Il Digitale sfiora i 70 miliardi, ma le imprese sono preoccupate

Pubblicato il 25 Ott 2018

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I numeri del Digitale sono in crescita, soprattutto nei settori più innovativi, con un mercato che arriva a sfiorare i 70 miliardi di euro. Ma Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, esprime una “profonda preoccupazione e delusione per le scelte che si stanno compiendo con questa legge di bilancio. Non mettiamo in dubbio che la manovra sia per l’espansione della domanda e dei consumi, ma ci chiediamo se sia anche costruttiva su ciò che crea vera e solida crescita come impresa e innovazione”.

L’innovazione è una priorità del Governo?

Gay ha elencato i tagli agli incentivi di Impresa 4.0, deplorato la mancanza di risorse per istruzione e formazione e osservato che se si intende favorire le Pmi non “è tagliando gli investimenti per le grandi imprese che si persegue questo scopo”.

Al governo suggerisce invece che se si vogliono favorire le Pmi bisogna irrobustire il fondo di garanzia e poi magari bisognerebbe introdurre la iperdeducibilità per le spese dei software e servizi fruiti su cloud o piattaforme web, potenziare la defiscalizzazione del capitale di rischio in imprese innovative e garantire una Pubblica amministrazione con un set di requisiti mini che la rendano efficace ed efficiente.

Sorge il dubbio che l’innovazione non sia una priorità”, dice, anche perché solo una minima parte dei 37 miliardi sono destinati agli investimenti.

Marco Gay

Sulla stessa linea il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che dice di “essere molto arrabbiato”, anche se questo non lo porta a calcare i toni perché preferisce privilegiare “la leggerezza dell’essere del pensiero forte”. Ma la società inclusiva di cui parla appare molto lontana da quella immaginata dalle forze di governo.

Il Digitale vale 68,7 miliardi e già nel 2018 supererà quota 70 miliardi

Con Giancarlo Capitani arriva il momento dei numeri che sono tutti positivi. Il Digitale è sempre in crescita e si avvia a superare la soglia dei 70 miliardi.

Il consuntivo 2017 vede il mercato attestarsi a quota 68,7 miliardi di euro, in crescita del 2,3%; nel 2018 la crescita prevista è del 2,3%, portando il totale a 70,2 miliardi. La crescita proseguirà nel 2019 (+2,8%) e nel 2020 (+3,1%).

I dati reali tuttavia, spiega Capitani, saranno inferiori a queste previsioni perché le stime di crescita sono state elaborate senza tener conto della riduzione degli incentivi piombata nel Documento Programmatico di Bilancio e nelle bozze della legge di bilancio.

Ed è un peccato perché, spiega Capitani, “l’esempio di Industria 4.0 ci insegna che le politiche virtuose creano una accelerazione guidata e governata dell’innovazione digitale del Paese”.

A macchia di leopardo

I numeri in crescita nascondono però andamenti diversi con l’ICT classica che sale solo dello 0,9% tra il 2017 e il 2020, mentre la corsa viene trainata da IoT, cloud, cybersecurity e mobile business che valgono un sesto del mercato nazionale.

Alla crescita contenuta dell’area dispositivi e sistemi (+2,2%) si contrappone il successo dei wearable (+29%) e la crescita di altri settori innovativi che, partendo da numeri bassi, portano a casa buone performance.

E’ il caso dell’intelligenza artificiale e cognitive computing cresciuta al tasso medio annuo del 61,4% fino a quota 79,8 milioni.

In crescita del 4,3% la domanda business spinta soprattutto dal 6,5% delle utility e dal 6% delle filiere che integrano industria, distribuzione e servizi. Male ancora la banda ultra larga che entro il 2020 dovrebbe arrivare al 24% delle connessioni a 1 gigabit/secondo e al 38% per collegamenti a 30 megabit. Una lentezza che si traduce, come ha osservato Capitani, in “una innovazione a macchia di leopardo”. Il digitale crea sviluppo ma anche gap visto che altri elementi di disparità si vedono nella spesa delle macro regioni e nelle differenze di investimento fra grandi imprese e Pmi.

Altro problema è quello delle competenze. Industria 4.0 dimostra anche come le tecnologie abbiano bisogno di risorse umane competenti. “Occorrono cluster di competenze correlate fra loro – aggiunge Capitani – ed è compito della politica creare formazione, nuove risorse competenti. Tutto questo ha a che fare con una profonda riforma del sistema della formazione essenziale per creare un mercato del lavoro che renda le risorse, oggi rare e costose, accessibili anche alle Pmi”.

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Luigi Ferro

Giornalista, 54 anni. Da tempo segue le vicende dell’Ict e dell’innovazione nel mondo delle imprese. Ha collaborato con le principali riviste del settore tecnologico con quotidiani e periodici

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