LA SFIDA DELLA QUALITÀ

Come analizzare e risolvere i problemi di qualità della produzione: l’esperienza di Savio e Friul Intagli

Il costo della non qualità nell’industria va oltre la “semplice” questione della conformità agli standard di certificazione. Attraverso gli interventi di esperti LEF e due case study aziendali (Savio Macchine Tessili e Friul Intagli Industries), vengono illustrate le implicazioni strategiche, di mercato e organizzative dei difetti e l’importanza di un approccio preventivo basato sul coinvolgimento interfunzionale e sull’utilizzo di strumenti di analisi e controllo del processo.

Pubblicato il 25 Mar 2025

Qualità della produzione


La qualità della produzione di un bene o di un servizio rappresenta oggi un fattore essenziale del business, spesso addirittura un prerequisito per la sopravvivenza stessa di un’organizzazione. Durante un recente “LEF Operations Talk” promosso da LEF, esperti del settore hanno posto l’accento su una prospettiva più ampia e profondamente radicata nel concetto di “costo della non qualità” con un’analisi che va ben oltre i costi diretti legati a scarti e rilavorazioni, per esplorare le implicazioni strategiche, di mercato e organizzative che i difetti possono generare.

Guardare la qualità della produzione con gli occhi del cliente

“Spesso l’attenzione si concentra sul punto in cui si manifesta lo scarto o l’evento di spreco”, spiega Marco Lo Sardo, Lean & Digital Operations Expert LEF, che invita invece a considerare il vero impatto di un difetto o di una non conformità dal punto di vista del cliente. “La non qualità della produzione può portare alla perdita definitiva del cliente, con conseguenze difficilmente recuperabili”, dice.

Lo Sardo ha poi richiamato l’attenzione sul modello Toyota, dove la qualità è posta al vertice dei valori aziendali, strettamente interconnessa al servizio clienti, al costo e al tempo di consegna. Spesso si riscontra invece un divario tra lo scarto interno rilevato e i “claims” del cliente, il che sottolinea una criticità diffusa: la mancanza di un sistema efficace di ascolto e di traduzione delle esigenze del cliente in azioni concrete a livello produttivo.

Mentre il controllo di prodotto, pur accurato che sia, non può garantire l’assenza di deviazioni, il controllo del processo, attraverso il monitoraggio dei parametri chiave e l’implementazione di un flusso PDCA (Plan-Do-Check-Act), permette di agire sulle cause profonde dei problemi, assicurando una qualità intrinseca nel prodotto finale. Il punto di partenza di questo approccio è l’analisi e la comprensione profonda del feedback del cliente.

La qualità della produzione e l’importanza della pianificazione

“Sebbene ampiamente utilizzati, i tradizionali controlli di qualità della produzione presentano diverse criticità: sono costosi, spesso distruttivi e, soprattutto, reattivi, intervenendo a valle del processo quando il difetto è già presente”, aggiunge Marco Pasquin, Lean & Digital Operations Expert LEF. Un approccio, questo, che può compromettere i tempi di consegna e i costi, inficiando anche gli altri due pilastri delle esigenze del cliente, oltre alla qualità stessa.

La tendenza a concentrare gli sforzi sui problemi più urgenti può distogliere l’attenzione dalla ricerca di soluzioni strutturali e durature. E in effetti nel paradigma dei “sette step della qualità” la fase di pianificazione (la “P” del ciclo PDCA) è spesso sottovalutata. Una definizione accurata del problema è invece il primo passo fondamentale per evitare di scartare soluzioni efficaci fin dall’inizio. L’analisi sul “gemba”, ovvero il luogo in cui il lavoro viene effettivamente svolto, è un altro principio cardine, essenziale per comprendere a fondo le dinamiche e le cause dei problemi.

Pasquin ha poi illustrato alcuni strumenti di analisi, dal diagramma di Ishikawa (o a lisca di pesce) all’FMEA (Failure Mode and Effect Analysis) e all’analisi di Pareto (80/20), sottolineando l’importanza di prioritizzare gli interventi concentrandosi sulle (poche) cause radice che generano la maggior parte dei problemi. L’utilizzo di analisi grafiche e di tecniche statistiche più avanzate come il Six Sigma può ulteriormente supportare la risoluzione preventiva dei problemi, come nell’esempio della correlazione tra l’umidità del materiale plastico e la pressione di iniezione nelle presse.

Pasquin mette però in guardia contro un’interpretazione acritica dei dati statistici, ricordando come la correlazione non implichi necessariamente una causalità, e come l’esperienza e la capacità di analisi umana rimangano insostituibili.

