Con l’allentamento delle misure restrittive legate all’emergenza Covid-19 e la progressiva riapertura delle attività produttive, le tecnologie abilitanti Industria 4.0 saranno uno strumento ancora più importante per le imprese manifatturiere, contribuendo alla loro stessa resilienza. Ne è convinto Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano e Presidente del Competence Center Made, che ha spiegato in un’intervista a Innovation Post il ruolo e le potenzialità di strumenti come i Big Data, l’IoT, la Realtà Aumentata, soprattutto alla luce della pianificazione a livello aziendale della cosiddetta “fase 3”, quella in cui la nostra economia tornerà alla normalità.
“Negli ultimi mesi, con il lockdown, abbiamo dovuto ripensare il nostro modo di lavorare”, spiega. “Prima vedevamo le tecnologie di Industria 4.0 solo come strumento per aumentare la produttività e competitività, ma oggi si deve cambiare prospettiva: saranno sempre più il prerequisito per tenere aperte le aziende. Penso ad esempio, in ambito industriale, a chi ha potuto contare su sistemi di monitoraggio e controllo da remoto, riuscendo a continuare le proprie attività”.
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Le tecnologie abilitanti e la ripresa delle attività
Come spiega Taisch, ognuna delle nove tecnologie abilitanti di Industria 4.0 potrà dare il proprio contributo nel permettere alle aziende di essere competitive e, in ultima istanza, di sopravvivere. Come i robot collaborativi interconnessi, che “ci aiuteranno nel distanziamento sociale”, permettendo ad esempio di diminuire gli assembramenti nei siti produttivi, senza comportare però un aumento della disoccupazione. “Non credo che ci sia questo rischio – continua Taisch – e si vede nei numeri. La Germania e la Corea hanno il più alto tasso di robot ma allo stesso tempo un livello di disoccupazione tra i più bassi al mondo”.
Una riduzione degli assembramenti che potrà essere anche raggiunta con l’utilizzo della Realtà Aumentata, ovvero portando in remoto la visualizzazione. “Vedo una grande potenzialità nella manutenzione e nel collaudo a distanza: si può vedere lo stato di una macchina e guidare gli operatori senza creare un assembramento”, spiega il Presidente del Made. “Se oggi questi sistemi sono stati utilizzati come uno strumento per risolvere un problema contingente, domani diventeranno consuetudini: non si dovranno più spostare le persone, che potranno lavorare da remoto, anche da casa”.
Additive Manufacturing (che “diventerà a tutti gli effetti una tecnologia di produzione”), simulazione e Digital Twin (che “permette di predire il comportamento degli impianti e consente di prendere decisioni in tempo reale, rendendo i modelli più affidabili”), integrazione verticale e orizzontale, fino all’interconnessione degli impianti (per mezzo di IoT, Cloud, Cybersecurity): sono gli strumenti che rendono competitive e resilienti le fabbriche.
Un tema, quello dei dati, su cui Taisch insiste particolarmente. “Non siamo ancora abituati a usare un Data driven decision making. Oggi abbiamo molte più informazioni a disposizione, quindi dobbiamo cambiare il modo di organizzare i nostri impianti. Con la Big Data Analytics dobbiamo vedere i dati come materie prime per i processi industriali. La competitività del futuro sarà di chi potrà gestire l’impianto e la filiera nel migliore dei modi, e per farlo serve una grande mole di dati e figure aziendali che sappiano prendere decisioni utilizzandoli”.
“Just in time” o “Just in case”?
Lo shock provocato dal lockdown ha reso evidente i limiti di politiche aziendali centrate sul tema del “Just in time”, in cui si predispone una supply chain “a efficienza perfetta”, ricevendo tutto ciò che serve al momento dell’ordine del cliente. Un sistema spesso contrapposto all’accumulo di riserve in magazzino, che vede la propria priorità nella business continuity.
“Quello del ‘Just in time’ è un modello sviluppato in un periodo in cui i sistemi erano stabili dal punto di vista economico e logistico”, spiega Taisch. “Ha funzionato bene e dovrà ancora funzionare nel futuro. Quello che abbiamo visto nelle ultime settimane ha più a che fare con la resilienza: la necessità della supply chain globale di resistere a eventi imprevedibili, nell’istante in cui si vengono a verificare. Non credo che potremo rinunciare al ‘Just in time’, perché il consumatore vuole prodotti che costino poco e che vadano nella direzione della sostenibilità. Questo modello permette di non sprecare materiale e ridurre l’impatto ambientale. Forse dovremo trovare il giusto compromesso tra efficienza e resilienza, in un ridisegno della supply chain globale”.
Il modello della “servitizzazione”
Un altro tema tornato protagonista in questo ultimo periodo è quello della “servitizzazione”, ovvero il business model (abilitato dall’Industria 4.0) che sfrutta la trasformazione efficace del dato in informazione per arrivare a trarre un profitto anche dal servizio offerto, e non solo dall’asset posseduto dall’impresa.
“È un modello di cui abbiamo visto l’efficacia anche in queste settimane, anche se in termini diversi”, continua Taisch. “Passeremo sempre più dalla vendita di macchine e impianti al noleggio di essi. Lo stiamo già sperimentando come consumatori, se pensiamo ad esempio al car sharing. Sebbene vi siano già molti esempi funzionanti, c’è ancora una cultura imprenditoriale che vede nel possesso dell’asset il proprio vantaggio. Il valore non è nello stato patrimoniale, ma nella capacità di creare valore dagli asset a disposizione. Un sistema abilitato anche dalle tecnologie di Industria 4.0, come il controllo in remoto: se noleggio una macchina a qualcuno, devo essere in grado di controllare da remoto l’utilizzo che se ne fa”.
I miglioramenti al Piano Transizione 4.0
In Italia le tecnologie abilitanti di Industria 4.0 sono al centro del Piano Transizione 4.0, che favorisce lo sviluppo delle aziende attraverso un sistema di incentivi sotto forma di crediti d’imposta. Di recente il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha aperto alla possibilità di rafforzare questi incentivi attraverso un innalzamento delle aliquote e delle soglie di finanziamento per ricevere gli incentivi.
Se infatti gli investimenti privati saranno un ingrediente fondamentale in ambito tecnologico nella cosiddetta “fase 3”, le imprese continueranno ad avere anche problemi di liquidità e, soprattutto, di sopravvivenza. “Nel potenziare il Piano Transizione 4.0 ci si dovrà concentrare sulla parte digitale – spiega Taisch – e non sugli asset fisici delle macchine. Dobbiamo lavorare sul software: connettere le macchine, estrarne dati e informazioni. È un ambito in cui gli investimenti non sono così onerosi, mentre i ritorni su di essi sono più facili, veloci e importanti. Si tratta infatti di tecnologie ormai mature: innovare non vuol dire più sperimentare, ma investire in produttività, in qualcosa che ti consentirà già oggi di essere molto più competitivo”. Il Presidente di Made si augura quindi che eventuali revisioni degli incentivi vadano nella direzione della parte digitale delle tecnologie abilitanti. “È sul software che dobbiamo aiutare le nostre imprese: vedo ancora troppa carta in giro. Chi è passato al digitale, resiste sul mercato”.
Qui sotto è possibile rivedere l’intervista di Innovation Post a Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano e Presidente del Competence Center Made.