Smart working, la carica dei 480 mila: grandi aziende e PA crescono, stabili le PMI

Pubblicato il 30 Ott 2018

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A Milano Generali ha completato il trasloco dei suoi dipendenti nella nuove torre Hadid di CityLife. Ad aspettare i dipendenti non c’erano le solite postazioni fisse, ma luoghi di lavoro che la sera devono essere sgomberati e il giorno dopo possono essere occupati da qualcun altro. E il loro numero è inferiore a quello dei lavoratori visto che c’è anche la possibilità un paio di giorni la settimana di lavorare da casa. Una scelta fatta, ormai da qualche tempo, anche da Siemens.

Per le grandi aziende si completa la svolta verso il lavoro agile, smart, che, come rileva l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, a poco più di un anno dall’approvazione della legge relativa in Italia continua a crescere nelle grandi aziende e anche nella PA.

Gli Smart Worker sono ormai 480 mila, in crescita del 20%, e si ritengono più soddisfatti dei lavoratori tradizionali sia per l’organizzazione del lavoro (39% contro il 18%) sia nelle relazioni con colleghi e superiori (40% contro il 23%).

Scarso l’impatto della nuova normativa

Difficile però attribuire grande merito alla nuova normativa. Tra le grandi imprese infatti solo il 6% trova positivo il suo impatto, il 49% non indica “nessun impatto” e il 45% lo vede addirittura come negativo in particolare per la complicazione nei processi di trasmissione delle comunicazioni e l’adeguamento degli accordi individuali e delle policy. Più divisa sul tema la PA: il 27% vede un impatto positivo, il 43% nessun impatto, il 30% negativo.

Nonostante questo, oltre una grande impresa su due (il 56% del campione) ha avviato progetti strutturati di smart working, mentre le PMI non offrono segnali significativi: qui lo smart working è stabile rispetto al 2017: l’8% ha progetti strutturati e il 16% informali. A differenza delle altre tipologie di organizzazioni però, fra le PMI è ancora elevato il numero di realtà che si dichiarano completamente disinteressate alla sua introduzione (38%).

Il modello più diffuso tra le grandi imprese comprende solo la possibilità di lavorare da remoto, scelta adottata dal 53% delle aziende, mentre il restante 47% dei progetti strutturati affianca al lavoro da remoto iniziative di ripensamento degli spazi. Rispetto al luogo in cui lavorare, invece, il 45% del campione delle grandi imprese lascia alle persone completa autonomia e libertà di scelta. Le altre organizzazioni preferiscono indicare i luoghi consentiti nel progetto di smart working: i più diffusi sono l’abitazione del lavoratore (80%), le altre sedi aziendali (74%), gli spazi di coworking (58%) e i luoghi pubblici (52%).

Nella Pubblica Amministrazione l’8% degli enti pubblici ha avviato progetti strutturati (erano il 5%), l’1% lo ha fatto in modo informale, un altro 8% prevede invece di lanciare iniziative il prossimo anno. Il grosso però è fermo: nel 36% delle Pa lo smart working è assente ma di probabile introduzione, nel 38% incerta, il 7% non è interessata.

Eppure, sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio “I benefici economico-sociali potenziali dell’adozione di modelli di lavoro agile sono enormi. Si può stimare un incremento di produttività del 15% per lavoratore, una riduzione del tasso di assenteismo pari al 20%, risparmi del 30% sui costi di gestione degli spazi fisici per quelle iniziative che portano a un ripensamento degli spazi di lavoro e un miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata per circa l’80% dei lavoratori. Per questo la rivoluzione non va fermata, ma anzi bisogna accelerare e promuovere la diffusione delle iniziative nelle diverse organizzazioni presenti sul territorio”.

Fra le criticità la più frequente è la percezione di un senso di isolamento relativamente alle dinamiche dell’ufficio (18%), seguita dal maggiore sforzo di programmazione delle attività e di gestione delle urgenze (16%). Altre difficoltà sono legate alle distrazioni esterne, come la presenza di altre persone nel luogo in cui si lavora (14%), la necessità di frequenti interazioni di persona (13%) e la limitata efficacia della comunicazione e della collaborazione virtuale (11%). Sono pochissimi invece gli smart worker che incontrano difficoltà nell’uso delle tecnologie legate al lavoro agile. Il 14% invece dice che va bene così. Non si sono criticità. Lontano dall’ufficio si sta meglio.

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Luigi Ferro

Giornalista, 54 anni. Da tempo segue le vicende dell’Ict e dell’innovazione nel mondo delle imprese. Ha collaborato con le principali riviste del settore tecnologico con quotidiani e periodici

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