Focalizzarsi sul processo

Introducendo la cura della qualità di processo, si riduce drasticamente la necessità di controlli a valle e la variabilità del prodotto finito. La standardizzazione, non del prodotto ma delle attività aziendali, è un elemento chiave per ridurre la difettosità e migliorare la qualità della produzione.

Nonostante i benefici evidenti, l’investimento di tempo necessario per implementare una qualità di processo si scontra spesso con la pressione della quotidianità e l’urgenza di risolvere i problemi immediati. La tendenza a rimandare la pianificazione a un futuro indefinito è un errore comune. Il consiglio di Pasquinè “dedicare un tempo specifico e programmato (ad esempio, due ore a settimana) alla risoluzione dei problemi di qualità, considerandolo un investimento fondamentale per il futuro dell’azienda”.

Il filo interrotto: svelare le insidie nascoste nel processo produttivo

La discussione sul costo della non qualità ha trovato concretezza attraverso la presentazione di casi aziendali reali.

Elia Fornasier, Production & Engineering Manager presso Savio Macchine Tessili, ha condiviso un’esperienza illuminante riguardante il restyling di un cilindro guidafilo per macchine roccatrici, macchinari complessi che operano alla fine del processo di filatura. Savio, azienda con una storia centenaria e parte di un gruppo multinazionale, si occupa di trasformare la spola di filato in rocche di grandi dimensioni, verificando la qualità del filo e garantendo la sua continuità attraverso un sistema di giunzione.

Il caso specifico riguarda la modifica geometrica di un cilindro guidafilo esistente, un intervento apparentemente semplice data la consolidata esperienza progettuale dell’azienda. La principale variabile introdotta era rappresentata dal passaggio a una nuova area di lavorazione meccanica dotata di impianti multifunzionali capaci di tornire e fresare contemporaneamente.

Nonostante un iter di sviluppo che aveva seguito le procedure standard, dalla progettazione al prototipo fino alla preserie e alla messa in produzione senza apparenti problemi, l’azienda si è trovata ad affrontare un inatteso inconveniente una volta che la macchina è andata in funzione. Un cliente che utilizzava un particolare tipo di filato, il lino, ha riscontrato problemi di pelosità e perdita di filo su alcune rocche. L’analisi preliminare ha rivelato che il filo tendeva a saltare da una cava all’altra del cilindro, causando un avvolgimento non uniforme e problemi nella fase successiva di lavorazione sui telai.

La prima reazione è stata quella di verificare la progettazione, escludendo anomalie data la natura di restyling del prodotto. L’attenzione si è quindi spostata sul nuovo processo produttivo, ipotizzando errori di formazione del personale o di programmazione delle macchine. L’intervento immediato ha coinvolto gli esperti interni, che hanno agito sulla formazione, sulla modifica dei parametri macchina e sull’introduzione di un controllo manuale a fine processo. Sebbene questo abbia permesso di bloccare il problema e di consegnare un prodotto accettabile, la soluzione si è rivelata non sostenibile nel lungo termine. La riduzione delle tolleranze macchina ha portato infatti a una maggiore variabilità delle lavorazioni e a un aumento significativo dei costi legati ai frequenti setup e ai controlli aggiuntivi.

Di fronte a questa situazione Savio ha intrapreso un approccio più strutturato, formando un team multifunzionale che ha coinvolto figure provenienti dalla produzione, dalla progettazione e da altre funzioni aziendali. Utilizzando strumenti semplici come il diagramma di Ishikawa e la mappatura del processo, il team ha rianalizzato l’intero ciclo produttivo, partendo dalle cause potenziali fino alla manifestazione del difetto. Si è così verificato che la causa radice non risiedeva in variabili di processo o errori operativi, ma in un dettaglio del modello CAD: due superfici non erano perfettamente raccordate. Questo difetto, di entità minima, non si manifestava finché le macchine operavano in condizioni ottimali, ma emergeva quando le prestazioni delle macchine si avvicinavano ai loro limiti, ad esempio a causa dell’usura degli utensili. La correzione del modello CAD ha permesso di ristabilizzare il setup delle macchine, riducendo la variabilità e, in un secondo tempo, eliminando la necessità dei controlli manuali aggiuntivi, con conseguente risparmio di costi e stabilizzazione del processo.

