Il mondo va verso l’Industry 4.0 e anche la classifica del World Economic Forum si adegua. Il Rapporto 2018 sulla competitività globale prende in considerazione 60 nuovi parametri (su 98 totali) e per la prima volta dal 2008 assegna il primo posto agli Usa (86,5 punti), mentre l’Italia è stabile al 31° posto (70,8). Dietro gli Usa Singapore (83,5), Germania (82,8), Svizzera (82,6) e Giappone (82,5).
Il succo della nuova graduatoria però è che 103 economie su 140 prese in esame hanno un punteggio uguale o inferiore a 50 punti su un massimo di 100 per quanto riguarda la capacità di innovazione. In pratica sembra che si stia profilando uno dei pericoli del nuovo paradigma industriale, un divario forte fra chi si è adeguato e spinge verso l’innovazione e chi rimane indietro.
Una differenza che può essere interna (in Italia fra grandi e piccole imprese fra Nord e Sud del Paese) e fra aree del mondo che rischiano quindi di rimanere ancora più indietro. La Rivoluzione industriale corre e qualcuno non tiene il passo, come sottolinea anche Kalus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Wef che parla di “Un nuovo divario globale tra i paesi che comprendono le trasformazioni innovative e quelli che non le capiscono”.
Gli Stati Uniti, spiega il Rapporto, sono il paese ideale, ma il valore medio mondiale è di 60 punti. Ventuno paesi, di cui 18 nell’Africa subsahariana, non arrivano a 50 punti e il Chad chiude la lista 35,5 punti.
Il divario di competitività è profondo tra le regioni. Europa e Nord America ospitano sette delle dieci economie più competitive, le altre tre economia sono Singapore, Giappone e Hong Kong, mentre l’Africa subsahariana è particolarmente arretrata e in forte ritardo sono anche il Sud dell’Asia, l’America Latina e l’Eurasia.
Le diversità sono profonde anche a livello regionale. In Europa, ci sono quattro gruppi distinti di paesi con livelli di competitività molto diversi. In America Latina, Il punteggio del Cile (70,3, 33°) è quasi il doppio di quello di Haiti (36.5, 138°).
L’esistenza di queste sacche, osserva il Rapporto, è invece il risultato di politiche proattive e di leadership. E l’Industry 4.0 può aggravare queste differenze per i paesi che impreparati a sfruttare nuove opportunità.
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Italia ok per la Salute
Per quanto riguarda l’Italia il punteggio migliore (99) lo raggiunge nella Salute, bene anche per la stabilità macroeconomica (85, forse un po’ generoso), le infrastrutture (83 anche se il dato sulle strade si ferma a 54), ma scendiamo a 66 nell’Innovazione, a 60 punti nell’adozione delle tecnologie Ict e a 58 per il mercato del lavoro.
Le eccellenze le troviamo nel numero di pubblicazioni scientifiche, nella presenza di telefoni cellulari, ma andiamo molto male per la disponibilità di venture capital. Ma la qualità della manodopera si ferma al 40°posto e nella classifica dei paesi più aperti al commercio un paese esportatore come l’Italia non rientra fra i primi venti.
Le 12 leve della competitività
Che fare per migliorare la situazione? Il Wef indica la strada spiegando come sia necessario agire sulle 12 leve della competitività (istituzione, infrastrutture, Ict, stabilità macroeconomica, salute, skill, mercato, lavoro, sistema finanziario, dimensioni del mercato, dinamismo del business e capacità di innovazione).
“Non vi è compensabilità tra le leve della competitività: un sistema finanziario solido non può compensare la carenza di infrastrutture fisiche, così come l’adozione delle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT) non può compensare la mancanza di un ecosistema imprenditoriale e di innovazione. I paesi devono perseguire tutte e dodici le strade, ma creare una propria strategia di sequenziamento per bilanciare e concentrare gli sforzi, sfruttando capitali e tecnologie meno costosi”.
Investire nelle persone è fondamentale perché “salute, istruzione e competenze di una popolazione sono tra i principali motori della produttività”, l’apertura dei mercati (non esattamente il mood del momento) è un motore fondamentale per la competitività, senza dimenticare però la protezione sociale perché “l’apertura è un win-win tra i paesi e a volte un win-lose all’interno dei paesi”.
La creazione di un ecosistema dell’innovazione va ben oltre la ricerca e lo sviluppo. “Affinché le buone idee possano passare alla commercializzazione, sono altrettanto importanti alcuni fattori morbidi. Ciò include la capacità delle aziende di abbracciare idee dirompenti, l’atteggiamento nei confronti del rischio imprenditoriale, la diversità della forza lavoro e le strutture gerarchiche piatte nelle aziende”.
La tecnologia non è una pallottola d’argento ma deve essere combinata con altri fattori. Per questo è fondamentale che le economie forniscano un maggiore accesso alle tecnologie ICT alla maggior parte della popolazione, così come la presenza di istituzioni deboli – che comprendono la sicurezza, i diritti di proprietà, il capitale sociale, i controlli e gli equilibri, la trasparenza e l’etica, le prestazioni del settore pubblico e il governo societario – continuano ad essere il tallone d’Achille che ostacola la competitività, lo sviluppo e il benessere in molti paesi.
Il Rapporto sottolinea che l’importanza delle infrastrutture e del sistema finanziario, dell’agilità degli stakeholder – individui, governi e imprese – e di una leadership proattiva e lungimirante. per creare cicli virtuosi tra uguaglianza, sostenibilità e crescita.