Stretti nella morsa dell’invecchiamento da una parte e dell’avanzare del digitale dall’altra, i lavoratori più anziani (fra i 50 e i 64 anni) sono quelli più a rischio. Lo dice il report “The Twin Threats of Aging and Automation”, realizzato da Mercer e Oliver Wyman.
Il rapporto analizza l’Industria 4.0 e il rischio automazione analizzando la relazione fra l’invecchiamento della popolazione attiva, impiegata soprattutto in ruoli di routine, che in Italia sta diventando una parte sempre più consistente della forza lavoro, e le competenze che vengono a mancare con le nuove tecnologie.
Secondo le stime contenute nel rapporto Future of jobs del World Economic Forum, tra il 2015 e il 2020, circa 7,1 milioni di posti di lavoro scompariranno a livello globale. La maggior parte di questi riguarderanno le funzioni amministrative, il settore manifatturiero e i processi produttivi. Di contro, solo 2 milioni di nuovi posti di lavoro saranno creati, in diverse funzioni che vanno dalle operazioni finanziarie, al management, all’ingegneria.
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Il rischio sostituzione dei lavoratori italiani
A sparire saranno soprattutto i posti di lavoro che comportano attività manuali, ripetitive e non specialistiche che in Europa e soprattutto in Italia prevedono un largo impiego di lavoratori over 50.
La Penisola è infatti il Paese con il maggior rischio sostituzione. Nella fabbriche italiane il 58% in media di lavoratori anziani svolgono lavori facilmente automatizzabili.
Il rischio è rafforzato dall’aumento sempre più consistente di over 50 nella forza lavoro. Si stima infatti che la fascia di lavoratori tra i 50 e i 64 anni in Italia crescerà fino a raggiungere il 38% della forza lavoro totale entro il 2030.
La conferma arriva anche dagli ultimi dati dell’Istat secondo i quali crescono soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+381 mila). Un dato che sconta il duplice effetto delle riforme pensionistiche e dinamiche demografiche. Dietro l’Italia c’è la Germania con il 57% degli occupati a rischio.
C’è bisogno di formazione
“Per evitare squilibri profondi nella società e nella produzione di reddito e mantenere una sostenibilità complessiva dei sistemi previdenziali – spiega Giovanni Viani, responsabile del Sud-Est Europa di Oliver Wyman – sono necessarie politiche molto lungimiranti in termini di valorizzazione delle classi più anziane, formazione continua lungo tutta la carriera professionale, allargamento della platea dei lavoratori giovani, soluzioni di “tutorship generazionale” finalizzate a valorizzare il contributo dei più anziani nell’accelerazione dell’inserimento professionale dei più giovani”.
Attualmente solo il 10% dei lavoratori tra i 55 e i 65 anni sono in grado di completare nuovi compiti complessi che prevedono l’uso di tecnologia. Mentre la percentuale sale a 42 punti per gli adulti tra i 25 e i 54.
C’è bisogno di formazione, ma il XVIII Rapporto sulla formazione continua di Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) del 2018 racconta che l’Italia non raggiunge la media europea per quanto riguarda la formazione continua.
L’8,3% degli adulti italiani ha preso parte a corsi di formazione, contro il 10,3% della media europea. In Svezia, Danimarca si sfiora il 30%, in Francia e Olanda il 20%, nel Regno Unito il 15%. Inoltre il 40% degli adulti italiani non ha il diploma mentre in Europa la media è del 24%.