La ripresa passerà da una nuova politica industriale fatta di giovani, digitalizzazione e competenze

Da elemento scatenante della crisi economica ad acceleratore di un cambiamento auspicato a più riprese nel corso degli ultimi anni: il Covid-19 ha cambiato e cambierà il modo di fare politica industriale. Questo il tema, con un’attenzione particolare nei confronti della trasformazione digitale e del ruolo dei giovani, del Talk Event virtuale “Trasformazione digitale e politiche industriali in Europa – Giovani, lavoro, competenze, futuro”, organizzato dall’associazione Women&Tech, dal Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano e da SAP Italia nell’ambito della Milano Digital Week. 

Pubblicato il 29 Mag 2020

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Da elemento scatenante di una crisi con ben pochi precedenti nella storia dell’economia globale a opportunità e acceleratore di un cambiamento auspicato a più riprese nel corso degli ultimi anni: il Covid-19, nel bene o nel male, ha cambiato e cambierà il modo di fare politica industriale. Proprio di questo si è parlato, con un’attenzione particolare nei confronti della trasformazione digitale e del ruolo dei giovani, nel Talk Event virtuale “Trasformazione digitale e politiche industriali in Europa – Giovani, lavoro, competenze, futuro”, organizzato dall’associazione Women&Tech, dal Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano e da SAP Italia nell’ambito della Milano Digital Week.

“Tutti siamo piombati nella trasformazione digitale a livello globale”, ha esordito Gianna Martinengo, imprenditrice e presidente di Women&Tech. “Abbiamo capito che le tecnologie possono servire per studiare, insegnare, lavorare, comunicare, comprare, vendere, tutte attività considerate ‘normali’ ma che, quando siamo stati costretti a piombare nel mondo virtuale, hanno spesso trovato le aziende impreparate. Oggi si dà finalmente un significato concreto alla necessità di dare seguito alle parole chiave ‘change management’, con la brand reputation delle imprese che ha modificato pesantemente i propri indicatori”.

Temi in divenire e realtà già conosciute, come il tema del Digital Divide (con un accesso a internet non ancora disponibile per tutti) o dell’importanza delle competenze trasversali. Temi a cui oggi più che mai serve dare una risposta in Europa, in Italia e nelle aziende attraverso percorsi concreti e innovativi di politica industriale.

Dai Big Data all’Iot: gli acceleratori per le imprese

Di fronte alla crisi da Covid-19, le aziende italiane si sono trovate a dover fronteggiare un’emergenza sistemica scoppiata in un periodo molto breve. È ad esempio quanto successo a Sap Italia, azienda che sviluppa software industriali, che ha reagito mettendo a disposizione dei clienti attività di supporto e strumenti in modalità temporaneamente gratuita per la gestione delle catene di fornitura, la pianificazione della domanda, la trasformazione delle catene produttive ecc.

“Il virus ci ha mostrato concretamente cosa sia un fenomeno esponenziale: qualcosa che non si percepisce ma che in brevissimo tempo diventa totalmente fuori controllo”, spiega Matteo Losi, Head of Presales Innovation and Architects di EMEA South SAP. “L’importanza dell’utilizzo di informazioni e dati si vede in momenti come questo, per essere in grado di controllare i fenomeni in maniera fattuale. La pandemia ha mostrato i limiti del nostro modo di pensare, un modo lineare e non esponenziale: sfruttiamo troppo riferimenti ripetitivi come il tempo, ma i fenomeni esponenziali non si ripetono”. Nelle emergenze le aziende si devono dotare di strumenti per tenere sotto controllo questi fenomeni e le conseguenze di essi sul proprio business. “La gestione dei dati e la digitalizzazione sono sempre più fondamentali per essere consapevoli che le proprie scelte vadano nella direzione giusta (osservando cosa succede nella supply chain, nell’attività produttiva ecc), mentre dall’altra parte bisogna dotarsi di piattaforme che facciano questa analisi in modalità continua e costante (dai Big Data all’IoT, che sono i presupposti per lavorare in questa nuova realtà)”.

Per fare qualche esempio di come Sap abbia risposto all’emergenza, è stato creato uno strumento free charge per la gestione della forza lavoro, misurando l’eventuale “effetto panico” negli addetti tramite una piattaforma che ne osserva lo stato d’animo e l’attività, rilevando ad esempio se ha bisogno di assistenza. Oppure sono stati messi a disposizione strumenti per la gestione delle catene di fornitura con una rete di transazioni B2B che permette alle aziende di proporre il proprio listino ad un network di circa quattro milioni di fornitori, facendo transazioni di acquisto e vendita in maniera del tutto digitale e aiutando le imprese a smaltire le eccedenze dei magazzini e a raccogliere capitale circolante.

La “nuova integrazione europea” nella risposta alla crisi

Le esigenze del tessuto economico italiano di fronte all’emergenza Covid-19 sono state avanzate con forza anche nella comunità europea: si è dovuto “europeizzare il dibattito” già dai primi giorni di marzo, come dice Irene Tinagli, Europarlamentare e Presidente della commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo, che nel corso del convegno ha illustrato i punti di forza e le varie declinazioni degli strumenti contenuti nella proposta della Commissione Europea per il Recovery Fund. “Già dalla seconda settimana di marzo è risultato evidente che il Covid-19 sarebbe stato un problema che avrebbe travolto l’intera Unione Europea, se non fossimo stati in grado di mettere in campo risposte forti”, continua Tinagli.

