Perché (anche) le arti sono utili all’industria 4.0

L’acronimo STEAM è quanto mai attuale per l’Italia. Perché invita ad applicare le conoscenze umanistiche alla quarta rivoluzione industriale

Pubblicato il 10 Ott 2017

Amor sacro e amor profano, Tiziano


In origine l’industria 4.0 ha legato il suo destino alle discipline cosiddette STEM. Un acronimo che riunisce scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Di cos’altro ha bisogno, in fondo, la quarta rivoluzione industriale, se non di scienziati, di ingegneri, di matematici, informatici ed esperti di nuove tecnologie? Di conseguenza, la scuola avrebbe dovuto spingere l’acceleratore su queste materie, per fornire agli studenti le competenze necessarie per affrontare l’avveniristico futuro di robot, oggetti connessi e internet onnipresente.

Negli Stati Uniti, però, in risposta alla linea STEM è subito nato il movimento STEAM. Quell’A in più sta per arti e indica che senza il contributo delle discipline più creative, come la letteratura, il design, la filosofia, l’innovazione avrebbe fatto fatica a raggiungere un più ampio spettro di persone.

Occhio al domani

Il suggerimento di unire alle materie più tecniche le umanistiche diventa quanto mai urgente in questo periodo, in cui l’Italia cerca la sua strada per strutturare la formazione dei lavoratori 4.0. La tentazione di declassare le discipline umanistiche a un sapere passatistico, polveroso e in fin dei conti infruttuoso allo sviluppo della tecnologia ha vita facile in una società in cui l’università è poco considerata, la disoccupazione giovanile è alta e spesso i laureati sono costretti a mestieri che non valorizzano le loro conoscenze, come di recente ha indicato l’OCSE. La conclusione spontanea è di additare gli studi umanistici come retrogradi e i loro saperi come superflui per un’economia che è affamata di informatica, big data e scienze biologiche.

Cammini congiunti

Eppure sono gli stessi lavoratori della rivoluzione digitale a evidenziare l’utilità che potrebbe derivare da un confronto con gli umanisti e le arti. Il caso dell’allenamento delle intelligenze artificiali è emblematico. Per insegnare a una rete neurale a riconoscere un’immagine, basta farle macinare migliaia di foto su Google o milioni di video su Youtube. Ormai è diventato relativamente facile, ammettono gli stessi sviluppatori. Altro è il linguaggio. Molto più complesso, poiché basato su regole economiche, su sottintesi e su una sintesi molto più spinta di quanto si immagini. Le macchine fanno fatica a capire il linguaggio e lo sviluppo di intelligenze artificiali in grado di comprenderlo appieno procede molto più a rilento.

Da sperimentare

In questo settore, come in altri, le discipline umanistiche potrebbero dare un contributo utile allo sviluppo della società del domani. Più che discutere su come dividere il mondo della scienza e della tecnica del futuro da quello delle arti di ieri, converrebbe ragionare su come farli convergere. Ad esempio contaminando alcuni settori di studi alle superiori o all’università. L’Italia, che è culla degli studi umanistici così come di invidiatissimi politecnici, ha le carte in regola per tentare questo rimescolamento delle carte. Senza snaturare il dna degli uni o degli altri, ma aggiungendo saperi e competenze. D’altronde, proprio il Rinascimento che con la sua pittura e la sua scultura ha reso l’Italia famosa al mondo, è stata una delle epoca in cui arte e scienza hanno camminato a braccetto.

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Luca Zorloni

Cronaca ed economia mi sono sembrate per anni mondi distanti dal mio futuro. E poi mi sono ritrovato cronista economico. Prima i fatti, poi le opinioni. Collaboro con Il Giorno e Wired e, da qualche mese, con Innovation Post.

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