Digitalizzazione e sostenibilità (ambientale e sociale) sono i pilastri su cui si fonda il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che darà l’opportunità all’Italia di investire, nei prossimi anni, oltre 200 miliardi di euro.
Viene dunque spontaneo domandarsi quale sia il livello di consapevolezza degli italiani su questi temi e il loro punto di vista sul ruolo della digitalizzazione come strumento di sviluppo sostenibile.
Le risposte arrivano dalla ricerca “Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano”, realizzata dal Digital Transformation Institute, la prima Fondazione di Ricerca italiana per la sostenibilità digitale.
L’indagine è finalizzata ad analizzare il livello di percezione delle persone sul ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità e degli impatti della tecnologia su ambiente, economia e società.
“Il quadro che emerge dai dati – afferma Stefano Epifani, Presidente della Fondazione – è estremamente complesso, fatto di luci e ombre. E’ uno scenario che fornisce alcune indicazioni fondamentali, dalle quali partire, per iniziare a costruire quella nuova normalità che serve per rilanciare il nostro Paese”.
L’80% degli italiani afferma di avere una conoscenza abbastanza o molto precisa del concetto di sostenibilità. Tuttavia, se si entra nel dettaglio del dato, si evince che a dominare è piuttosto una grande confusione: “Le maggior parte delle persone considera tale concetto in termini prettamente ideologici, è una consapevolezza che non si traduce quasi mai in azioni concrete”.
Ciò si evince chiaramente dalle priorità percepite: il 45,5% degli italiani mette al primo posto l’ambiente, mentre il 38% è orientato al benessere e alla qualità di vita dell’individuo. Soltanto il 16% mette al primo posto le scelte economiche di sviluppo. Nel contempo ben il 63% non è in grado di fare il passo immediatamente successivo, ovvero mettere in correlazione la propria visione prioritaria di sostenibilità con le scelte economiche e sociali ad essa correlate.
Ponendo poi la lente di ingrandimento sul mondo delle imprese, quel che emerge dai primissimi risultati di un’altra ricerca effettuata della Fondazione, in uscita a ottobre, è uno scenario altrettanto interessante: “Una visione della sostenibilità storpiata, ridotta, che non consente di sfruttarla a dovere come leva di valore per il business”.
Ma andiamo per ordine, entrando dapprima nel cuore della ricerca sugli Italiani e la Sostenibilità Digitale.
Indice degli argomenti
Tecnologia come opportunità o minaccia?
Anche riguardo alla tecnologia, emergono contrasti netti. La quasi totalità delle persone, ben il 92%, ritiene che il digitale sia fonte di opportunità (il 71% di costoro ritiene altresì che se ne debbano comprendere ancora i rischi), tuttavia il 65% degli intervistati sostiene anche che sia fonte di diseguaglianza, perdita di posti di lavoro ed ingiustizia sociale.
A tal proposito è doveroso sottolineare un altro aspetto: “La paura nei confronti della tecnologia aumenta proporzionalmente al diminuire della competenza: in poche parole, meno si ha familiarità con le tecnologie, più sono viste come una minaccia. Questo dato ci insegna quanto sia centrale il ruolo delle azioni delle Istituzioni rivolte ad aumentare il livello di consapevolezza e di competenza digitali degli italiani di ogni età”.
Sostenibilità digitale: un percorso a ostacoli
È dunque un percorso a ostacoli, quello della sostenibilità digitale, ovvero dell’uso della tecnologia come strumento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Nonostante il 70% degli italiani riconosca che l’inquinamento (77%) e il cambiamento climatico (74.5%) siano problemi da affrontare con estrema urgenza e affermi di essere consapevole delle opportunità offerte dalla tecnologia digitale per la gestione di tali problematiche, nella pratica non fa quanto potrebbe per usarle come strumento di sostenibilità.
Soltanto il 10% gli italiani utilizza regolarmente applicazioni a supporto della riduzione dei consumi, mentre il 13% le usa raramente. Il 27% dichiara di non conoscerne l’esistenza, ma il dato più significativo riguarda il 49% che dichiara di conoscerne l’esistenza, ma di non adottarle.