La lezione chiave tratta da questo caso, come sottolineato da Elia Fornasier, non riguarda tanto la sofisticazione degli strumenti utilizzati, quanto l’approccio metodologico adottato. La fretta di risolvere il problema, concentrandosi sulle cause più apparenti e affidandosi prevalentemente allo specialista di un singolo settore, aveva portato a una soluzione temporanea e costosa. Solo attraverso la comunicazione e la collaborazione tra le diverse funzioni aziendali è stato possibile individuare la vera causa radice e implementare una soluzione efficace e sostenibile. Il superamento del lavoro a silos e la promozione di una cultura di collaborazione interfunzionale si sono rivelati la chiave per affrontare e risolvere efficacemente i problemi di qualità.

Un approccio proattivo alla qualità della produzione: come nasce l’arredamento senza difetti

Un’ulteriore prospettiva sul tema del costo della non qualità e sull’importanza di un approccio preventivo è stata offerta da Mara Sgubin, Sustainability Manager di Friul Intagli Industries, azienda leader mondiale nello sviluppo e produzione di componenti e mobili in kit. Friul Intagli, con una solida tradizione familiare e una significativa presenza internazionale, esporta i suoi prodotti in oltre 40 paesi, testimoniando l’importanza della qualità in un contesto globale.

Mara Sgubin ha illustrato l’approccio proattivo dell’azienda verso la qualità, strettamente legato al miglioramento continuo (kaizen) e all’ottimizzazione costante dei processi. L’obiettivo primario è la prevenzione delle difettosità, attraverso l’analisi preventiva dei rischi connessi alla loro generazione. Questo approccio si basa sul coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali, riconoscendo il valore aggiunto del lavoro in team multifunzionali per il conseguimento dei risultati attesi.

Friul Intagli si avvale di un ampio ventaglio di strumenti per implementare questa strategia preventiva. La mappatura di processo dettagliata permette di analizzare le interazioni tra le diverse fasi e di identificare gli aspetti critici. La matrice causa-effetto e il diagramma di Ishikawa sono utilizzati per mettere in relazione le cause potenziali di un problema con i loro effetti. L’FMEA (Failure Mode and Effect Analysis) rappresenta uno strumento fondamentale per valutare i rischi potenziali e le loro conseguenze nelle varie fasi del processo, consentendo di intervenire preventivamente sulle cause di difettosità. La standardizzazione dei processi, gli studi MSA (Measurement System Analysis) per garantire l’affidabilità degli strumenti di misura, i sette strumenti di qualità, l’SPC (Statistical Process Control) per monitorare la stabilità dei processi attraverso l’analisi dei dati, e i piani di controllo per definire le azioni da intraprendere nelle diverse fasi produttive, completano il quadro degli strumenti utilizzati.

I vantaggi derivanti da questo approccio preventivo sono molteplici: limitazione dei costi legati alla difettosità (scarti, rilavorazioni, contenziosi con i clienti), miglioramento della qualità del prodotto e della soddisfazione del cliente, incremento dell’efficienza dei processi produttivi, riduzione dei tempi di produzione e dei costi operativi, e un rafforzamento della reputazione aziendale. Inoltre, si ottiene una significativa mitigazione dei rischi legati alle difettosità.

Per illustrare concretamente l’applicazione di questi principi, Mara Sgubin ha presentato un caso relativo a un nuovo progetto: una scocca di un armadio destinato al mercato di massa con una soluzione di “Easy Assembly” che prevedeva l’incollaggio dei fianchi e della schiena, in sostituzione del tradizionale assemblaggio meccanico con chiodini.

Data la novità del processo di incollaggio e gli elevati volumi produttivi previsti (milioni di pezzi), l’azienda ha ritenuto cruciale adottare un approccio preventivo e proattivo fin dalle fasi di sviluppo del progetto e dell’avvio produttivo. È stato costituito un gruppo di lavoro interfunzionale con l’obiettivo ambizioso di “zero difetti e scarto” nel processo speciale di incollaggio. Grazie all’applicazione degli strumenti precedentemente descritti (mappatura di processo, matrice causa-effetto, FMEA, kaizen, SPC e piani di controllo), l’avvio del nuovo impianto produttivo e della produzione ha raggiunto risultati eccellenti.

Dopo circa un anno dall’inizio della produzione, i claims cliente sono risultati marginali (inferiori a 100 PPM) e lo scarto interno è rimasto al di sotto dello 0,3%, una percentuale attribuibile principalmente ai test di validazione dell’incollaggio.

“Questo successo è stato il risultato di un lavoro di squadra efficace, caratterizzato da interazione e confronto costruttivo tra le diverse funzioni aziendali. L’attenzione posta sulla prevenzione è stata fondamentale, considerando che la produzione di milioni di pezzi avrebbe reso estremamente costosa qualsiasi azione di “sorting” o ricontrollo in caso di difettosità seriali”, sottolinea Sgubin.

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Redazione

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