La trasformazione digitale è fondamentale per mantenere alta la competitività del sistema Paese, per abilitare la transizione verde e per promuovere un nuovo modello di cittadinanza attiva nell’epoca digitale. Tuttavia, l’ecosistema digitale italiano è in ritardo rispetto ai leader internazionali. Di questi temi si occupa lo Studio “Next Generation DigItaly: come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia e presentato oggi a Cernobbio. Obiettivo della ricerca è definire una strategia-Paese legata allo sviluppo di industria digitale italiana e all’integrazione di queste nuove tecnologie in tutti i settori.
L’Italia – spiegano gli analisti – non ha mai sviluppato una strategia di politica industriale specifica legata al digitale, un settore che sempre di più sta assumendo un ruolo centrale a livello tecnologico e strategico. Per definire le proposte chiave, nell’ambito del percorso di ricerca si è analizzato in profondità le politiche e le strategie esistenti a supporto del digitale, in Italia e in Europa; per poi mappare tutto l’ecosistema del digitale italiano e contrapporre i risultati dell’analisi rispetto ad alcuni best case internazionali individuati.
Nell’ambito della ricerca è stata lanciata una survey che ha coinvolto circa 130 imprese, quantificandone gli orientamenti ed i livelli di adozione del digitale. La survey ha evidenziato come i più grandi ostacoli all’adozione di tecnologie digitali in Italia siano la mancanza di una cultura digitale in azienda (52% delle aziende sondate) e la carenza di competenze (48%).
La ricerca ha evidenziato 3 messaggi chiave per il Sistema-Paese. Per promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale è necessario: accrescere il capitale umano digitale, dotare il Paese di una politica industriale del digitale, avanzare decisi con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Vediamo analisi e proposte per ciascuna di queste tre dimensioni.
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Un’Alleanza per il Lavoro del Futuro per sviluppare il capitale umano digitale
Non solo lo evidenzia la survey, secondo cui la carenza di competenze digitali è uno dei principali freni alla digitalizzazione, ma emerge anche da numerosi indicatori, tra cui il Digital Economy and Society Index della Commissione Europea: l’Italia è terzultima in Europa per il capitale umano digitale.
La carenza di competenze rischia di essere un vero e proprio freno alla competitività del Paese: sono circa 2,1 milioni i lavoratori a cui sviluppare skill digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze di mercato, mentre sono addirittura 20 milioni i cittadini a cui l’Italia deve fornire una formazione digitale di base entro il 2030, per centrare l’obiettivo del Decennio Digitale Europeo di raggiungere l’80% della popolazione con skills digitali di base entro il 2030.
Il problema del Paese non sono però solo le skills digitali di base, ma anche quelle avanzate: l’Italia è ultima in UE per numero di iscritti a corsi di laurea in materia ICT in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni mille abitanti, contro i 5,3 della Finlandia, leader in Europa.
La proposta contenuta nello studio è di sviluppare il capitale umano digitale lanciando un’Alleanza per il Lavoro del Futuro.
Per farlo, è necessario agire su più canali, formando più professionisti con competenze digitali avanzate all’interno del sistema scolastico, sostenendo l’upskilling e il reskilling della forza lavoro e usando il digitale come leva di inclusione sociale e per colmare i gap territoriali, generazionali e di genere. Lavorare in maniera efficace su questi tre canali richiede uno sforzo di collaborazione pubblico privata, per cui è necessario lanciare una vera e propria Alleanza per il Lavoro del Futuro tra sistema pubblico e sistema privato, che ponga le basi per uno sforzo sinergico per trasformare le competenze digitali da freno ad acceleratore del Paese.
Nell’Alleanza per il Lavoro del Futuro, il sistema pubblico si farebbe carico di:
- aumentare il numero di professionisti ICT formati da Università e ITS del Paese;
- impegno 80% digital literacy della PA e dei pensionati al 2030; più agevolazione e strumenti per la formazione continua;
- lanciare e finanziare un piano nazionale di upskilling/reskilling dei NEET e lavoratori con competenze obsolete.