“È partito un lavoro enorme di negoziazione per far sì che l’Europa usasse strumenti nuovi: tantissime riunioni, discussioni, negoziati per discuterne i contenuti, fino al raggiungimento di risultati straordinari: non avrei mai immaginato che il Parlamento Europeo avrebbe approvato a grande maggioranza risoluzioni che chiedevano di fare bond europei, recovery bond e recovery fund. Momenti di crisi come questo ci stimolano a fare ciò che era inimmaginabile fino a qualche tempo fa. C’è stata un’accelerazione dei processi di integrazione europea e mi auguro che la spinta non si perda, mantenendo il senso di urgenza anche per una politica industriale davvero nuova, basata su digitalizzazione e transizione ecologica”.

Proprio l’accordo europeo e “l’utilizzo al massimo dei programmi europei” saranno fondamentali per il rilancio e la ripresa della nostra economia. “La politica industriale è una parola che si fa fatica da sempre a declinare in pratica”, sostiene Marco Leonardi, Professore Ordinario di Economia Politica del Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Milano, nonché consigliere del Ministero dell’Economia e delle Finanze. “C’è ad esempio tutta una parte di questo tema legata alla digitalizzazione, al green, all’automotive, alla siderurgia ‘verde’. Se da una parte l’UE incentiva molto queste trasformazioni, dall’altra ci si scontra con le difficoltà reali di settori come la siderurgia italiana: penso al sito di Taranto dove, tra scarsa occupazione e difficoltà locali, è complicato fare un progetto serio di cambiamento della produzione coi fondi europei. La politica industriale è fatta di tante scelte, spesso molto pratiche”.

Un altro tema introdotto da Leonardi è quello del passaggio della politica industriale da orizzontale a “di filiera”, senza dimenticare la possibilità della partecipazione pubblica, perché “lo Stato c’è sempre, dalla digitalizzazione della PA ai prestiti alle aziende, fino al salvataggio stesso delle aziende con le partecipazioni pubbliche”. Il tema per Leonardi sta nel definire “qual è il ruolo dello Stato, ruolo che in questo periodo è abbastanza forzato e necessario”.

Il ruolo dell’università e dei giovani

Il mondo dell’Università e della Ricerca avrà il compito di contribuire a “riscrivere ex novo la politica industriale”, usando le parole di Maria Letizia Giorgetti, Professore Associato di Economia Applicata del Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Milano. “Dobbiamo innovare e creare link tra gli aspetti economici, aziendali e tecnici della politica industriale, avvicinando i giovani in un momento di forte trasformazione come questo”, dice. “Abbiamo l’opportunità di riscrivere tutto senza trovarci a gestire un’emergenza a posteriori, ma anticipando il cambiamento: dobbiamo mettere al centro del programma per il futuro l’uomo e soprattutto i giovani”. Una politica industriale che deve essere politica dell’innovazione (soprattutto ambientale) e della formazione, in sinergia tra università, imprese e istituzioni.

Come ricorda Losi, offrendo un punto di vista aziendale, “per i giovani non basterà più essere fortemente specializzati in un’unica cosa, ma servirà la cosiddetta ‘T-shape’: una visione orizzontale delle competenze unita alla capacità di scendere in profondità nell’ambito scelto”. Le specializzazioni che saranno più utili sono le scienze, tecnologie e la matematica, ma senza dimenticare che nelle aziende sarà sempre più diffuso un approccio sistemico: “bisogna avere il contributo di filosofi, neuroscienziati, biologi, sociologi, architetti ecc.”, continua Losi. “Nelle aziende un problema non si affronta con le sole competenze di un’unica specializzazione. Su questo punto i modelli della scuola sono un po’ arretrati rispetto al modo di lavorare nelle imprese: ci sono gap da colmare che vengono risolti in modo un po’ brutale quando si entra nel mondo del lavoro”.

In questo contesto, tornando alla politica industriale per la ripresa, diventa fondamentale mettere in campo strategie di medio-lungo termine. “L’economia reale è troppo finanziarizzata, bisogna tornare ad un’economia reale senza scelte di short term adottando strategie di medio-lungo periodo: su questo il Governo deve intervenire partendo dai nostri punti di forza: meccanica, farmaceutica, chimica ecc.”, continua Giorgetti. “Dobbiamo fare sistema perché all’estero l’Italia non è mai stata in grado di farlo, bisogna aiutarsi a vicenda: se non lo si fa per altruismo va fatto per sano egoismo”.

Scendendo sul piano tecnico, “si deve superare il vecchio dibattito sull’incapacità dell’Italia di crescere per la forte presenza di PMI”, aggiunge Giorgetti. “Servono due politiche complementari: una per incentivare le imprese più grandi e una per le PMI, che esportano molto e possono essere molto competitive. Le nostre PMI, grazie all’Industria 4.0, possono ad esempio delocalizzare l’attività di Ricerca&Sviluppo in strutture esterne in cui diverse imprese si approvvigionano, superando così il limite secondo cui la PMI non ha gli strumenti per fare ricerca”.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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