Entro il 2030 l’Italia potrebbe colmare il gap di crescita con il resto d’Europa, a condizione che vengano sfruttate appieno le risorse messe a disposizione da Next Generation EU: sono queste le previsioni di Prometeia, società di consulenza, sviluppo software e ricerca economica per banche, assicurazioni e imprese.
Secondo un rapporto pubblicato dall’azienda, nel 2030 il PIL italiano potrà segnare un balzo di oltre dieci punti percentuali rispetto al 2019, con una crescita media nei dieci anni vicina al 2%. Un balzo che avverrà, avverte l’azienda, soltanto con un utilizzo efficiente dei fondi del Next Generation EU, accompagnato da riforme e da un salto di qualità in termini di produttività, che consentirà di accelerare il recupero nei prossimi tre anni (+3,8% medio annuo tra il 2021 e il 2023) e portare la crescita del PIL in linea con quella degli altri paesi dell’Eurozona.
Indice degli argomenti
I numeri della crisi
L’economia del nostro Paese, che veniva da un ventennio di crescita zero, è stata duramente colpita dalla pandemia di Covid-19, con il PIL del 2020 che ha registrato una perdita dell’8,9% rispetto ai dati del 2019, la perdita di 435 mila posti di lavoro e un debito pubblico che è passato dai 27,9 miliardi a cui era sceso nel 2019 a 156,3 miliardi.
Importanti sono state anche le cifre mobilitate per cercare di contenere gli impatti della pandemia, con i 108 miliardi spesi nel 2020 (che rappresentano il 6,6% del PIL) e gli 85 miliardi messi a disposizione per il 2021. Cifre a cui va sommato il contributo del Next Generation Eu, circa 10 miliardi per l’anno in corso, secondo il rapporto.
Per l’Italia l’azienda stima che le spese aggiuntive (dunque non quelle già programmate) finanziate con questi fondi siano pari a 120 miliardi, utilizzando tutti i sussidi a fondo perduto disponibili (81 miliardi) e circa 40 miliardi di prestiti, cui si ricorrerebbe però solo a partire dal 2024. Un ammontare totale in linea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, tuttavia, è ancora in corso di definizione.
Il contributo alla domanda sarà in media di un punto di PIL all’anno, che si andrà a sommare al rimbalzo post-pandemia e alle politiche fiscali del Governo italiano. Uno stimolo importante, ma non sufficiente a permettere un pieno recupero dei livelli pre-crisi prima del quarto trimestre 2022.
L’Italia farà peggio di altri Paesi (Germania e Francia), ma molto meglio rispetto alle due crisi passate. In questo contesto, lo spread Btp-Bund potrà scendere sotto i 90 punti base a fine 2023.
Gli scenari per il 2030
Per quanto concerne gli effetti a medio termine, Prometeia ipotizza due scenari: in uno, l’utilizzo dei fondi europei faciliterà la messa in campo di alcune delle riforme che da anni l’economia italiana stenta ad adottare, oltre ad avviare riallocazioni verso settori più innovativi, favorendo così una ripresa della produttività.
In questo scenario, nel 2030 il livello del PIL italiano potrebbe essere al di sopra di quello del 2019 del 10,5%, con un debito pubblico al 135% del PIL: una prospettiva cautamente ottimista che, nella seconda metà del decennio, vede una crescita del PIL pro-capite in linea con quella dei maggiori paesi dell’area.
Nel secondo scenario, invece, l’azienda disegna un sentiero in cui l’utilizzo dei fondi europei si traduce in uno stimolo temporaneo di domanda, non accompagnato da riforme strutturali né in grado di avviare una trasformazione produttiva verso settori con livelli di produttività più elevati.
In questo scenario, il potenziale di risorse messe in campo dall’Europa non è colto a pieno, impedendo all’economia italiana di colmare il gap di crescita che si è progressivamente formato negli ultimi 25 anni: il PIL sarebbe superiore al livello 2019 solo del 5,8%, con il debito pubblico ancora al 151% del Pil. Uno scenario non drammatico, ma tale comunque da relegarci, forse definitivamente, tra le economie deboli dell’area.