Mentre il sistema privato avrebbe il compito di:
- amplificare lo sforzo pubblico con competenze, strumenti, infrastrutture e investimenti;
- impegno 80% digital literacy della forza lavoro al 2030, anche attraverso meccanismi di sostegno pubblico;
- mettere a disposizione investimenti, competenze, strumenti e infrastrutture per supportare il piano di formazione.
L’Italia deve dotarsi di una politica industriale specifica per il digitale
Attualmente, il comparto ICT italiano risulta sottodimensionato rispetto ai competitor europei: non tanto nel numero di aziende, dove il Paese è 4 in Europa dietro a Polonia, Francia, Germania; ma è soprattutto nel dimensionamento medio delle aziende che l’Italia stenta, in nona posizione in UE.
Il dimensionamento ridotto delle aziende italiane è un fattore di debolezza per crescere sui mercati internazionali e per creare valore e occupazione in tutto il Paese. Se, infatti, le aziende ICT italiane avessero un fatturato medio pari a quello delle aziende tedesche – calcolano gli analisti – l’Italia generebbe 249 miliardi di Euro di PIL in più, pari al 14% del PIL del 2021.
Ma non è solo l’industria del digitale ad essere debole: anche l’integrazione delle tecnologie digitale negli altri comparti è uno degli ambiti di miglioramento del Paese, specie tra le aziende di piccole dimensioni, in cui il 44% mostra una totale assenza di utilizzo di tecnologie digitali.
Questo nonostante il digitale sia il più potente acceleratore di innovazione: lo evidenzia la survey, in cui le aziende evidenziano come il principale impatto del digitale sia quello di favorire innovazione di prodotto o di processo (73% dei rispondenti) e ricerca e sviluppo (67%).
La proposta di Policy contenuta nello studio è di dotare il Paese di una politica industriale del digitale.
In primo luogo, una politica industriale del digitale in Italia deve necessariamente guardare alle PMI, che sono quelle maggiormente in ritardo nella corsa al digitale. Bisogna quindi favorire un vero e proprio digital rebirth delle PMI, stimolandone l’integrazione del digitale all’interno dei propri processi, affiancando agli strumenti di policy già presenti (come ad esempio Transizione 4.0 per beni strumentali) con nuovi incentivi strutturali, accessibili e di medio periodo per lo sviluppo di canali digitali (es: e-commerce, post vendita, customer care, etc), lo sviluppo della formazione di competenze e l’adozione di strumenti per la crescita della produttività e la collaboration (anche nella filiera).
Inoltre, una nuova politica industriale deve lavorare sulla valorizzazione del capitale pubblico e privato per il digitale, facendo leva sulle risorse finanziare di soggetti pubblici (es. CDP, Fondazione Enea Tech) e privati per creare massa critica nel mercato del venture capital e favorire lo sviluppo di campioni nazionali del settore ICT.
L’ultima direttrice su cui sviluppare la politica industriale per il digitale è quello dell’open innovation: qui è necessario stimolare gli investimenti corporate in open innovation e rafforzare il ruolo dei Technology Transfer Officer/Centri di Ricerca/Incubatori per rendere più efficace la funzione di trait-d’union tra ecosistema dell’innovazione e sistema economico-finanziario (aziende, venture capitalist).
Il Paese deve continuare ad avanzare con decisione sul PNRR
Il PNRR rappresenta un’opportunità storica per accelerare sulla digitalizzazione del Paese, grazie ai suoi interventi per la digitalizzazione delle PA e per lo sviluppo di infrastrutture digitali moderne e competitive. L’85% delle aziende sondate ha fiducia che il PNRR possa accelerare la digitalizzazione del Paese e dal PNRR le imprese si aspettano un impatto trasformativo che porti a più banda, meno carta e più competenze: ovvero maggiore connettività, dematerializzazione dei processi e skills digitali.
