Porta ai lavoratori più autonomia, flessibilità e responsabilità. Può migliorare la vita delle persone, rendere le organizzazioni più competitive e le città più sostenibili. Lo Smart working realizza un radicale cambio di approccio nella gestione del lavoro.
Gli smart worker, chi lavora a distanza dal tradizionale posto di lavoro e con modalità tecnologiche e innovative, continuano a crescere in Italia, soprattutto nel settore privato, nelle grandi aziende, con piccole e medie imprese e Pubblica amministrazione che tentano lentamente di recuperare il ritardo accumulato negli anni scorsi. Ma ci sono anche molte Pmi che si dichiarano poco o per nulla interessate a queste nuove modalità di lavoro, ad esempio perché non si conciliano in maniera funzionale con attività e processi interni.
Gli smart worker nel Paese sono circa 570 mila, il 20% in più rispetto allo scorso anno, secondo le analisi del nuovo Report dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, presentato nell’Ateneo milanese questa mattina.
Si tratta di un dato di per sé incoraggiante, ma quanti sono in Italia i potenziali smart worker? “Se ci riferissimo ai soli ‘colletti bianchi’ che operano in realtà con almeno 10 addetti, potremmo affermare che in Italia ci sono circa 5 milioni di lavoratori dipendenti che potrebbero accedere allo smart working, il che ci porterebbe a stimare una penetrazione attuale di circa il 10%”, spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working.
Che precisa: “questa analisi, tuttavia, rischia di essere limitata in prospettiva futura: infatti le nuove tecnologie abilitano cambiamenti profondi nell’organizzazione del lavoro, si pensi ad esempio alla multicanalità, al 3D Printing o all’intelligenza artificiale, destinati a rivoluzionare gli stereotipi sulle professionalità, rendendo flessibili e basate sull’informazione tantissime mansioni fino a oggi ritenute rigide e vincolate, come quelle di operai, manutentori, addetti al Retail e operatori di sportello”.
Se dunque allarghiamo la platea dei potenziali smart worker anche oltre i confini settoriali comunemente considerati, sarebbe possibile stimare in Italia un numero di lavoratori molto più elevato, in prospettiva assai vicino al totale dei circa 18 milioni di lavoratori dipendenti presenti in Italia.
“Lo Smart working, nonostante sia un fenomeno ormai noto e che ha ampiamente dimostrato i suoi benefici, nelle PMI e nella PA trova ancora ostacoli e rallentamenti che ne limitano la capillarità”, sottolinea Fiorella Crespi, direttore dell’Osservatorio Smart Working: “anche nelle imprese di grandi dimensioni, dove è già ampiamente diffuso, lo Smart working è spesso ridotto al solo lavoro da remoto, semplificazione che non permette di cogliere appieno il potenziale di trasformazione per l’organizzazione, le persone e la società nel suo insieme che questo fenomeno potrebbe consentire”.
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Smart worker più soddisfatti degli altri
I lavoratori smart sono mediamente più soddisfatti rispetto agli altri, su diverse dimensioni. Il gap maggiore si rileva in riferimento alla soddisfazione per le modalità di organizzazione del lavoro, dove il 31% degli smart worker riferisce di essere molto soddisfatto rispetto al 19% dei lavoratori tradizionali, sempre secondo le analisi dell’Osservatorio milanese. Il clima di fiducia e autonomia che si accompagna allo Smart working comporta effetti positivi sulle relazioni con i colleghi, valutate come molto soddisfacenti dal 31% degli smart worker e dal 23% degli altri lavoratori, e sulle relazioni con il capo, con una soddisfazione elevata per il 25% degli smart worker rispetto al 19% dei lavoratori tradizionali.
Tra grado di coinvolgimento del lavoratore e Smart Working emerge una correlazione positiva: gli smart worker, oltre ad essere più soddisfatti del loro lavoro (nel 76% dei casi rispetto al 55% degli altri lavoratori), spesso sono orgogliosi dei risultati dell’organizzazione (71% rispetto al 62%) e sono entusiasti di farne parte e desiderano rimanerci per un lungo periodo (71% rispetto al 56%). Considerando tutti gli elementi che caratterizzano l’Engagement è emerso che gli smart worker che si sentono pienamente coinvolti su tutti gli aspetti sono il 33%, rispetto al 21% degli altri lavoratori.
