Nel 2024 si stima che il budget per investimenti ICT delle aziende crescerà dell’1,9%, soprattutto per quanto riguarda Information Security, Business Intelligence, Big Data Management e Intelligenza Artificiale, confermando il trend degli ultimi 8 anni, con un dato superiore alle previsioni di crescita del PIL nazionale.
È quanto evidenziano i risultati della ricerca degli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, presentata all’interno di un evento dedicato alle sfide per start-up e imprese in ambito di tecnologie digitali e open innovation.
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Gli investimenti delle imprese e l’impatto delle tecnologie
Nonostante il complicato contesto economico, quindi, anche nel 2024 le aziende continueranno ad investire in ICT. Un suggerimento su quali saranno i trend maggiormente attenzionati viene dall’analisi della spesa realizzata nel 2023 e dai vantaggi che le imprese sono riuscite a implementare grazie a queste tecnologie.
Nelle grandi imprese, la spesa si concentra in particolare su sistemi di Information Security (57%), soluzioni di Business Intelligence e visualizzazione dati (45%) e di Big Data Management e architettura dati (37%). Ma, al quarto posto (31%), spiccano gli investimenti in Artificial Intelligence, Cognitive Computing e Machine Learning, in forte crescita rispetto all’anno scorso.
Secondo i manager intervistati, l’innovazione digitale ha portato un aumento di organico grazie a maggiore attrattività e crescita (per il 24% delle imprese), piuttosto che una diminuzione di personale per efficienza dei processi e utilizzo di automazione (come dichiara il 14%). Ma il principale impatto è stato soprattutto una crescita della qualificazione professionale, indicata dal 50% delle aziende.
In un mondo in costante cambiamento l’Open Innovation diventa un catalizzatore di trasformazione: nel 2023 l’86% delle grandi aziende italiane ricorre a pratiche di innovazione aperta, mentre nelle PMI la percentuale si ferma a poco meno della metà, con una crescita più lenta e contenuta.
“In un contesto di forte incertezza gli investimenti in digitale oggi sono percepiti dalle aziende come un asset strategico per competere sul mercato“, commenta Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking del Politecnico di Milano.
“La crescita degli investimenti, seppure con un approccio più attendista e in osservazione delle evoluzioni del contesto macroeconomico, è un dato positivo. Si evidenzia il contributo delle aziende di tutte le dimensioni, in particolare delle PMI che devono recuperare il gap accumulato negli ultimi anni. In un mondo in costante cambiamento, l’Open Innovation continua a dimostrare di essere un prezioso alleato, e le aziende hanno percepito l’urgenza di adottare nuovi modi di fare innovazione per essere reattive e rapide nel rispondere alle nuove esigenze, tra queste emerge il fenomeno del Corporate Venture Building ispirato al recente fenomeno degli startup studio”, aggiunge.
Nuovi ruoli legati all’innovazione
Nelle aziende italiane si diffondono nuovi modelli organizzativi e ruoli con responsabilità diffuse sull’innovazione. Il 41% delle grandi aziende ha formalizzato una Direzione Innovazione, il 51% ha definito figure di Innovation Champion, incaricate di favorire la diffusione di innovazione e il coordinamento con le Funzioni di business.
Il 74% ha adottato azioni di “Corporate Entrepreneurship” per stimolare approcci imprenditoriali tra la popolazione aziendale, soprattutto tramite formazione su competenze digitali e imprenditoriali (55%), stili di leadership indirizzati al change management (52%), spazi di action learning (35%), contest per raccogliere idee (32%).
Per il 47% delle grandi imprese la principale sfida per la trasformazione digitale è la mancanza di un adeguato livello di competenze digitali all’interno delle organizzazioni, seguito dalla reticenza delle persone ad adottare strumenti e soluzioni digitali per supportare l’attività lavorativa o favorire lo sviluppo di innovazione (44%).
Al terzo posto, 34%, la difficoltà ad attrarre e acquisire dall’esterno professionalità con adeguate competenze STEM e digitali. A fronte della riduzione del 10% dell’organico, negli ultimi 3 anni si è assistito alla crescita del 19%, grazie all’introduzione di soluzioni di Innovazione Digitale. Il dato più interessante è relativo alla crescita del livello di qualificazione professionale (upskilling e reskilling digitale) che ha interessato il 50% delle grandi e grandissime imprese italiane.