“L’Italia del digitale mostra un ritardo da colmare rispetto ai competitor europei su almeno altre tre direttrici”, dichiara Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. “Il primo è quello delle competenze digitali, dove il Paese emerge come uno dei più deboli in Europa, classificandosi terzultima in UE nella componente del capitale umano digitale del Desi (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea. Il secondo è relativo al comparto ICT privato, che risulta più frammentato e caratterizzato da aziende medio piccole e poco attrezzate per la crescita internazionale e l’attrattività dei talenti. Infine, l’Italia mostra un basso livello di integrazione digitale nel comparto produttivo, soprattutto per quanto riguarda le PMI: se, infatti, le aziende più grandi del Paese hanno già colmato il gap digitale (grazie anche alle iniziative a supporto messe in campo negli ultimi anni e rifinanziate dal PNRR), le aziende di più piccole dimensioni mostrano livelli di adozione del digitale ancora troppo bassi rispetto al panorama competitivo internazionale”.
Secondo Alec Ross (Distinguished Adjunct Professor, Bologna Business School; Board Partner, Amplo; già Senior Advisor for Innovation, US Secretary of State), Advisor scientifico della Ricerca “La distinzione tra industria digitale e industria non digitale sta diventando una distinzione senza significato. Ogni azienda, ogni settore e ogni Paese sta diventando digitale o, se non lo è, sta morendo, indipendentemente dal fatto che si vendano software o produzioni agricole. Eppure, l’Italia è ancora al 18° posto in termini di digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’UE. Particolarmente preoccupante è il gap relativo alla digitalizzazione del capitale umano, che colloca il Paese al terzultimo posto nell’UE. Per superare questa situazione, è necessario un nuovo approccio, incluso nelle raccomandazioni della ricerca, che allinei aspettative e comportamenti di aziende e istituzioni: la nostra proposta è quella di una “Alleanza per il Lavoro del Futuro”, che delinea e propone una distinzione di responsabilità tra settore pubblico e settore privato per lo sviluppo e l’integrazione del digitale in Italia”.
Per Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia “Il digitale è una forza di crescita e sviluppo, sostenibile e inclusivo, per il nostro Paese. In particolare oggi, in una fase in cui, anche grazie agli investimenti e azioni del PNRR”, secondo la Candiani, “possiamo colmare il gap di innovazione con altre nazioni e sfruttare tutte le leve che la tecnologia offre ad imprese e Pubblica Amministrazione per modernizzarsi e affrontare le nuove sfide globali. Con questo studio abbiamo identificato tre aree di azione chiare. Lo sviluppo di competenze digitali, per favorire un’occupazione qualificata e allargare i benefici del digitale ai cittadini, favorendo allo stesso tempo l’innovazione di imprese pubbliche e private, la promozione di ecosistemi digitali per accelerare la digitalizzazione delle PMI e portare un contributo significativo alla crescita economica italiana. Tutto questo accade nel momento migliore in cui abbiamo una chiara traiettoria di iniziative con il PNRR e investimenti significativi in digitale: con il nostro piano Ambizione Italia stiamo infatti investendo 1.5 miliardi di dollari in innovazione nel Paese e siamo attivi su tante collaborazioni pubblico-privato per fare in modo che il digitale sia un pilastro fondamentale per far avanzare l’Italia. Siamo pronti a unire le forze con tutti gli attori in campo per rendere concrete le tre azioni propose: competenze digitali per il capitale umano italiano, un comparto digitale made in Italy e infine accelerazione sul PNRR semplificando accesso ai programmi e fondi”.
La ricerca ha evidenziato alcuni elementi migliorativi per assicurare un’implementazione efficacie del PNRR:
- dettagliare e condividere con i differenti stakeholder milestone ed obiettivi intermedi relativi agli interventi presenti nel «Piano Italia Digitale 2026» relativi alla digitalizzazione della PA e alla realizzazione della banda larga;
- ampliare lo scope del «Piano Italia Digitale 2026» attraverso la definizione di obiettivi e milestone per la digitalizzazione dell’ecosistema produttivo, prevedendo meccanismi di co-investimento specifici per le PMI per accelerarne la trasformazione digitale;
- coinvolgere il sistema privato, le associazioni di categoria e i cittadini nell’implementazione del PNRR e nella trasformazione digitale del Paese;
- semplificare le procedure per l’accesso ai fondi ed ai finanziamenti del PNRR, prevedendo misure ispirate a criteri di certezza e immediatezza per l’erogazione dei fondi.
Lo studio
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