La situazione è speculare anche per ciò che riguarda le applicazioni per la gestione del ciclo dei rifiuti (il 38% degli italiani non le conosce e il 35% non le usa pur conoscendole) e per quelle dedicate alla riduzione degli sprechi alimentari (sconosciute dal 48% degli intervistati e non usate dal 38% di quanti dichiarano di conoscerne l’esistenza).
Gli italiani dunque, non solo non usano il digitale come strumento di sostenibilità, ma non si rendono nemmeno conto di quale impatto abbia sull’ambiente. Il 61% degli intervistati sostiene che l’impatto ambientale della digitalizzazione sia forte, tuttavia solo il 13% è in grado di quantificare correttamente il consumo effettivo di un’ora a settimana di streaming video (pari a quello di ben due frigoriferi collegati 24h).
“La situazione non cambia di molto se guardiamo alla sostenibilità economica e sociale. Si pensi ad esempio al ruolo delle piattaforme digitali, dei social network, dei motori di ricerca: è evidente una forte difficoltà delle persone nel contestualizzare il problema in termini complessivi”, dichiara Epifani.
“Il 90% degli intervistati è d’accordo nell’affermare che aziende come Facebook, Google, Apple o Amazon abbiano oggi troppo potere rispetto alla possibilità di influenzare i comportamenti delle persone, e una percentuale quasi analoga (87%) afferma – conseguentemente – che i Governi debbano preoccuparsi del problema. Tuttavia il 50% degli intervistati sostiene che esse debbano essere lasciate totalmente libere di agire sul mercato”.
“Allo stesso tempo, il 92% delle persone ritiene che garantire la privacy degli utenti sia una priorità, ma il 50% è anche dell’idea che tutto sommato i servizi personalizzati siano più importanti della privacy”.
La sostenibilità migliora se c’è conoscenza
“La sostenibilità migliora nel momento in cui le persone sono dotate di conoscenza, di strumenti e di motivazione. Se si riesce a trasmettere alle persone il concetto del senso di ciò che stanno facendo, si sta lavorando in questa direzione”, afferma Mauro Minenna, neo nominato Capo Dipartimento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale.
“La sostenibilità digitale abilita questa dimensione, perché consente di moltiplicare le opportunità di condivisione della conoscenza incorporando al suo interno l’elemento di senso, ossia la motivazione per la quale si sta chiedendo di fare qualcosa”.
“In tal modo possiamo costruire una società migliore nel rispetto dell’ambiente. Per contribuire allo sviluppo di un futuro sostenibile le Istituzioni devono impegnarsi soprattutto nello sviluppare consapevolezza, competenze e strumenti per le persone e per la società”, conclude Minenna.
La visione delle imprese
Entrando infine, nel dettaglio del tessuto economico, il punto di vista degli imprenditori italiani, riguardo al tema della tecnologia come strumento di sostenibilità, risulta altrettanto interessante.
“Di questo aspetto, la Fondazione si è occupata nell’ambito di una ricerca di scenario, che vede coinvolti i decisori di grandi aziende italiane”, spiega Epifani.
“In primo luogo si evidenzia l’aspetto culturale: si parla di sostenibilità senza sapere in concreto di cosa si stia parlando, in secondo luogo la grande necessità di formazione alle competenze e alla consapevolezza digitale a qualsiasi livello dell’organizzazione. In terzo luogo, la necessità di introdurre la sostenibilità come elemento che consenta di ripensare in toto il modello di business”.
“Se non si riesce a guardare alla sostenibilità come un elemento non soltanto funzionale al business, ma che ne ridetermina la struttura, non diventerà mai una leva di valore. Resterà soltanto un vincolo”.
“Da alcune interviste emerge inoltre che in quasi nessuna azienda di grandi dimensioni esiste a livello di Cda il comitato sostenibilità, ma non mancano i vari comitato innovazione, pari opportunità, etc. Ciò dimostra come ancora sia distorta la visione delle imprese, rispetto alla sostenibilità: nella migliore delle ipotesi guarda a una dimensione prettamente ambientale, nella peggiore si muove in un’ottica di greenwashing”.