Ambrosetti Innovation Index, Italia ancora nelle retrovie per capacità d’innovazione

L’edizione 2023 dell’Ambrosetti Innosystem Index sottolinea le poche luci e le tante ombre del sistema dell’innovazione italiano, che nella classifica dei 22 Paesi si posiziona quartultima penalizzata soprattutto dai pochi investimenti in innovazione e la scarsa attrattività per capitali e talenti esteri. L’Italia eccelle, invece, per la qualità e quantità della ricerca accademica, che però fatica a tradursi in innovazione per l’industria.

Pubblicato il 26 Mag 2023

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L’Italia si posiziona al quartultimo posto per quanto riguarda l’ecosistema dell’innovazione, ancora distante da Paesi come Regno Unito, Austria, Francia e Germania: è questa la fotografia che emerge dall’edizione 2023 dell’Ambrosetti Innosystem Index (AII 2023).

A guidare la classifica c’è Israele con un punteggio di 6,1 (su una scala da 1 a 10), che ha guadagnato ben cinque posizioni in classifica, passando dal 6° posto in classifica del 2018 al primo nel 2021, seguito da USA (5,8 punti) e Regno Unito (5,7).

Situazione ben diversa per l’Italia, che si trova nelle posizioni di retrovia, precisamente in 19a posizione, con un punteggio pari a 4: in leggera crescita (+0,07) rispetto al 2018 ma senza variazioni in classifica. Solo Spagna (3,8), Lettonia (3,7) e Grecia (3,5) fanno peggio del nostro Paese. A pesare sono soprattutto i pochi investimenti in innovazione (sia pubblici che privati) e la scarsa capacità di attrarre investimenti e talenti dall’estero.

Positivo invece il 4° posto conquistato per efficienza e qualità della ricerca accademica, con oltre 33mila citazioni ogni 1.000 ricercatori, ma c’è ancora margine di miglioramento per tradurre questa eccellenza scientifica in valore economico e industriale.

Per la prima volta oltre al confronto tra i Paesi, il rapporto presenta anche il confronto tra le performance dell’innovazione di 242 regioni europee.

L’Italia investe ancora troppo poco in innovazione

La quartultima posizione fra i 22 Paesi con gli ecosistemi dell’innovazione più avanzati rivela un’Italia con alcune aree di eccellenza, ma con importanti ritardi nella capacità di trasformare questo potenziale in investimenti e opportunità di sviluppo.

Gli investimenti sono proprio una delle aree in cui l’Italia mostra maggior arretratezza. È solo 18a per risorse finanziarie a supporto dell’innovazione con 4,3 punti, a grande distanza dalla prima posizione occupata da Israele (7,5 punti).

Un piazzamento condizionato dalla scarsità di investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo (R&S), solo 18a con una spesa pari allo 0,9% del PIL (contro il 4,8% di Israele), dal basso sviluppo del Venture Capital (18a, trenta punti sotto gli USA), dai ridotti investimenti diretti del governo in R&S (17a con appena lo 0,5% del PIL, contro l’1.07% della Norvegia), non compensati dalla buona performance in termini di incentivi fiscali del governo per investire in R&S (8a con lo 0,10% del PIL).

Poca attrattività per capitali e talenti esteri

Decisamente da migliorare anche la capacità di sviluppare un ambiente attrattivo per investimenti e nuovi talenti e di stimolare sinergie collaborative tra università e imprese: l’Italia si colloca in terz’ultima posizione (20a) con 1,4 punti, mentre a fare da capofila è Israele con 6,2 punti.

Solo il 6% della spesa del sistema universitario italiano è destinata alla R&S, contro il 35,4% della Cina, e solo l’11,3% di questi investimenti viene finanziata dall’estero, mentre è oltre la metà in Israele. Male anche per il tasso di mobilità netta degli studenti: l’Italia si classifica al 18° posto con un flusso netto negativo di studenti, confermando il deflusso di risorse umane verso altri Paesi.

Una situazione che ha effetti anche sul capitale umano a disposizione del Paese, cioè la presenza di risorse qualificate per svolgere l’attività di ricerca e sviluppo, che vede l’Italia 15° con un punteggio di 7,4, mentre al primo si posiziona la Germania (9,1).

Israele spicca per numero di persone dedicate a R&S (21,2 ogni mille occupati), mentre l’Italia in questo caso si trova circa a metà classifica (12° posto) con un valore di 13,7. Solo il 22,7% dei laureati italiani lo sono in materie STEM (14°), percentuale che sale al 35,9% in Germania, che guida questa classifica.

Una ricerca accademica d’eccellenza che non si traduce in innovazione industriale

Le performance dell’Italia migliorano quando si analizza l’efficacia dell’ecosistema innovativo: in questo ambito, complessivamente, si trova al 10° posto, mentre sul podio salgono Cina, Usa e Giappone.

In particolare, l’Italia eccelle, conquistando il 4° posto, per quanto riguarda l’efficienza e la qualità della ricerca accademica, affermandosi come uno dei poli internazionali per la generazione di nuova conoscenza, con più di 20mila pubblicazioni citabili e con oltre 33mila citazioni ogni 1.000 ricercatori.

D’altra parte, risulta ancora critica la capacità di tradurre l’eccellenza scientifica in valore economico e industriale, con appena 0,3 domande di brevetto depositate a livello mondiale (WIPO) ogni mille abitanti (15° posto).

Un lieve peggioramento si registra anche guardando al tasso di successo dell’attività brevettuale, dove l’Italia passa dal secondo posto del 2018 al quinto del 2021 con il 65% di brevetti ottenuti in rapporto al numero di domande di brevetto presentate.

