I più forti giocatori di scacchi del mondo non sono capaci di programmare soluzioni hi-tech. Non hanno abilità di programmazione, anzi, risultano piuttosto negati in quel ruolo. Logica, strategia, capacità di previsione (delle mosse altrui), mente smart, tutte virtù e le altre abilità che fanno la fortuna dei fuoriclasse della scacchiera evidentemente non bastano per trasformare dei campioni in abili programmatori al computer. Lo rivela un’indagine condotta da World Chess, società specializzata nel gioco degli scacchi che organizza le sfide per il Campionato del Mondo, e lo sviluppatore di software personalizzati Usetech.
Usetech ha sviluppato un sistema per la trasmissione online delle partite di scacchi che viene ora utilizzato su WorldChess.com, uno dei principali portali online del settore.
In occasione di un recente torneo di livello mondiale, l’indagine ha evidenziato che “i più forti giocatori di scacchi hanno quasi zero abilità di programmazione”, sottolinea Ilya Merenzon, l’amministratore delegato di World Chess. Che osserva: “I risultati sono sorprendenti, dato che gli scacchi professionali e giocati ad altissimo livello richiedono una grande preparazione anche su come funziona il motore di un computer, e i recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale, incluso AlphaGo, rendono gli scacchi quasi una disciplina e specializzazione informatica tanto quanto uno sport della mente, tra ragionamento, capacità di analisi e visione, problem solving e soluzioni per ogni circostanza”.
Dei 21 giocatori più forti del mondo, solo uno di loro ha una piccola esperienza di programmazione al computer, ed è in grado di scrivere un breve programma software da solo. Il resto del team di campioni, compresi i migliori giocatori di Stati Uniti, Francia, Russia, Armenia e altri Paesi, non hanno alcuna abilità di programmazione.
“Siamo abbastanza sorpresi di scoprire che i più forti giocatori di scacchi del mondo non sono bravi a programmare”, rimarca Kuznetsov Maxim, Ceo di Usetech. “Assumiamo molti sviluppatori, sappiamo che i migliori di solito sono molto bravi anche negli scacchi, e questo sport è diventato una sorta di palestra per i migliori programmatori della nostra azienda e del settore. Ma si scopre che non funziona al contrario. Sono convinto però che la nuova generazione di giocatori di scacchi, quelli che ora hanno 10 o 12 anni, diventeranno avversari formidabili perché avranno delle capacità di programmazione che li aiuteranno a imparare più velocemente e a essere migliori”. La sfida è aperta.
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Deep Blue e gli altri…
Era il marzo del 1996 quando, in un articolo intitolato ‘Una vittoria di Pirro’, Beppe Severgnini scriveva: “Diciamo la verità, quando Garry Kasparov ha battuto Deep Blue abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo. Ma siamo sicuri di non avere gioito troppo presto?”. Severgnini ci aveva visto giusto, dato che l’anno dopo un upgrade di Deep Blue, il supercomputer progettato ad hoc per gli scacchi da Ibm, effettivamente batté Kasparov.
Dopo oltre 20 anni da quelle sfide, AlphaGo Zero, la macchina sviluppata da DeepMind Technologies (famiglia Google) ha battuto a Go il grande campione Lee Sedol. E in questo caso la rete neurale di AlphaGo Zero si è allenata da sola, giocando contro sé stessa, invece che supervisionata da esperti umani. Quindi non è stata ‘limitata’ dall’esperienza umana, ma ha inventato da sé le strategie vincenti.
Ma a proposito di intelligenza artificiale applicata in questo campo, un altro articolo dei giorni nostri a firma Stefano Diana, ricercatore e saggista in ingegneria informatica, fa notare che “c’è un errore di fondo comune in queste storie, in quella di Deep Blue come in quella di AlphaGo Zero: l’idea che le prestazioni negli scacchi, o nel Go, siano un criterio adatto a valutare l’intelligenza. Quella umana e, di conseguenza, quella artificiale”.
Pura applicazione meccanica di regole
E questo perché gli scacchi e il Go appartengono alla categoria dei giochi detti ‘a informazione completa’: le regole, gli obiettivi e le condizioni dei giocatori, le posizioni dei pezzi, tutto è noto in ogni aspetto e in ogni momento. Nulla è in ombra, come succede invece nella battaglia navale o nel poker.
Quindi “il matematico umano riconosce gli scacchi come un dominio non creativo, di pura applicazione meccanica di regole, senza voli di fantasia, emozioni, rivelazioni. Insomma, un dominio non del tutto umano. E infatti l’estrema astrazione rende questi giochi modelli ingannevoli per una intelligenza artificiale, in quanto semplificazioni estreme del mondo reale, lontanissimi dalla nostra vita quotidiana, e dunque modelli totalmente irrealistici per la nostra intelligenza”.
Tirando le somme, forse i campioni (umani) di scacchi non devono prendersela troppo se non sono bravi anche a programmare i computer. O forse, più semplicemente, non gli interessa abbastanza farlo. Una discrezionalità che ai cervelli tecnologici è del tutto sconosciuta. Per loro conta solo fare la prossima mossa.