Ci sono valori produttivi che indicano lo stato di salute dell’economia di un Paese, come quelli della cartella clinica di un paziente. E la diagnosi, per l’Italia, non accenna a cambiare, non accenna a migliorare: un Paese immobile, acciaccato, indebolito. Come paralizzato sul letto d’ospedale. Questa volta l’ennesima conferma della patologia italiana – bassa produttività, bassa crescita, zavorre di vario tipo –, viene dagli specialisti in analisi ed esami dell’Istat.
Nel 2018 la produttività del lavoro, cioè il rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate, è diminuita dello 0,3% (+1,3% nel 2017), a fronte di una crescita delle ore lavorate (1,3%). La produttività del capitale, misurata come rapporto tra valore aggiunto e iniezioni di capitale, è aumentata dello 0,1%.
Nello stesso anno, il valore aggiunto dei beni e servizi sul mercato è cresciuto, in volume, dell’1% (dopo il +2,7% del 2017). Ma alla lieve crescita del valore aggiunto non ha contribuito la produttività totale dei fattori, che indica i miglioramenti nella conoscenza della forza lavoro e nell’efficienza dei processi produttivi nelle aziende, che risulta in calo dello 0,2% dopo gli aumenti registrati dal 2009 in poi.
La diminuzione della produttività del lavoro registrata in Italia lo scorso anno (-0,3%) è più contenuta di quella del Regno Unito (-0,5%), mentre gli altri principali partner europei segnano ancora una dinamica positiva (+0,3% in Spagna, +0,5% in Germania e +1,6% in Francia) seppure a ritmi meno sostenuti che in precedenza.
Rispetto agli altri Paesi europei, in Italia si osserva un calo maggiore della componente dei servizi di informazione e comunicazione e dei servizi alle imprese.
La produttività è un indicatore chiave di crescita economica e competitività, anche per la valutazione della performance economica del Paese nei confronti internazionali. Spiegano gli analisti economici dell’Istat: “la produttività è il rapporto tra il volume dell’output e il volume degli input che concorrono alla sua realizzazione. Misura l’efficienza di come i fattori primari, lavoro e capitale, sono impiegati nel processo di produzione per produrre un determinato livello di output”.
Mentre “la produttività totale dei fattori misura gli effetti del progresso tecnico e di altri fattori propulsivi della crescita, tra cui le innovazioni nel processo produttivo, i miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e delle tecniche manageriali, i miglioramenti nell’esperienza e nel livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro”.
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Il coma di lungo periodo
Ma guardando ai numeri di scenario, e di più ampio respiro – che sono ancora più rilevanti e significativi di quelli contingenti –, la diagnosi diventa cronica: nel periodo compreso tra 1995 e 2018 la produttività del lavoro ha registrato una crescita media annua dello 0,4%. Con incrementi medi del valore aggiunto e delle ore lavorate rispettivamente pari allo 0,7% e allo 0,4%. In pratica, valori, se non da coma profondo, da debolezza congenita.
Tra il 2009 e il 2014 la produttività del lavoro è cresciuta a fronte di una riduzione sia delle ore lavorate (-1,3%), sia del valore aggiunto (-0,4%). E le analisi Istat certificano: “dal 2014 al 2018 entrambi i fattori primari, lavoro e capitale, registrano dinamiche positive seppure inferiori a quelle del valore aggiunto: le ore lavorate crescono in media dell’1,4%, l’input di capitale dello 0,4%, e il valore aggiunto dell’1,7%. Ne deriva una crescita della produttività del lavoro dello 0,3%”. Ecco: +0,3% in cinque anni. E +0,9% nel quinquennio precedente, dal 2009 al 2014; -0,3% dal 2003 al 2009.
Italia sempre sotto la media europea
I dati di Eurostat confermano poi che la dinamica della produttività del lavoro in Italia è più bassa di quella di molte altre economie europee, e che dalla crisi del 2008 a oggi non si è verificato un cambio di tendenza. Nel periodo 1995-2018, la crescita media annua della produttività del lavoro in Italia è stata decisamente inferiore a quella dell’Unione europea (1,6%), e dell’area Euro (1,3%). Tassi di crescita in linea con la media europea sono stati registrati da Francia (1,4%), Regno Unito (1,5%) e Germania (1,3%). Per la Spagna il tasso di crescita (0,6%) è stato più basso della media europea ma più alto di quello dell’Italia.
Il divario rispetto alle altre principali economie europee è particolarmente ampio in termini di evoluzione del valore aggiunto: in Italia è cresciuto dello 0,7% medio annuo sul periodo, con un ritmo molto meno sostenuto che nella media dell’Ue (2%). Le ore lavorate, al contrario, hanno registrato una dinamica molto simile a quella del complesso dei Paesi europei: +0,3% annuo nella media Ue e +0,4% in Italia; solo in Spagna l’aumento è stato decisamente più accentuato (+1,3%).
Nel periodo 2014-2018, la produttività del lavoro ha avuto dinamiche molto differenziate. In Italia è aumentata in misura modesta (+0,3% medio annuo), con un ampliamento del divario rispetto all’Ue (+1,4%) e all’area Euro (+1,0%). Il ritmo di crescita risulta contenuto anche se confrontato con quello registrato in Francia (+1,3%), Germania (+1,1%), Spagna e Regno Unito (entrambe +0,7%).
La produttività del capitale
La produttività del capitale è un indicatore di quanto il capitale venga utilizzato in modo efficiente per generare sviluppo. Investimenti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) consentono alle nuove tecnologie di entrare nel processo di produzione e sono considerati un importante fattore di crescita della produttività. Anche gli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale, come la ricerca e sviluppo, contribuiscono allo sviluppo e al miglioramento della produttività generale. Nell’arco dell’intero periodo 1995-2018 nel nostro Paese la produttività del capitale registra un calo medio annuo dello 0,7%, che risulta da un aumento dell’input di capitale (+1,4%) superiore a quello del valore aggiunto (+0,7%).
L’esame della produttività per tipologia di capitale evidenzia come il calo riguardi tutte le tipologie di input: la componente relativa alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è diminuita del 2,3%; la produttività del capitale immateriale non-ICT (che comprende la Ricerca e sviluppo) dell’1,9%; quella del capitale materiale non-ICT dello 0,3%.
Con qualche segnale d’inversione di tendenza e di ripresa in tempi più recenti: i risultati del periodo 2014-2018, indicano una crescita della produttività del capitale dell’1,3% in media d’anno. In questa fase, si osserva una crescita moderata dell’input di capitale (+0,4% in media d’anno) con una dinamica molto maggiore del capitale ICT (+4,1%) e di quello immateriale non ICT (+3,6%).
Produttività del lavoro debole nell’industria
Nell’arco dell’intero periodo 1995-2018, sempre secondo le analisi dell’Istat, i settori di attività economica che registrano i tassi di crescita medi annui più alti della produttività del lavoro sono i servizi d’informazione e comunicazione (+2,1%), le attività finanziarie e assicurative (+1,2%) e l’agricoltura (+1,5%).
Variazioni negative caratterizzano il settore delle attività professionali (-2,3%), delle costruzioni (-1,3%) e il settore dell’istruzione, sanità e servizi sociali (-1,4%). Il comparto dell’industria in senso stretto segna un incremento medio annuo dello 0,9%, quindi in pratica procede ma a rilento. Frenato, ingessato, un po’ come l’intero andamento economico e produttivo del Paese.