L’analisi regionale: cinque regioni italiane nelle prime 100 posizioni

Per quanto riguarda l’analisi delle performance di innovazione delle regioni europee, sul podio generale si piazzano le regioni scandinave: la danese Hovedstaden conquista il 1° posto (con un punteggio pari a 6,8 su una scala da 1 a 10), al secondo si trova la regione dell’Île de France (6,7), seguita dalla regione di Stockholm (6,6).

L’Italia si classifica nelle prime cento regioni dell’ARII 2023 con la Lombardia che si posiziona al 31° posto, l’Emilia-Romagna (52°) e la Provincia Autonoma di Trento (63°), il Piemonte (92°) e il Lazio (98°).

Ampliando l’orizzonte di analisi oltre la 100° posizione, si incontrano il Veneto (101°), la Toscana (105°), il Friuli-Venezia Giulia (110°) e la provincia autonoma di Bolzano (117°). Guardando al resto della classifica, la Liguria si trova in 120° posizione, l’Umbria alla 138°, le Marche alla 141°, l’Abruzzo alla 145° e la Campania al 156° posto. Ancora più indietro Puglia (180°), Sicilia (181°) e Calabria (186°).

Scendendo nel dettaglio, il Piemonte emerge come regione italiana che investe la maggior quota di risorse nelle attività di Ricerca e Sviluppo, il 2,34% del PIL regionale, conquistando la 12° posizione fra le regioni europee. Il Lazio, invece, si distingue nell’ambito della popolazione con formazione terziaria (26%) e per quota di chi ha completato un percorso di studi in un ambito scientifico-tecnologico (42,3%). La Provincia Autonoma di Trento è la prima regione italiana per percentuale di lavoratori inseriti in percorsi di formazione e sviluppo di nuove competenze (14,8%) e per forza lavoro impegnata nelle attività di R&S (1,07%).

La Liguria è la regione italiana con la maggiore quota di individui che utilizzano regolarmente Internet, l’85,2% della popolazione, mentre l’Emilia-Romagna è la prima per tasso di famiglie con accesso alla rete larga, pari al 92,4%. Su questo tema le regioni italiane scontano ancora un leggero ritardo, considerando che le top performer in Europa vantano un tasso di utilizzo quasi totale (99-100%).

La Lombardia è al 1° posto a livello italiano per brevetti depositati presso lo European Patent Office con 1.547 domande depositate, seguita da Emilia-Romagna (823) e Veneto (643). Tuttavia, il divario da colmare rispetto alle regioni leader in Europa è molto ampio: Bayern (7.656), Île-de-France (6.705) e Nordrhein-Westfalen (5.248).

Le proposte

Nel Rapporto, la Community Innotech identifica quattro proposte da cui è necessario partire per sostenere l’ecosistema italiano dell’innovazione, così da favorire le scelte dei policy maker e dei principali stakeholder.

La prima è massimizzare il potenziale di innovazione. Per farlo, suggerisce il rapporto, occorre: avvicinare le risorse per la ricerca all’obiettivo definito dalla Commissione Europea (3% del PIL); rafforzare le strutture di ricerca e creare “campioni nazionali” di R&S su alcune Key Enabling Technologies come previsto dal PNRR; finanziare e creare programmi di ricerca di lungo periodo; definire una governance unitaria della ricerca, che coordini gli sforzi e definisca “la rotta” da seguire.

La seconda proposta è quella di tradurre i risultati della ricerca in innovazione favorendo lo sviluppo di un sistema di Trasferimento Tecnologico efficace che punti alla cooperazione e alla collaborazione dei centri di competenza pubblici e privati regionali. Bisogna dunque rafforzare gli uffici di trasferimento tecnologico (UTT) attraverso la costruzione di percorsi formativi specifici per le risorse e l’adozione di modelli operativi evoluti e portare a termine la realizzazione degli Ecosistemi dell’innovazione territoriali previsti dal Miur: nell’ambito del PNRR sono stati stanziati 1,3 miliardi di euro per la creazione di 12 Ecosistemi dell’innovazione sul territorio nazionale.

La terza proposta mira a trasformare l’Italia in un “Paese per unicorni”, capace di attrarre investimenti e stimolare la nascita e la crescita di realtà imprenditoriali innovative e all’avanguardia. per fare questo bisogna agire sull’ecosistema imprenditoriale, semplificando le procedure burocratiche e offrendo ad imprenditori e investitori un quadro economico-giuridico chiaro. Inoltre, serve incentivare lo sviluppo del Venture Capital come volano per la crescita delle imprese. L’Italia presenta ancora un gap importante rispetto agli altri Paesi europei: nel 2022 sono stati effettuati investimenti per circa 1.179 milioni di euro, pari a l’1% degli investimenti effettuati in Europa.

Infine, l’ultima proposta è quella di lanciare un New Deal delle competenze, definendo nuovi programmi per l’insegnamento delle competenze digitali lungo tutto il percorso di formazione, intervenendo già nei primi anni di scuola, ma anche favorendo la crescita del numero degli iscritti agli istituti tecnico superiori (ITS), dove rafforzare i percorsi ad hoc dedicati al digitale. Nelle Università bisogna potenziare le lauree professionalizzanti anche prevedendo nuovi percorsi di studio con elementi legati alla transizione digitale ed ecologica, mentre nel mondo del lavoro serve definire meccanismi di aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori basate sull’apprendimento permanente (Lifelong Learning).

“Dall’Indice emerge un’Italia con grandi potenzialità che tuttavia fatica a costruire un ecosistema dell’innovazione valorizzante. È invece più che mai necessario cogliere le opportunità offerte dalle tecnologie e governare la trasformazione digitale, così da perseguire uno sviluppo sostenibile”, commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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