“Oltre a investire in tecnologia, le organizzazioni devono migliorare la capacità di ingaggiare in profondità le loro persone e di integrare l’innovazione nel business, rendendone visibile e misurabile l’impatto sulle performance”, commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy.
“Per avere successo, inoltre, le organizzazioni devono sforzarsi di prevedere e guidare l’impatto dell’innovazione su competenze e professionalità. La trasformazione digitale, se gestita adeguatamente, può rappresentare non solo un’opportunità di innovazione di business, ma anche un’occasione storica per favorire l’evoluzione delle mansioni e contribuire a creare un lavoro più attrattivo e sostenibile”, aggiunge.
Cresce la propensione delle aziende verso l’Open Innovation
Nel corso di questo anno ben l’86% delle grandi aziende italiane ha intrapreso iniziative di Open Innovation, confermando un trend positivo di costante aumento negli ultimi anni.
Una crescita confermata anche dalle PMI, nonostante una diffusione più lenta e contenuta. Si conferma maggiormente diffuso l’approccio “Inbound”, che si basa sull’assorbire opportunità dall’esterno, arricchendo il proprio patrimonio di innovazione interno.
Le iniziative “Outbound” sono meno frequenti ma vedono diffondersi nuovi modelli di innovazione e di venturing per la creazione e lo sviluppo di startup o spin-off per accelerare l’innovazione e sfruttare opportunità di mercato.
Oltre metà delle grandi aziende ha un budget dedicato ad iniziative di Open Innovation. Di queste, il 32% ha un budget autonomo e specifico, il 68% lo include in un budget più ampio dedicato all’innovazione.
Secondo le previsioni, le società di consulenza passeranno dal 25% al 18% delle preferenze nei prossimi tre anni, mentre i vendor e sourcer ICT crolleranno dal 24% al 14%. Le startup, che cinque anni fa erano preferite dal 10% dei manager, lo sono ora dal 20% e nei prossimi 3 anni si prevede saranno tra le principali fonti di innovazione secondo un manager su tre.
Cresce la collaborazione di PMI e grandi aziende con le startup
Un trend già registrato dalla ricerca, che evidenzia che nel 2023 il 58% delle grandi aziende intervistate ha collaborato con startup (nel 2018 era il 33%).
Una percentuale che sale all’80% considerando anche quelle che hanno in programma di farlo. Sono l’11%, invece, le PMI che lo fanno già, il 40% se si considerano anche quelle che lo hanno in programma.
La collaborazione presenta, oltre a vantaggi, anche sfide significative: c’è il rischio di impiegare tempi di sviluppo e implementazione superiori alle aspettative (44% delle imprese), la mancanza di coinvolgimento da parte delle Funzioni aziendali responsabili dell’implementazione della soluzione (43%) e la complessità nell’allineare gli obiettivi dell’azienda con quelli della startup (39%).
Negli ultimi 3 anni il 60% delle startup ha attivato collaborazioni significative con Università e centri di ricerca e il 54% con altre startup, ma nei prossimi 3 anni le grandi aziende saranno il fulcro principale per le collaborazioni per il 54% di loro.
Non senza criticità: il 40% delle startup sottolinea problemi di comunicazione e comprensione reciproca, soprattutto sul fronte dei termini di pagamento. I principali vantaggi sono legati alla creazione di nuovi canali commerciali e strategie condivise, l’acquisizione di visibilità e posizionamento, la possibilità di testare prodotti e servizi sul mercato.
L’approccio delle startup verso la sostenibilità
Il 76% delle startup ha attività direttamente legate a tematiche di sostenibilità, con un impegno significativo verso questi principi.
Questo impegno viene declinato soprattutto verso la dimensione ambientale della sostenibilità, mentre poco più di un terzo si indirizza verso gli aspetti sociali.
Più della metà delle startup utilizza gli SDG come riferimento per il business. Il 13% misura la propria carbon footprint, il 72% considerando anche le startup che hanno intenzione di farlo in futuro.
Tra quelle che adottano azioni in tal senso, ben i 2/3 del campione si avvale dello smart working per ridurre le emissioni legate agli spostamenti casa-ufficio o all’uso di energia in ufficio, quasi la metà acquista e/o utilizza tecnologie a minor consumo energetico e adotta soluzioni di economia circolare.