato ha un contratto di operaio la quota di nuclei in povertà assoluta è salita nel Mezzogiorno al 14,7%.

Reddito di Cittadinanza a “impatto zero”

Al triste scenario tratteggiato sinora bisogna aggiungere, come anticipato in apertura, che il reddito di cittadinanza ha avuto un effetto praticamente nullo sul mondo del lavoro. Secondo la Svimez, “è stato utile, tuttavia la povertà non si combatte solo con un contributo monetario, occorre ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza”. Tale misura, tanto decantata, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro.

Il divario territoriale nella sanità e nella scuola

Il divario tra Centro-Nord e Sud si palesa anche nei servizi a cittadini e imprese. La spesa pro capite delle Amministrazioni pubbliche è pari nel 2017 a 11.309 nel Mezzogiorno e a 14.168 nel Centro-Nord. Un divario che è cresciuto negli anni Duemila.

Lo svantaggio meridionale è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura. Continua l’emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord: circa il 10% dei ricoverati per interventi chirurgici acuti si sposta dal Sud verso altre regioni.

Grave il ritardo nei servizi per l’infanzia. La spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord. Le differenze Nord/Sud riguardano soprattutto l’offerta di scuole per l’infanzia e la formazione universitaria.

Nel Mezzogiorno solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Prosegue l’abbandono scolastico, nel 2018 gli early leavers meridionali erano il 18,8% a fronte dell’11,7% delle regioni del Centro-Nord. Per di più al Sud il 56% delle scuole ha bisogno di manutenzione urgente.

Nuove opportunità di crescita nella bioeconomia

La bioeconomia meridionale si aggira tra i 50 e i 60 miliardi di euro, pari a un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale. Nel Mezzogiorno è significativa la crescita delle fonti energetiche rinnovabili. Tra i vari settori dell’economia circolare presenti al Sud, particolare rilievo assume la chimica verde.

Dal Mezzogiorno parte una forte domanda di brevetti nel settore della bioeconomia. Le imprese del biotech sono cresciute moltissimo nelle aree meridionali, +61,1%, rispetto a +34,5% su scala nazionale.

“Il Green New Deal può rappresentare un’opportunità di rinascita economica del Mezzogiorno”, spiega Svimez.

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Beatrice Elerdini

Giornalista di professione, reporter, copywriter, Social Media Manager e autrice di testi per la tv e il web. Da dieci anni lavoro su piattaforma Wordpress e mi nutro di SEO. Ogni giorno mi occupo di cronaca, attualità, economia e nuove tecnologie. Avete storie, notizie e curiosità da raccontare? Scrivetemi a biaraven@libero.it

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