“Per cogliere appieno i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie e dall’utilizzo delle nuove modalità di lavoro, serve prima di tutto un cambiamento nei comportamenti”, rileva Mariano Corso, “ed è necessario che le persone sviluppino un insieme di attitudini e competenze coerenti con lo Smart working che possiamo definire Smart attitude. Questi comportamenti si ispirano ai principi di senso di appartenenza e fiducia, responsabilizzazione rispetto a obiettivi personali e aziendali, flessibilità nel gestire l’organizzazione delle attività lavorative in modo flessibile, bilanciando esigenze personali e aziendali”.
Smart working ancora limitato nelle Pmi
Nelle PMI la diffusione delle iniziative di Smart Working cresce e passa dall’8% di progetti strutturati dello scorso anno al 12%; tra queste organizzazioni si continua a prediligere l’approccio informale, che cresce dal 16% al 18%, anche in relazione alla minor complessità organizzativa che caratterizza tali realtà. Le motivazioni che guidano l’attivazione dei progetti sono il miglioramento del benessere organizzativo, come indicato da 1 PMI su 2, e dei processi aziendali (26%).
In contrapposizione all’aumento della diffusione assistiamo, tuttavia, anche a un aumento delle PMI che dichiarano di essere disinteressate (dal 38% al 51%) dimostrando come “siamo di fronte a una sorta di presa di posizione tra chi si dimostra favorevole allo Smart working e chi dichiara di non avere alcun interesse all’introduzione”, sottolinea il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working: “tra le motivazioni del mancato interesse, il 68% delle PMI indica il fenomeno come non applicabile alla propria realtà, mentre il 23% ritiene che sia dovuto ad una mancanza di interesse e/o resistenze da parte dei capi”.
Già avviato in molte grandi imprese
Nelle grandi imprese lo Smart working si conferma un tema di interesse e spesso già avviato: il 70% di queste organizzazioni si è già mossa in questa direzione e, in particolare, il 58% ha già introdotto un progetto strutturato, il 5% dichiara che lo introdurrà entro i prossimi 12 mesi, mentre il 7% lo adotta in modo informale senza dare al fenomeno una valenza di progetto vero e proprio.
Il miglioramento del benessere organizzativo e della produttività sono tra le motivazioni per cui circa la metà delle grandi aziende ha attivato iniziative di Smart working, sostanzialmente in linea rispetto al passato. La diffusione di una nuova cultura aziendale orientata alla valutazione dei risultati e al raggiungimento degli obiettivi invece è cresciuta di peso, dal 37% del 2016 al 43% del 2019.
Nelle grandi imprese le iniziative che si trovano a regime rappresentano quasi la metà dei progetti strutturati di Smart working attivi (49%), mentre il 36% delle aziende ha ultimato la fase di testing e affinamento del progetto e sta estendendo la possibilità di aderire allo Smart working ad una popolazione aziendale maggiore. Solo il 15% ha avviato da poco lo Smart Working e si trova in una fase di sperimentazione.
I numeri nelle Pubbliche amministrazioni
Nelle Pubbliche amministrazioni c’è stato un buon aumento della diffusione di progetti strutturati, che sono raddoppiati rispetto allo scorso anno, passando dall’8% del 2018 al 16%. Aumentano anche le iniziative informali, che crescono dall’1% al 7%. Il 6% delle PA, invece, dichiara che avvierà progetti di Smart working entro i prossimi 12 mesi. I principali motivi per cui le PA avviano progetti di Smart working sono: il miglioramento del work-life balance dei lavoratori (78%), del benessere organizzativo (71%) e della produttività e qualità del lavoro (62%).
I principali ostacoli che in queste organizzazioni limitano l’adozione dello Smart working sono la percezione che non sia applicabile alla propria realtà (43%), la mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili (27%) e la presenza di attività poco digitalizzate (21%).
Per stimolare ancora di più l’adozione dello Smart working nel settore pubblico, è stata fatta la proposta di alzare il limite minimo di addetti a cui dare la possibilità di adottare forme di lavoro flessibile, tra cui lo Smart working, posto dalla Legge Madia dal 10% al 30% nei prossimi 2 anni. “Anche in questo caso si tratta di un approccio semplicistico”, fa notare Fiorella Crespi, “che non coglie appieno le complessità che le PA devono affrontare per sviluppare iniziative di Smart working. Non basta, infatti, agire solo a livello prescrittivo aumentando la soglia minima per stimolare la nascita di iniziative, al contrario è necessario accompagnare le diverse realtà e incentivare gli investimenti in digitale”.