Nello scenario base, il NGEU costituisce così il seme di una nuova capacità fiscale europea; al contrario, nel secondo, rimarrà un’esperienza a termine. Infine, in entrambi gli scenari si ipotizza una politica monetaria che rimanga ultra-accomodante.
La Cina e gli Stati Uniti tornano a correre
L’Italia, come tutta la zona euro, sta pagando il ritardo della campagna vaccinale. Le prospettive sono, invece, migliori per quei Paesi che sono riusciti a uscire meglio dalla situazione emergenziale causata dalla pandemia, sia per un migliore controllo dei contagi che per una campagna vaccinale più rapida ed efficiente.
È questo il caso di Cina e Stati Uniti che dopo aver registrato prestazioni economiche migliori nel 2020 rispetto ai Paesi europei (con una crescita del 2,2% per la Cina e una contrazione del -3,5% per gli Stati Uniti), registreranno una crescita superiore nel 2021: le stime Prometeia indicano un tasso di crescita al 6,2% negli Stati Uniti, 8,6% in Cina e 4,2% nell’Eurozona.
Contribuisce a questa divergenza uno stimolo fiscale senza precedenti negli Stati Uniti – circa 15% del PIL nel 2020, mentre quello da poco approvato è pari a circa il 9% del PIL – e un forte aumento degli investimenti da parte di aziende pubbliche in Cina.
Lo stimolo di 2,800 miliardi di dollari che l’amministrazione Usa sta impegnando nel biennio 2021-2022 rappresenta un’opportunità di crescita per l’economia mondiale, ma si accompagna a rischi non trascurabili e si colloca in una fase dell’evoluzione pandemica e di cambiamento politico che potrebbero limitare gli effetti positivi degli spillover dagli Usa al resto del mondo.
Se, infatti, negli Stati Uniti (come in Europa) l’industria ha recuperato il livello pre-crisi e ci si attendono ritmi di espansione in linea con i valori medi registrati prima della pandemia, i servizi più esposti alla pandemia rimangono in una situazione di fragilità. A ciò si aggiunge una politica commerciale che, come atteso, non fa menzione di ripristinare la sua posizione pre-Trump. Un orientamento che avrà ripercussioni negative sulle aree relativamente più aperte, come l’Eurozona, anche nel medio periodo.
La dimensione dello stimolo fiscale americano ha portato comunque ad un repentino aumento dei tassi di interesse a lunga. La spinta che lo stimolo darà alla ripresa ha alimentato preoccupazioni che si possano creare pressioni inflazionistiche persistenti e che la Fed (la Banca Centrale americana) possa intervenire prima del previsto. Un rischio che non si verificherà, secondo il rapporto, che prevede un’inflazione nel 2021 che nella media d’anno si attesta attorno al 3%, grazie alla ripresa dell’economia in atto e al recente aumento del prezzo del petrolio, ma che si stabilizza su valori prossimi al 2% successivamente.
In tale scenario, sembrerebbe ridotto il rischio che l’inflazione salga significativamente e che le aspettative a lungo termine si disancorino da valori prossimi al 2%. Di conseguenza, sembrerebbe improbabile che la Fed alzi i tassi prima della metà del 2023.
Anche in Europa l’inflazione è prevista in crescita rispetto al valore minimo del 2020, ma si tratta in larga parte di fattori temporanei che non destano preoccupazioni: Prometeia ritiene, infatti, che la Bce rimarrà impegnata a mantenere condizioni finanziarie favorevoli alla crescita. Nello scenario ipotizzato, ciò si traduce nel pieno utilizzo delle risorse del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), nella prosecuzione dell’acquisto di titoli pubblici per 20 miliardi di euro al mese e in altre aste TLTRO (asta di liquidità in cui la BCE concede un prestito alle banche richiedenti) oltre, ovviamente, al mantenimento dei tassi di policy sugli attuali livelli e il reinvestimento dei titoli che arrivano in scadenza.