L’export italiano ha già ripreso a crescere, dopo il brusco stop imposto dalla pandemia e ci sono tutte le condizioni perché questa crescita prosegua anche nei prossimi anni. Queste le indicazioni principali che arrivano dal rapporto Sace, secondo cui le esportazioni italiane di beni in valore cresceranno quest’anno dell’11,3%, un dato in rialzo rispetto alle precedenti previsioni e più che compensando quanto “perso” nel 2020 (secondo lo scenario base). In particolare, in questa prima fase dell’anno l’export ha viaggiato a un tasso del +24%, confrontandosi però con un inizio 2020 fortemente segnato dalla pandemia e dalle limitazioni imposte dal lockdown. C’è poi uno scenario che Sace non si sente di escludere del tutto, quello cioè che prevede nuove restrizioni nella fase finale dell’anno, che limiterebbe la crescita dell’export italiano a un più modesto +7,2%.
Tenendo per buono lo scenario base, si tratterebbe di un recupero migliore rispetto a quanto previsto per i principali paesi europei , consentendo così all’Italia di mantenere invariata la propria quota di mercato mondiale anche nel 2021. Una notizia che è particolarmente positiva per il settore industriale nazionale: buona parte delle esportazioni italiane provengono infatti dal manifatturiero, mentre circa il 45% della produzione manifatturiera italiana è esportata. In particolare le prospettive appaiono positive per gli operatori di apparecchi elettrici e meccanica strumentale, che beneficeranno dei piani di rilancio varati da diversi partner commerciali, e per il settore dell’automotive, grazie soprattutto all’impulso green. La ripresa del ciclo degli investimenti globali potrà inoltre favorire anche alcuni beni intermedi, specie metalli e gomma e plastica; proseguirà la crescita della chimica, dopo aver chiuso il 2020 in positivo con il forte traino della farmaceutica. Quest’anno rimarrà invece soltanto parziale il recupero dell’export italiano di servizi (+5,1%), maggiormente colpito – specie nella componente del turismo – dalle misure restrittive e dalla persistente incertezza. La vera e propria ripresa dell’export in questo ambito avverrà solamente nel 2022.
Ma dove si sta dirigendo l’export italiano in questa fase? Sace individua quattro diversi raggruppamenti: il primo include quei Paesi dove le vendite di beni italiani sono attese in rapida ripresa già nel 2021 e con una dinamica intensa anche nel triennio seguente. Tra questi ci sono importanti partner storici del nostro Paese come Stati Uniti, Germania e Svizzera, anche la Cina e diversi mercati dell’Asia pacifico, nonché Polonia ed Emirati Arabi Uniti. Per un secondo gruppo il recupero sarà completo già nell’anno in corso, ma seguirà una dinamica più contenuta negli anni successivi: tra questi ci sono alcuni mercati di sbocco dipendenti dai corsi delle materie prime (come Brasile, Arabia Saudita, Malesia e Ghana), nonché altre destinazioni europee (ad esempio Francia, Paesi Bassi) e non solo (tra cui Senegal). Tra i Paesi accumunati da un recupero dei valori pre-crisi ancora incompiuto nel 2021, pur mostrando buone prospettive di crescita in un orizzonte temporale più ampio, vi sono Regno Unito, Spagna, Turchia, Messico, India, Sudafrica e Thailandia. Maggiori criticità nella ripresa si riscontrano, infine, nell’export verso quei mercati che scontano, in alcuni casi, fragilità economiche e politiche, in altri, gli effetti depressivi della domanda derivanti dalla pandemia. Fra di essi sono presenti, ad esempio, Romania, Grecia, Argentina e Sri Lanka. In ogni caso, secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Economia e della Finanza, Daniele Franco – intervenuto nel corso della presentazione del rapporto Sace – per quanto riguarda la fase post pandemia 2023-25 l’obiettivo è avere tassi di crescita più rilevanti rispetto a quelli registrati passato.
A questo potrebbe contribuire anche il PNNR: una piena realizzazione delle riforme strutturali annunciate e del loro mantenimento in un orizzonte di medio periodo, potrebbe favorire uno sviluppo dell’export del 2,7% rispetto al modello base, come riflesso delle riforme volte ad accrescere la produttività dei fattori, con ricadute positive sul Pil potenziale. Questa maggiore crescita sarebbe trainata da un’ulteriore spinta degli investimenti, sostenuti da un contesto istituzionale e regolatorio maggiormente efficiente e competitivo, con condizioni finanziarie più favorevoli.